Il ritorno dei Capuleti

Risale al 1648 – la pace di Westfalia – l’esordio di un sistema di relazioni tra stati fondato su pochi capisaldi mutualmente riconosciuti. Che non escludevano le guerre, ma ne dettavano i presupposti. Ci vollero altri due secoli perché una qualche regolamentazione dei conflitti si sviluppasse anche all’interno degli stati, con quello che avremmo chiamato – e legittimato – come sistema dei partiti. Un modo stabile ed efficace per evitare di scannarci l’un l’altro sulla base di appartenenze tribali, familistiche, o di fazioni. Sul combinato disposto di questi due meccanismi – interno e esterno – si è retto fino ad oggi, bene o male, il cosiddetto ordine mondiale. Con parentesi sanguinose – guerre e rivoluzioni – che ne hanno minato tragicamente il funzionamento, ma non i princìpi ispiratori. Nel mondo post-pandemia, invece, sono proprio i princìpi a vacillare. Nelle piazze – reali e virtuali – stanno tornando i Capuleti.

Il fenomeno si presenta con diversa drammaticità, tragedia e farsa inesorabilmente convivono. L’esplosione più sanguinosa è in America, dove più di un centinaio di città sono in balia di tumulti di cui si fa fatica a decifrare i protagonisti e i moventi. Sappiamo qual è stata la scintilla – Minneapolis come Sarajevo – ma l’ampiezza e violenza degli scontri va ben oltre l’odio razziale che sempre cova sotto la cenere americana. Il vero detonatore è la mannaia delle diseguaglianze sociali che la crisi Covid ha esasperato, trasformandole in una miscela esplosiva. Con l’aggravante di un Presidente che – come scrive il New York Times – sembra impegnato a soffiare sul fuoco. Mettendo i partiti fuori gioco. E alimentando una rabbia pre-politica che diventa, di giorno in giorno, più difficile da incanalare, e controllare.

Sapremo presto se questa deflagrazione made in USA è l’anteprima di una guerriglia in fieri sullo scacchiere europeo. Finora, il tappo dell’Unione – grazie a una prova eccezionale di leadership – sembra essere riuscito a contenere il ribellismo sovranista. Ma certo non sembrano foriere di una ripresa di scambi ordinati le frontiere a scacchiera che si annunciano per il turismo nei prossimi mesi. Stati che mettono in quarantena altri stati, magari su base regionale, o sul possesso delle carte di credito. Una neo-balcanizzazione presaga di ritorsioni e recriminazioni. E – quel che preoccupa di più – la rinascita di affiliazioni fondate su entità micro-territoriali, il tarlo della frammentazione che riemerge proprio quando ci sarebbe bisogno – e che bisogno! – di ricompattarci insieme e intorno a identità forti e trasversali.

E, dato che in ogni tragedia fa sempre capolino la farsa, ecco un sindaco che – in palese violazione di norme di ordine pubblico – incita apertamente i suoi giovani – malgré soi – concittadini a schierarsi, con un coro da stadio, contro i coetanei di una città confinante. Con l’obiettivo di rivendicare movida a tempo indeterminato. Se questo dovesse diventare il modello di gestione municipalistica con cui affrontare il buco di risorse – economiche, sociali, morali – che il virus ci sta procurando, l’autunno non sarà movimentato. Sarà una polveriera.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 1 giugno 2020).

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