Tu lo sai come si sente uno che chiude bottega?

Inizia così l’articolo di Vittorio Macioce di ieri su Il giornale, articolo che qui ricopio parola per parola, perchè parole che avrei voluto scrivere io. Condivido tutto, e nuovamente ogni giorno partecipo al dolore di chi ogni giorno è costretto a chiudere bottega, io che mi sono sempre sentita e  mi sento artigiana, che ho lavorato con moltissimi artigiani, che mi hanno insegnato l’amore per quello che si fa nella connessione diretta e inseparabile di mani, testa e cuore. Artigiano come l’antico alchimista che si faceva facendo. Una eterna lezione di umanità. Ecco perchè uno che chiude bottega si sente morire, perchè il lavoro è quello scrigno capace di contenere 3 pani, quello che serve per mangiare, quello che serve per nutrire lo spirito e quello che serve per creare una relazione viva e feconda con l’altro e con il mondo.

Ecco qui di seguito l’articolo e non dimenticate di leggere su La lettura di questa settimana la magistrale lezione di Claudio Magris sull’Europa.

Buone letture , Patrizia Gioia

“ Tu lo sai come si sente uno che chiude bottega? Ti va via la pelle, scarnificata, e gli occhi cominciano a fissare un futuro vuoto, con il senso di colpa che ti batte dentro, perchè hai tradito la tua vita, il tuo mestiere, tuo padre, tua madre, le mani che non servono più a nulla, un’appendice inutile che ha perso arte e magia.

C’è una parola con cui non puoi non fare i conti: fallito. Ti accorgi che quella porta serrata è la fine di un mondo, se ne va un lavoro, se ne vanno cose uniche, personali, dove hai messo molto di te stesso, se ne va qualcosa che stava solo lì, che trovavi solo lì, e adesso ce ne sarano altre simili, ma non uguali, non quelle. Se ne andranno storie, ricordi, e parole: calzolaio cerai, cocciaio, legatore, guantaio, norcino, mugnaio, maniscalco, selciatore, seggiolaio, canestraio, arrotino e presto saranno

un ricordo anche gli ombrellai, i liutai, i barbieri e i veri pasticceri. Alla fine spariranno anche gli odori, quelli cari alle filastrocche di Gianni Rodari:

Sa di farina il fornaio, sanno di terra i contadini e di vernice gli imbianchini….

…….I Fannulloni, strano, però non sanno di nulla e puzzano un po’”.

Ora qualcuno potrebbe dire: ecco la solita nostalgia da quattro soldi. Non è solo questo. E’ peggio.

E’ il sospetto che quello che scompare non sia il passato, ma il futuro. Pensateci. Pensate al mondo che vediamo. E’ pieno di merci che hanno tutte più o meno lo stesso sapore, realizzato seguendo istruzioni e protocolli più o meno standard, acquistate su Amazon, una sorta di emporio di Babele comodo e universale, ma dove rischi di perderti in milioni di volti senza identità. Pensate a quello che sta arrivando, la fantascienza scesa in terra dei robot. Non ti fanno paura. Non si sta qui a fare i luddisti o a evocare la rivolta contro le macchine. Ma c’è una cosa che la rete, gli algoritmi e i robot non sono in grado di fare. L’artigiano. L’artigiano il faber, con un nome e un cognome, con la sua individualità, l’io unico e irripetibile, con la sua storia, i suoi errori, le sue giornate sì e quelle no, il suo talento che non si può replicare e si perde ogni volta che qualcuno muore.

L’artigiano è il segno dell’umano e viene dalla notte di tempi. E’ l’uomo libero del medioevo, il sopravvissuto delle rivoluzioni industriali, il divergente del consumismo. E’ il mestiere nel mondo dei fai-da-te. Ora si sono arresi, non sono sopravvissuti alle tasse e alla burocrazia, ma torneranno.

Torneranno come il numero 10 nel calcio. Le mani un giorno saranno oro. Il problema è capire dove. Non è detto che sia qui, in questa penisola bagnata dal mediterraneo, perchè di tanta arte hanno fatto un deserto. Non ci sono eredi. Non c’è più terreno. E’ questo allora che viene da dire a chi parla di Italia, di patria, di popolo. Cosa c’è che incarna più di ogni altra cosa lo spirito italiano nel mondo ? Non come siamo davvero, ma il nostro orgoglio. Non i porti chiusi, non le divise, non i navigator, che nulla hanno a che fare con Colombo e Vespucci.

No, nel mondo ci conoscono per queste mani.

Queste mani come in Good morning Babilonia dei fratelli Taviani, ci fanno dire al capomastro arrogante di Hollywood: “di chi sei figlio tu ?

“Noi siamo i figli dei figli dei figli di Michelangelo e di Leonardo. Di chi sei figlio tu?”

Allora forse questo è il punto. In dieci anno ci sono 165.500 artigiani in meno. E’ una strage.

Li hanno persi uno ad uno, sfiniti, strozzati, puniti. Molti magari campano in nero. Non sono moralmente i migliori, ma sopravvivono. I governi e il fisco non hanno mai tenuto conto della crisi economica che stiamo da anni vivendo e hanno continuato a sfornare studi di settore folli e immaginari. E intanto gli artigiani chiudevano, bestemmiavano, fallivano e qualcuno si sparava in bocca. Su ogni nome una tassa e ogni tassa una croce.

E’ il cimitero di una certa idea di Italia. E’ l’Italia in cui mi sento italiano.”

 

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*