Turchia, la crisi della “cadrega”. È tutta un’ipocrisia

(*) Secondo il quotidiano britannico The Times, nell’incontro avvenuto tra Erdogan, von der Leyen e Michel si è rinnovato per altri cinque anni il famoso accordo sui migranti. Altri soldi da incanalare verso le casse del regime, così per altri cinque anni il giardino dell’Unione Europea resterà pulito.

Un ottimo affare, soprattutto tenendo in considerazione che nell’Europa di oggi se una formazione politica non mette nel suo programma elettorale la “lotta contro l’immigrazione irregolare” è poco probabile che vinca le elezioni. Non parliamo della mancanza di soluzioni efficaci, unitarie ed eque da adottare nella lotta contro la pandemia e la crisi economica. Ovviamente in quest’ottica conta ben poco se ti umilia quello che Draghi chiama un “dittatore”.

Soprattutto se questa non è la prima volta che ti fai umiliare.

Il 16 novembre del 2015, nella città turca di Antalya, a margine del G20 presieduto da Ankara, Erdogan incontrò i leader dell’UE dell’epoca, Jean-Claude Juncker e Donald Tusk. Era un momento storico per il partito al governo. Dopo la grande sconfitta del 15 giugno le elezioni erano state ripetute, a causa dell’impossibilità di formare un governo e il 1° novembre Erdogan aveva registrato un notevole successo.

Nove giorni dopo le elezioni e sei giorni prima dell’incontro con Juncker e Tusk, era stato pubblicato il regolare report sull’andamento della Turchia nell’integrazione nell’Unione Europea. Un’analisi abbastanza tagliente, che attirava l’attenzione sulle libertà individuali frequentemente violate in Turchia. Questo rapporto così importante era stato pubblicato dopo le elezioni politiche, forse perché non impedisse il successo elettorale di Erdogan.

Un anno dopo questo importante vertice un sito d’informazione greco, euro2day.gr, aveva pubblicato i verbali di questo incontro. Mi ricordo molto bene con che euforia avevo chiesto ai miei conoscenti greci di tradurre in inglese quei documenti pieni d’importanti elementi per comprendere le caratteristiche di un rapporto malato.

Una trattativa perversa

Junker e Tusk proponevano tre miliardi di euro a Erdogan e in cambio pretendevano che per due anni il regime tenesse a bada i rifugiati presenti sul suo territorio. Erdogan rispondeva così: “Se proponete una cifra così bassa non c’è nulla da dire. Noi non abbiamo bisogno di questo denaro. Per noi non è un problema far salire i rifugiati sui bus, aprire i confini e mandarli verso l’Europa. Così l’UE deve fare conti con più di un bambino morto sulle coste. Ne partiranno circa 10.000 o 15.000. Non so come ve la caverete. Come pensate di fermare questi rifugiati se non troviamo un accordo? Questi sono ignoranti, continueranno a fare attività terroristica anche in Europa”.

Di fronte a questa minaccia, secondo i verbali pubblicati, prende la parola Junker e sottolinea che il report sull’andamento della Turchia nell’integrazione europea è stato pubblicato dopo le elezioni perché l’aveva chiesto proprio Erdogan. Junker conclude così: “Pensavo che Lei volesse trovare una soluzione con noi, ma ora mi sento tradito”.

Tradito, umiliato, minacciato e ricattato. 

Pochi mesi dopo, sempre nel 2016, Erdogan pronunciò le stesse parole in un incontro pubblico: “Non abbiamo ricevuto i soldi promessi dall’Europa. Non siamo stupidi. Quando sarà necessario apriremo le porte per inviare i bus pieni di rifugiati”.

Nel 2019, durante un incontro del suo partito, rivolgendosi ai suoi iscritti parlò così: “Se l’Europa non collabora con noi per creare una zona sicura nel nord della Siria non possiamo più trattenere questi rifugiati”.

Verso la fine del 2019, durante l’operazione militare “Sorgente di Pace” alcuni leader europei avevano definito la Turchia come paese “occupante” sul territorio siriano. La risposta di Erdogan non è stata diversa: “Se continuate a chiamarci occupanti vi mandiamo quei 3.6 milioni di rifugiati. Noi ci troviamo in Siria per lottare contro il terrorismo”.

Infine, nei primi giorni della pandemia Covid-19, con un’operazione veloce e ben organizzata, da diverse parti della Turchia sono partiti numerosi bus con l’obiettivo di portare vari rifugiati al confine greco. Il Ministro degli Interni aveva comunicato chiaramente le motivazioni di questa mobilitazione: “Non fermeremo nessuno che voglia oltrepassare il confine”. Secondo i giornalisti presenti nella zona, per circa un mese quasi 6.000 migranti sono stati ammassati al confine greco. Alcuni sono riusciti a varcare il confine, alcuni sono morti nelle acque del fiume Levros, alcuni sono stati malmenati o derubati dalle guardie greche e/o turche e la maggior parte ha passato quasi trenta giorni in condizioni terribili con la speranza di attraversare il confine. Questa breve dimostrazione si è conclusa con l’incendio della tendopoli improvvisata e con la redistribuzione dei migranti in diverse città del paese.

La crisi della “cadrega”

In Turchia vivono ormai quasi cinque milioni di rifugiati –  siriani, iracheni, afghani, iraniani. L’accordo sui migranti, firmato nel 2016, ha questa storia e ha generato queste conseguenze. Il suo profilo economico e politico è fortemente malato, egoista, vigliacco e basato sulla cultura di reciproco ricatto. Tutto costruito sulla vita di milioni di persone che scappano da paesi distrutti, in crisi economica oppure nelle mani di regimi dittatoriali.

Chissà quando verranno fuori i verbali dell’ultimo incontro in cui Von der Leyen è rimasta male perché non si è sentita rispettata e ben accolta. Forse con questi verbali  vedremo ancora una volta come l’Unione Europea abbia deciso di svendere i suoi valori per difendere i suoi interessi.

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  • il titolo di quest articolo si ispira al brano omonimo del cantautore Flavio Giurato 
  • l’immagine di questo articolo è una delle opere del pittore Pawel Kuczynski

(*) Agenzia “Pressenza” 10.04.2021 – Murat Cinar

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