Sole e Nebbia

Un nostro modo per celebrare l’Otto Marzo… (n.d.r.)

Molto dipende dall’umore e dalle circostanze. Vedere il sole nella nebbia è un attitudine che consente di sopravvivere anche quando intorno tutto si sfuma in un’atmosfera poco incline ad elaborare pensieri positivi.

Quella mattina ero pronta ad affrontare la città cercando di salvare ciò che ancora evocava l’antica armonia, smarrita per avidità, ignoranza e sciatteria.

Mi turba pensare alle nuove generazioni private dell’opportunità di vivere il sentimento di appartenenza al proprio luogo con fierezza per poterlo raccontare, avendone chiari i tratti distintivi. Quali siano ora, oltre il degrado evidente a chiunque, non saprei cosa dire.

So di essere tra gli ultimi testimoni di una Storia quando esprimo l’amarezza incompresa da chi, privo di elementi di paragone, non può giudicare. Ma io l’ho conosciuta e vissuta quella città bella… che manifestava l’orgoglio per la sua identità, in seguito stravolta da mani rapaci di ogni colore, salvo qualche breve e raro intervallo. A partire dagli anni sessanta è stato uno scivoloso, inesorabile piano inclinato che ci ha portati fino a qui.

Si dice che al peggio non ci sia fine e così, arrivando a Piazza Garibaldi, la vedo recintata per metà. Un auto trascina lentamente uno strumento misterioso, forse un rilevatore di non so cosa del sottosuolo, tra l’indifferenza dei passanti … e un bagliore sinistro mi ha fatto pensare al reiterato progetto del garage sotterraneo a coronare gli altri “abbellimenti” operati nel passato dalle amministrazioni di centrodestra, dalla distruzione del ponte Cittadella alla sgangherata pavimentazione del centro storico . Speravo tanto di sbagliare ma pare proprio che il mio sospetto sia fondato. Come gli Zombi nel titolo del vecchio film “A volte ritornano”, costoro ritornano con protervia al loro progetto.

Dopo pochi passi il sole del mio umore era già oscurato pensando a quanto si potrebbe fare per restituire ai cittadini un approccio diverso al loro passato. Mi chiedo ad esempio come siano stati impiegati i fondi assegnati per il recupero della Cittadella. Esiste un progetto che non si limiti a rattoppare l’esistente ma a restituirla all’interesse della comunità? Confesso la mia ignoranza e sarei felice di ricredermi.

Ho bisogno d’un caffè … e la breve deviazione dalla piazza verso il mio bar preferito mi porta a dare uno sguardo a palazzo Borsalino, sede dell’Università, un angolo dove ritrovare un po’ di serenità: alberi e panchine ben disposti, nemmeno un buco nel pavé e studenti in pausa, una parentesi di benessere presto infranta da una fastidiosa consapevolezza di pericolo.

Rimandando alla lettura dell’ analisi di Renzo Penna sul futuro del polo universitario, e sul rischio di un decentramento dello stesso al quartiere Orti (nel silenzio dell’amministrazione comunale), la sensazione d’impotenza s’aggiunge al preesistente disagio. Nulla di definitivo, d’accordo, ma invito tutti a stare in guardia. L’unica cosa da fare per ora è tener viva l’informazione e per questo ringrazio l’amico Renzo.

La nebbia si fa più fitta e cerco sollievo nello spazio dei giardini ove respirare un po’ d’aria pura. Qualche raro passante, un cane al guinzaglio che mi decido a seguire di malavoglia per l’oppressione del silenzio e la solitudine come sensazione di pericolo, non di sollievo com’era una volta. La manutenzione del verde appare scarsa ma resiste la pavimentazione dei percorsi all’interno.

Mi trovo ad attraversare proprio di fronte al luogo in cui fu distrutto il piccolo ma armonioso anfiteatro, dove una volta si tenevano i concerti della banda municipale, per fare spazio all’orrenda pista di pattinaggio, monumento all’inutilità, ora smantellato. Da lì al Teatro Marini, il passo è breve… .

Di questo ho già parlato assai da esserne bacchettata… dunque non do spazio ai rimpianti per ciò che più non è da tempo immemore. Anche cercando su Internet appare solo un’immagine sbiadita dell’antico teatro, e qui mi fermo. Quella volta l’amministrazione era di sinistra … cosi non faccio torti, anche se al momento queste fini distinzioni sembrano un po’ fuori moda.

E’ strano ciò che vedo: il grigio del cemento è inspiegabilmente più grigio, come polveroso, quasi che lo stato di abbandono infligga una punizione. Assi di legno inchiodate rendono cieche le aperture, il bar che era centro di aggregazione è in stato di abbandono.

Le sale cinematografiche (Galleria, Moderno, Dante) sono state chiuse da tempo per cedere spazio alle “multisale” decentrate. Resta salvo l’Alessandrino che ha funzionato un po’ anche da teatro.

S’è perduta la memoria delle arene estive (Splendor, Aurora, e Ferrovieri, che resiste ed esiste anche per alcune iniziative culturali in era preCovid ).

Perdere i teatri e le sale cinematografiche significa perdere la consuetudine arretrando ad una condizione di non cultura, come bruciare libri in un falò (l’hanno fatto…) insieme agli spartiti e agli strumenti musicali per uccidere la musica, e chiudere i musei e le chiese con le loro opere d’arte per renderci insensibili alla Bellezza.

E allora mi chiedo se preservare la fruizione di un bene come la Cultura e i suoi luoghi, non sia il fine primario di un’amministrazione cittadina, l’investimento più proficuo anche politicamente di cui potersi assumere il merito. A meno di preferire il passare alla Storia per un devastante inutile garage in una delle piazze più belle di Alessandria.

Quale Cassandra che malinconicamente si dileguerà con la sua città, mi appello a chi sarà informato del “giorno della ruspa” per consentirmi di manifestare in forma di resistenza passiva, come l’ultimo dei Giapponesi.

Grazie.

Marina Elettra Maranetto

(7.3.2021)

 

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