Sandi Renko e la sua “Optical Art” ad Alessandria. Da non perdere.

Una bella mostra ad Alessandria al “Palazzo del Monferrato” che riscatta un’immagine della città di Alessandria dimessa e poco incline alla cultura. Tutt’altro. Sandi Renko, di cui abbiamo qui di seguito una descrizione dell’opera all’interno del movimento “Optical” di cui è uno degli epigoni, nobilita una tradizionale abitudine alla pittura e alla scultura di qualità che ci fa ritornare ai tempi della “Casa della Cultura” di Palazzo Cuttica o alla “Sala d’Arte” (ora ufficio URP comunale) all’entrata del Palazzo Comunale alessandrino. Un percorso lindo e preciso, tra prospettive, quadrati, linee più o meno marcate, esagoni sfuggenti. Il tutto con una magia di colori e una tendenza al “cangiante” che porta l’occhio del visitatore in una condizione estatica. Belle anche le riprese “a tre dimensioni” dei motivi base , che rendono ancora più affascinante la mostra. Bene ha fatto la critica d’arte Giada Gramanzini a mettere inluce le affinità fra alcuni fra i più noti “Optical” del mondo…e fra questi c’è proprio Sandi Renko. La mostra alessandrina ha per titolo “Fuori dalle righe”, è stata curata da Marco Galbiati, si svolge presso i meravigliosi locali di “Palazzo del Monferrato” in Via San Lorenzo 21 e durerà fino al 2 febbraio 2020. 

“Interferenze ottiche”: la Op-Art in mostra a New York  (1)

La Op-Art torna a New York fino al 16 aprile con un’esposizione collettiva alla GR Gallery. In mostra le opere di diverse generazioni di artisti innovativi provenienti da Europa e America: Felipe Pantone, Gilbert Hsiao, Nadia Costantini e Sandi Renko

Corrente d’arte astratta nata negli USA intorno agli anni ’60, l’Optical Art, anche conosciuta come Op-Art, affonda le sue radici nei movimenti europei tra le due guerre, come De Stijl, e si ispira alle esperienze condotte all’interno del Bauhaus, motivo per cui fu all’inizio fortemente criticata per mancanza di originalità. Il suo scopo principale è lo studio e la ricerca dell’illusione ottica e dell’impressione plastica del movimento. Il coinvolgimento dell’osservatore nell’opera d’arte viene stimolato dall’uso di linee collocate in griglie modulari e strutturali diverse, accostate in modo opportuno ai colori o a particolari soggetti astratti: il risultato è un effetto bidimensionale in cui si assiste a uno spettacolo di immagini che sembrano lampeggiare, nascondersi, gonfiarsi o deformarsi.

Nel 1965, dopo la mostra The Responsive Eye, che ebbe luogo al MoMA di New York, la critica cambiò posizione in merito ai lavori esposti, riconoscendo ufficialmente la nascita di una nuova forma d’arte che ben presto divenne famosa sia in America che in Europa, arrivando a contaminare il mondo del design, della moda (con Courrèges), del cinema (Henri-Georges Clouzot tra i primi), dell’architettura e della visual art, fino a poi cadere nell’oblio nell’arco di soli tre anni.

Il 2013  ha segnato la rinascita della Op-Art grazie alla mostra Dynamo, organizzata al Grand Palais di Parigi e divisa in varie sezioni, in cui 150 artisti (tra cui Frank Stella, Anish Kapoor, Dan Flavin, Kenneth Noland) hanno contribuito con la loro interpretazione dell’immateriale, della monocromia, del vuoto, della distorsione, dell’instabilità e dell’interferenza. Ed è proprio la capacità di produrre interferenze tra le superfici delle opere e gli effetti illusori che provocano nello spettatore ad aver riportato alla luce questa corrente artistica e a decretarne nuovamente il successo.

La mostra Interferences alla GR Gallery di New York

Interferences è anche il titolo dell’esposizione inaugurata lo scorso 23 febbraio alla GR Gallery di New York, galleria che ha da sempre l’arte cinetica e ottica nel suo DNA. In corso fino al 16 aprile, la mostra riunisce le opere di quattro artisti americani ed europei appartenenti a diverse generazioni e con distinti percorsi di formazione alle spalle. I protagonisti sono l’argentino Felipe Pantone, lo statunitense Gilbert Hsio e gli italiani Sandi Renko e Nadia Costantini. Il trait d’union delle 25 opere esposte è costituito dalle interferenza tra le linee, dalle forme geometriche, dalla prospettiva reversibile e dalla vibrazione cromatica, capaci di creare composizioni che pulsano con una certa armonia e simmetria come quelle che si riflettono nelle opere di Hsiao, o con un’energia frenetica, come nei lavori di Pantone.

 

Felipe Pantone, “Scroll-Panoramas”, 2016

 

Gilbert Hsiao, “Gyro”, 2014

 

Sandi Renko, “Kvadrat 216”, 2016

 

Nadia Costantini, “Modulazione di Superficie”, 1981

Le opere di quest’ultimo spaziano dai graffiti all’arte cinetica, in cui fonde elementi di graphic design con forme geometriche altamente evolute dai forti contrasti e dai colori vivaci, in grado di generare un forte impatto sullo spettatore. “Ho iniziato il mio percorso artistico all’età di 12 anni – ha raccontato – Quando scrivevo ripetutamente sui muri il mio nome. Poi, quattro anni fa, dopo aver terminato i miei studi all’Academia de Bellas Artes di Valencia, ho iniziato a trasferire lo stesso stile con cui realizzavo i graffiti in un tipo di arte più astratta, ovvero quella che contraddistingue oggi le mie opere”. La velocità con cui corrono le informazioni, che subisce un aumento esponenziale costante, è il concetto che Pantone riporta nelle sue composizioni e che funge da filo conduttore, con la sua iperattività, i suoi metodi di lavoro e i suoi continui viaggi intorno al mondo.

Gilbert Hsiao ha esplorato i meccanismi della percezione visiva fin dal 1980. Di fronte ai suoi lavori, lo spettatore percepisce l’oscillazione attraverso l’illusione di un’onda continua prodotta dall’esperienza fisiologica di spazio e movimento, dove le strisce meticolosamente stratificate in strutture strettamente intrecciate creano un moto armonico, capace di infondere quiete. “Di recente ho iniziato ad esplorare l’uso di supporti di forma irregolare come mezzo per organizzare lo spazio pittorico. Il risultato è una superficie in continuo movimento, evidenziato da una vernice metallizzata e fluorescente applicata con una pistola d’epoca ad aria compressa”.

Le opere del triestino Sandi Renko sono il frutto di un percorso iniziato alla fine degli anni ’60 quando, trasferitosi a Padova, colse il fermento culturale delle correnti artistiche d’avanguardia, partecipando a mostre collettive, happening ed eventi dedicati all’arte programmata e all’optical art. Negli anni successivi, la sua attenzione si è orientata al design e alla progettazione industriale. Nei suoi lavori, Renko utilizza superfici di cartone ondulato (il cosiddetto canneté) dipinte con colori acrilici, su cui crea strutture geometriche tridimensionali che possono essere lette da diverse angolazioni, dando l’impressione del movimento. “Mi ispiro principalmente agli artisti degli anni Sessanta – ha raccontato – Tra i grandi dell’epoca, Bruno Munari”.

Sandi Renko e Gilbert Hsiao

 

Come pittrice e scultrice, Nadia Costantini si concentra sul dialogo tra spazio negativo e positivo con lo scopo di creare l’illusione del movimento e della profondità. I suoi dipinti sono caratterizzati da sfondi scuri su cui emergono fasce pittoriche dai colori vividi e brillanti, che si muovono dinamicamente in apparente tridimensionalità nel campo del quadro, dando origini a forme complesse che si realizzano sotto il nome di Modulazioni di superficie e Scansioni di superficie. “Tra me e il materiale che uso, plastica, teflon, pvc e acciaio inox, c’è un conoscersi e rispettarsi, accettando anche le trasformazioni nel tempo, per concedermi di ricavare forme diverse e in continua evoluzione nello spazio: comunque di trovare un posto altrove”.

(1) https://www.lavocedinewyork.com/author/giada-gramanzini/

“Interferences” Inauguration: Contemporary Op and Kinetic Art © Nicoletta Zar.

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