Il Sud ridotto a passerella dei politici

(*) Ci mancava solo la passerella di Toti. Il governatore della Liguria ha scelto il Sud – folgorato sulla via di Lucania – per lanciare il suo nuovo corso politico. Che poi – come è di moda oggi – è una corsa verso Salvini. Così, al danno la beffa. Più si affastellano i dati negativi sul Mezzogiorno, più si accavallano gli annunci di manifestazioni, convegni, addirittura gli stati generali dei partiti di destra e di sinistra – nonché ovviamente di quelli bipartisan – al capezzale della questione meridionale. Così ci toccherà anche sentirci un profluvio di buone intenzioni, ricette rimasticate, minestre ri-riscaldate. Insomma, l’ennesima conferma che questa classe politica non ha alcuna seria cognizione di come invertire la rotta che sta portando alla spaccatura del paese.

Questa incapacità nasce, innanzitutto, da un deficit di rappresentanza. La forza dei partiti risiede – in larga parte – nel farsi interpreti di spinte e progetti che vengono dalla società. È questo il motore che ha portato la Lega al governo del paese. Gli animal spirits dell’imprenditorialità lombardo-veneta e la pretesa di efficienza amministrativa hanno prodotto il ceto leghista, con la sua scarsa lungimiranza ma anche la sua notevole concretezza. Quali sarebbero – per analogia o per contrasto – le domande che esprime il tessuto socioeconomico del Sud? L’unica, negli ultimi anni, che ha avuto un peso politico, è stata la richiesta di assistenza, intercettata dai Cinquestelle. Perché meravigliarci che i politici che girano per le nostre contrade si riducono a intercettare – e intermediare – la frammentazione dei bisogni nei reticoli amministrativi alimentati dalla spesa pubblica?

Messa così, vista cioè come questione generale, non se ne esce. Non è, però, una diagnosi nuova. Sono almeno trent’anni che le analisi più avvertite hanno smesso di guardare al Sud come a un aggregato omogeneo da gestire con politiche unilaterali. Il rebus del Mezzogiorno si risolve solo prendendo atto che si tratta di una realtà a macchie di leopardo. Il guaio è che, seguendo questa strada, si dovrebbe imboccare un’analisi puntuale di quello che funziona – e ce ne sono moltissimi esempi – e di dove, invece, si è fallito. Facendone tesoro e disegnando, sulla base di questa mappa, le nuove direttrici da seguire. Mi limito a fare tre esempi – basterebbe chiedere a qualcuno dei veri esperti della materia, come Claudio De Vincenti, per arrivare facilmente a trenta.

Uno, volete un polo di sviluppo esemplare? Prendete i dieci anni di lavoro confluiti nella progettazione, organizzazione e implementazione di Matera 2019, probabilmente la capitale della cultura europea che ha conseguito i maggiori successi nel panorama internazionale. Un laboratorio di know-how, risorse umane, reti di sponsor e ricaduta territoriale che potrebbe essere mutuato facilmente da altre regioni – come la Campania e la Puglia – per avere, nei prossimi dieci anni, ogni anno due città-capitali che seguano e diffondano quel modello. Con le ricadute occupazionali e motivazionali che è facile immaginare.

Due, credete che si possa davvero cambiare la pubblica amministrazione, che sia questo il nodo da aggredire per attirare risorse di impresa, velocizzare gli investimenti, far crescere una nuova elite burocratica orgogliosa del proprio ruolo? Studiatevi il dispositivo con cui la Regione Campania ha fatto rete con centinaia di altri comuni per bandire – la prima volta in Italia – migliaia di posti con un concorso unico. E seguitene meticolosamente gli sviluppi. Perché se il percorso formativo sarà all’altezza delle premesse, forse possiamo sperare di buttarci finalmente alle spalle gli stereotipi secolari di Quo Vado.

Infine, siete convinti che il futuro sia nell’istruzione e che il futuro dell’istruzione si giochi nella capacità di interagire con la galassia digitale? Documentatevi su come, in pochi anni, la Federico II è diventata, grazie alle partnership delle Academy, un polo d’attrazione per le grandi multinazionali ICT, da Apple a Cisco. E ha costruito, con Federica.eu e grazie ai fondi strutturali, la più avanzata piattaforma europea di formazione multimediale d’eccellenza, gratuita e ad accesso libero.

Certo, procedere in questo modo – caso per caso, approfondendo e comparando, selezionando e motivando – richiede molto più tempo. E una cultura – civica, tecnica, responsabile – che poco e male si concilia con la politica fai-da-te e usa-e-getta degli annunci altisonanti. Che dureranno lo spazio di un mattino. Anzi, di una passerella.

(*) (“Il Mattino”, 5 agosto 2019).

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