Ripensamenti sui nuovi modi di procreare

A proposito del lavoro di una psicoanalista doc”.

Siamo agli inizi di una straordinaria rivoluzione biologica a riguardo dei modi di procreare: dai pionieristici risultati, già negli anni Settanta del secolo scorso, coi primi bambini concepiti in provetta, alla prassi oggi ricorrente di inseminazione artificiale della donna con sperma del compagno o di un estraneo; inoltre la gestazione in utero di un embrione ottenuto con l’ovulo di altra donna, fecondato dal seme del compagno della gestante o della donatrice di ovulo, o anche dal seme di un terzo, come nel caso della genitorialità gay. Il futuro prossimo prospetta la possibilità di ottenere pure per esseri umani, tramite opportune manipolazioni genetiche del tessuto della pelle, dapprima cellule totipotenti e da queste gameti sia maschili sia femminili. Donde in linea di principio la possibilità per una donna, in una sorta di neoermafroditismo, di autofecondarsi, e per la coppia gay la possibilità di essere geneticamente l’uno padre e l’altro madre. E in un futuro più lontano si intravede la possibilità di realizzare l’intera gestazione in incubatrice grazie alla produzione artificiale della placenta (al momento si sono ottenute porzioni di tessuto placentare), superando così la necessità di ricorrere alla contestata gestazione per altri.

Già per le pratiche ad oggi correnti si pongono problemi etici e giuridici, tanto evidenti quanto rilevanti. Ma prima ancora sorgono questioni d’ordine psicologico anzitutto per la coppia genitoriale, specie se ricorsa a forme di fecondazione eterologa, e in ogni caso per le coppie omosessuali, per non dire delle donne single. Non meno spinose sono le questioni relative ai figli nati attraverso le nuove biotecnologie, specie laddove, come nella maggior parte dei casi, non conoscono l’altro genitore biologico. Quanto a questi ultimi, che si trovano in una situazione di irresponsabilità a fronte di una situazione che non hanno scelto, sono fiorite ormai biblioteche di ricerche, specie nel mondo anglosassone e specie a cura di ricercatori vicini ad ambienti LGBT. Queste ricerche, condotte con metodi empirico-statistici per appurare lo stato di benessere psico-sociale dei figli così concepiti, hanno portato per lo più alla conclusione – per altro abbracciata da quasi tutte le associazioni di psicologi, psichiatri e pediatri dei Paesi occidentali – che coppie genitoriali omosessuali non sarebbero di per sé inadatte a crescere figli. È conclusione estendibile, già a priori, a coppie eterosessuali con prole avuta da fecondazione eterologa. E sempre secondo i medesimi ricercatori quei figli non presenterebbero, a parità di altre condizioni, specifici disagi psicologici rispetto ai figli eterogenitoriali concepiti per via naturale. In effetti, ciò che in definitiva conta ai fini del sano sviluppo dei figli sarebbe solo la cura e l’amore che prestano loro i genitori, biologici o solo sociali che siano e a prescindere dal loro orientamento sessuale.

A dire il vero le suddette ricerche empiriche hanno sollevato non pochi problemi metodologici, evidenziati soprattutto, ma non solo, da ricercatori critici verso omogenitorialità e fecondazione eterologa. Occorrono pertanto cautele in questo complesso tipo di ricerche, specie a fronte di facili trionfalismi sia di chi inneggia alle nuove biotecnologie, sia di chi si fa portatore di talune istanze ideologiche dei gruppi LGBT. Non è qui luogo trattare questa gamma di problemi (mi ci sono soffermato su riviste specialistiche e, in forma divulgativa, su vari numeri della rivista Psicologia contemporanea). Mi limito ad osservare che l’affermazione ricorrente secondo cui l’amore e la cura genitoriale sono il fattore decisivo per un sano sviluppo della prole, non equivale ad affermare che il tipo di coppia genitoriale e il modo di concepimento siano indifferenti in ordine alle chance di conseguire un soddisfacente sviluppo della relazione con i figli. Occorre chiedersi, infatti, se a parità di ogni altra condizione l’un modo di procreazione rispetto all’altro, l’un tipo di coppia genitoriale rispetto all’altro, facilitino o invece rendano più difficoltoso il compito genitoriale di adeguata cura e di amore verso la prole.

A fronte dei suddetti problemi, tanto incandescenti quanto divisivi, fa piacere leggere le posizioni espresse nel volume di Paola Marion, Il disagio del desiderio. Sessualità e procreazione nel tempo delle biotecnologie (Donzelli, Roma 2017), con prefazione di Giuliano Amato, il noto giurista nonché uomo politico. Il motivo di interesse di questo volume è duplice. Anzitutto affronta con notevole equilibrio la questione delicata dei risvolti psicologici delle nuove tecniche di procreazione, prestando particolare attenzione alla fecondazione eterologa. L’altro motivo di interesse consiste nella disamina compiuta dal punto di vista di una psicoanalista “ortodossa” qual ella è: se le tesi di Marion non rappresentano la posizione ufficiale della Società Psicoanalitica Italiana (SPI), le opinioni espresse da chi come lei si trova nella posizione di direttrice della Rivista di psicoanalisi (organo della SPI) appaiono comunque autorevoli. Ed ancora più rilevante è il fatto che le sue tesi pongano un significativo caveat a fronte di varie iniziative a favore dell’omogenitorialità, promosse o sponsorizzate da sezioni locali o da membri della SPI, nel silenzio però di tanti altri psicoanalisti e psicologi, verosimilmente più per non apparire politically incorrect che non per tacito consenso.

A quest’ultimo riguardo il lettore non può non essere incuriosito da come taluni eredi di Freud possano sostenere la compatibilità di fecondazione eterologa e omogenitorialità con la teoria del complesso di Edipo. Infatti, quanto più questo classico snodo dello sviluppo psicosessuale è ritenuto centrale in psicoanalisi, tanto più esso fa problema a fronte di forme di procreazione che bypassano il rapporto sessuale tra i partner genitoriali, e che nel caso della coppia omosessuale bypassano la stessa differenza sessuale. Che ne è allora dell’interiorizzazione delle differenze, sessuale e di genere, se pure queste si radicano nello scenario edipico (essere come il genitore del proprio sesso e avere il genitore dell’altro sesso)? Che ne è della stessa costituzione dell’identità personale? Inoltre, nelle fantasmatiche della coppia e poi del figlio/a nato/a da procreazione medicalmente assistita, che posto finiscono con l’assumere le figure terze, siano esse il donatore/donatrice di gameti o la gestante, o l’équipe medica? Sono questioni che, tra le altre, sollecitano Marion.

La sua rivisitazione dei vari aspetti psicologici della sessualità, pur partendo inevitabilmente da Freud, fa leva su talune acquisizioni successive al padre della psicoanalisi: liberandosi da un’eccessiva centratura sull’immagine di un bambino dominato da pulsioni e avulso dal contesto interpersonale, l’autrice osserva come la dimensione relazionale entri nella costituzione stessa della sessualità, modulando se non proprio suscitando la pulsionalità libidica del piccolo/a. Questo ruolo attivante della figure genitoriali si rileva già nelle modalità con cui esse adempiono all’accudimento corporeo del piccolo. Ne consegue che: «La nostra sessualità vissuta e agita non riflette solo la storia intima di ciascuno […] risente anche di un tempo che ci precede, che è prima di noi» (p. 164), cioè risente dei modi della cura e delle “narrazioni” che i genitori fanno sui modi del concepimento. Pertanto le inedite modalità di concepimento, che «espellono» – come dice l’autrice – la relazione sessuale dalla procreazione, non sembrano ininfluenti nel modo con cui il genitore si relazionerà al piccolo e ne concorrerà alla costruzione del vissuto somatico-sessuale.

Decisivi poi ad illustrare quel «disagio del desiderio» proclamato nel titolo del volume sono i passi in cui l’autrice mostra come l’oggetto del desiderio sia diverso dall’oggetto del bisogno: il desiderio a differenza del bisogno non si esaurisce in questo o quell’oggetto. Piuttosto esso è aperto all’incontro con l’altro e a una dimensione di piacere nella relazione con l’altro che non termina nel mero godimento. Sono osservazioni che in riferimento alle biotecnologie riproduttive portano a denunciare una torsione del desiderio, là dove la legittima aspirazione ad un figlio scade nel bisogno martellante di averlo ad ogni costo. Nel qual caso «l’ombra della ferita è caduta sul desiderio» (p. 181): il desiderio è in sofferenza prima per ragioni interne al processo di riduzione compulsiva ad un bisogno narcisistico, che non per il dato di realtà di non poter generare per via naturale.

Insomma, data la forte valenza affettiva e simbolica attribuita dall’autrice al rapporto sessuale, traspare sotto più profili e in più passaggi del suo lavoro la convinzione che una procreazione che avvenga al di fuori di una relazione amorosa e sessuale tra i partner genitoriali, quale «luogo fondativo dell’origine» (p. 166), sia di pregiudizio per un felice rapporto affettivo col figlio stesso.

Nel complesso il volume tradisce la tensione tra una cauta apertura alle nuove prassi di procreazione e la rilevazione delle criticità che queste prassi comportano. Sono criticità riconducibili, in sintesi: a) ai contesti problematici della scelta di procreare con le nuove tecniche, b) ai disagi della prole in ordine alla domanda sull’origine, c) alla messa in questione delle differenze di genere. Più in dettaglio, quanto ai contesti problematici della procreazione, il comprensibile dolore per una diagnosi di sterilità o di infertilità porta ad aderire, talora in una «fantasia prometeica condivisa con l’équipe medica» (p. 107), a percorsi medicali nei quali spesso «non c’è spazio per porsi domande […] non c’è tempo per avviare un’elaborazione di cosa significhi per la coppia l’avventura che sta iniziando» (ibid.).

Quanto ai disagi della prole: apprezzando i recenti ripensamenti teorici sul senso dell’Edipo, sollecitati anche dai nuovi modi di procreare, Marion ritiene che tra i suoi sfaccettati significati resti valido quello di interrogativo sulla propria origine (“di chi sono figlio?” è interrogativo inquietante nell’Edipo sofocleo). Ebbene, data la pluralità di soggetti, compresi gli operatori sanitari coinvolti nella procreazione assistita, il triangolo dato dalla coppia genitoriale più il figlio «si amplia […] diventa un quadrato, un pentagono, un esagono all’interno di un circolo edipico che è sempre più espanso» (p. 126). Pertanto risulta difficile quel processo di integrazione delle figure genitoriali, necessario alla costituzione di un sentimento di continuità nella mente del bambino.

Quanto alla questione del genere (gender), dopo una paziente attenzione alle istanze provenienti dal mondo LGBT, Marion denuncia il paradosso in cui cadono i teorici della in-differenza di genere tra donne e uomini: «In una società transgender, post madre e post padre la differenza [dalla norma del binarismo sessuale] è a tal punto affermata e celebrata da produrre la sua stessa cancellazione, virando verso una sostanziale indifferenza, in cui una cosa vale l’altra» (p. 153, sottolineature dell’autrice). Date queste identità fluide dei nostri giorni, Dioniso sembra esprimere la contemporaneità meglio di Edipo: si aprono così questioni inusitate a riguardo non solo delle scelte di genere ma anche della natura delle relazioni parentali.

Il tema dei limiti del desiderio, già evocato dalla proibizione edipica a fronte dello sregolato Dioniso, torna nelle pagine finali richiamato dall’oggettiva realtà del corpo: limiti rispetto a certe illusorie aspettative suscitate dalle biotecnologie e, in quanto corpo sessuato, limiti rispetto alla libertà di costruzione dell’identità di genere. Tuttavia, con sensibilità nei confronti di scelte e percorsi individuali, Marion ricorda che compito dello psicoterapeuta è quello di accompagnare rispettosamente e non quello di censurare comportamenti. Pertanto preferisce far appello al senso di responsabilità, col quale si tenga conto delle problematiche conseguenze psicologiche, per i figli e per gli stessi genitori, della procreazione con le nuove tecnologie. È conclusione che converge con la rimarcata preoccupazione etica e giuridica di Giuliano Amato, espressa in Prefazione: l’attenzione a che il desiderio di procreare non confligga con i diritti e gli interessi del figlio, specie nel caso della fecondazione eterologa. E Marion sottolinea con decisione questa convergenza.

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