Si può rispondere all’attacco in corso?

L’avevo già scritto e ripetuto varie volte e vedo che, alla fine, qualcun altro se ne sta accorgendo. Diversi articoli, soprattutto quello di Antonio Lettieri, presenti nel nostro giornale on line segnalano la prossimità di un “punto di non ritorno”, di qualcosa difficile da esprimere, che si presenta come somma di indizi…per poi andare a formare una prova, e che prova. Una storia che inizia in pieni anni Settanta dello scorso secolo, con figure di spicco (costruite ad arte) come Reagan negli Stati Uniti e Margareth Thatcher in Inghilterra, esplose in tutto il loro potenziale nei successivi anni Ottanta. Una storia che noi, in Italia, non abbiamo ben compreso all’inizio e che era basata sulla destrutturazione industriale, sui milioni di ore di lavoro “saltati” a causa degli scioperi (con conseguente colpevolizzazione di chi “bloccava” l’Italia, con conseguente irrigidimento di una “folla” via via avviata al “populismo rancoroso”). Basata sulle conseguenti (o “precedenti” , conta poco) serrate praticate dalle famiglie industriali più potenti. Trasformazioni e delocalizzazioni, più che “serrate”, ma con lo stesso esito: la marginalizzazione e la progressiva estinzione della forza lavoro in fabbrica. Quella che chiedeva le “150 ore” per recuperare i livelli di studio perduti per un precoce inserimento nel ciclo lavorativo. Quella che ottenne lo “Statuto dei Lavoratori” con tutta una serie di tutele in fabbrica e , più in generale, nei vari luoghi di lavoro, rispetto a contratti, tempi e modalità di impiego, retribuzioni, pensioni, tutele per le maternità o per persone “in difficoltà” (diversamente abili, sottoposti a regimi di custodia, ecc.). Un mondo che viveva ancora dei fasti del boom economico, che si permetteva di garantire abbonamenti mensili per studenti universitari (a valuta 1972) pari a un terzo di un solo viaggio di andata Alessandria-Torino di oggi. Che non aveva bisogno dei “ristoranti stellati” o dei riconoscimenti “Michelin” o simili, per avere un pasto decente.  La cucina di Zi’ Ncenza a Capaccio Scalo (Sa) o di Maria “’a sempliciunna” a Genova, o di “Savino” qui da noi,  erano il meglio di quanto si poteva desiderare. Chilometri zero, ingredienti genuini (a volte coltivati o allevati nello stesso cortile) simpatia e costi accessibili a tutti.

Lentamente le cose sono cambiate…Vero? E il cambiamento è stato lento e apparentemente indolore. Vien quasi da pensare che, come per i soloni del neoliberismo reaganiano e thatcheriano, sia stato tutto costruito a tavolino. Azioni e reazioni. Comportamenti dei proprietari delle ferriere, reazioni delle rappresentanze operaie, gestione artefatta dei media, acquiscenza e progressiva marginalizzazione del (cosiddetto) potere politico. Con qualche “regista” in alto, con i telefoni giusti, quelli “incontrollabili” e con le idee chiare rispetto ai provvedimenti da prendere. Viene alla mente, a mo’ di esempio – ma senza nessuna malizia…– quella parte di intervista rilasciata dall’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga al giornale “QN” nel 2008. Dopo avere ribadito la bontà  (e la necessità) della scelta di “Gladio”, tanto in funzione deterrente, quanto come correttivo sociale ed economico, alla domanda del giornalista “E lei si rende conto di quel che direbbero in Europa dopo una cura del genere? «In Italia torna il fascismo», direbbero.”  Tranquillamente contrappone un «Balle, questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l’incendio». E, ancora incalzato dal giornalista: “Quale incendio? «Non esagero, credo davvero che il terrorismo tornerà a insanguinare le strade di questo Paese. E non vorrei che ci si dimenticasse che le Brigate rosse non sono nate nelle fabbriche ma nelle università. E che gli slogan che usavano li avevano usati prima di loro il Movimento studentesco e la sinistra sindacale»”.  (*) . Parole di fuoco, pesanti, pronunciate con pacatezza e con la tranquillità di chi ha ottenuti risultati, per se’ e per altri.

Ecco il punto. Quali sono questi “altri” per cui qualcuno ha lavorato indefessamente? “Altri” che potrebbero aver beneficiato, addirittura, della nostra dabbenaggine… di chi faceva chilometri per essere presente alle “manifestazioni a cui non si poteva mancare”, di chi perdeva notti in pullman o in treno, di chi – addirittura – impiegava giornate di ferie per “esserci”. Col “Re di Prussia” di turno a sorridere tranquillamente, anzi “con pacatezza e con la tranquillità di chi ha ottenuto risultati”.  Bene fa Lettieri a stigmatizzare gli errori di Grenspan negli USA dei Clinton, bene fa a bastonare le politiche restrittive che ci stanno strozzando… Cose che, oggi, abbiamo imparato, più o meno direttamente. Resta il “Que faire?” (**)

Forse ci puo’ essere d’aiuto Alessandro Visalli, su quanto possiamo (ed è umanamente possibile) fare, facendo riferimento ad una sua chiacchierata con Mario Draghi, nel momento esatto della sua uscita dal suo ufficio di Bruxelles (***) . Lapidario il suo ragionamento. “Nel mondo globalizzato che un sistema di azione altamente complessa ha costruito a partire dai primi anni settanta, non c’è alcuno spazio per la democrazia dei nostri padri e nonni”  . Non c’è alcuno spazio, cioè, per la democrazia inclusiva e popolare che muoveva, certo sempre in modo incompiuto e come progetto da rinnovare, dall’eguaglianza dei ‘cittadini’ in quanto ‘persone’ e non per le loro capacità (siano esse economiche o cognitive), quanto per il loro diritto di formarsi norma a se stessi. Dura lex sed lex, verrebbe da aggiungere

Certo una forma, quella democratica, che è sempre cambiata nel tempo, passando dal parlamentarismo delle origini alla democrazia a suffragio universale e di massa ‘dei partiti’ novecentesca, fino alla trasformazione di questa in una ‘democrazia del pubblico’ centrata su pratiche di sorveglianza e discredito per le forme della politica. Anche su questo Lettieri ha scritto parole sensate. D’altra parte: “La vera sovranità si riflette non nel potere di fare le leggi, come vuole una definizione giuridica di essa, ma nel migliore controllo degli eventi in maniera da rispondere ai bisogni fondamentali dei cittadini: ‘la pace, la sicurezza e il pubblico bene del popolo’, secondo la definizione che John Locke ne dette nel 1690. La possibilità di agire in maniera indipendente non garantisce questo controllo: in altre parole, l’indipendenza non garantisce la sovranità.” (dal testo di Vesalli citato). Ma i bisogni fondamentali dei cittadini, di tutti i cittadini, di qualsiasi religione, colore, credenza siano, devono essere presi in considerazione in modo globale, non parziale. Pertanto il “Que Faire” non è scegliere una parte contro l’altra, criminalizzare questo (perchè si fa parte della tale alleanza) e coprir “sempre e comunque” quello, anche quando è in errore. I fenomeni migratori dal sud al nord del mondo, presenti ovunque, in Africa, in Asia , nelle Americhe, in Oceania, sono il segnale che “qualcosa non va” , che si deve intervenire con responsabilità all’origine, ripristinando ambienti, modi di vita, possibilità di autosufficienza economica, che – videntmente – non sono al top (volendo usare un eufemismo).  Inutile e sciocco sarà privilegiare questo o quel popolo, questo o quel territorio in funzione anticinese, antirussa o, in un futuro prossimo, antiindiano o antitedesco. La partita che stiamo giocando è esiziale. Non può essere persa…e saremo “vincitori” solo se sapremo voltare le spalle a dinamiche e comportamenti  del passato.

 

(*)http://temi.repubblica.it/micromega-online/francesco-cossiga-%C2%ABvoglio-sentire-il-suono-delle-ambulanze%C2%BB/?refresh_ce ; Intervista di Andrea Cangini, Quotidiano Nazionale (Il Giorno /Resto del Carlino/La Nazione), 23 ottobre 2008

(**)https://www.marxists.org/francais/lenin/works/1902/02/19020200o.htm 

(***) https://sinistrainrete.info/globalizzazione/14483-alessandro-visalli-mario-draghi-la-sovranita-in-un-mondo-globalizzato.html

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