Umano, troppo umano

Il recente doppiaggio della boa dei primi cinque anni  di pontificato ha fornito, a vari commentatori, l’occasione per tentare una sorta di bilancio intermedio dell’opera e dell’impatto di papa Bergoglio sull’attuale cammino della  Chiesa, nonché  dei riscontri ravvisabili a livello di più vasta opinione pubblica del nostro paese e oltre. I temi e le considerazioni prescelti dai vari autori sono apparsi, come ci si poteva aspettare, alquanto differenziati, non solo per la vastità e l’eterogeneità del campo d’osservazione, o per le diverse basi culturali di partenza, ma perché è la stessa figura di papa Francesco – in persona e ruolo – a presentarsi con tratti inediti e inconsueta attitudine alla comunicazione semplice e diretta.

Rischia di trovarsi, perciò, scompaginata in partenza la pretesa di confezionare un ritratto (o un bilancio) a tutto tondo del regnante pontefice, nonché l’ambizione di  ricostruire convenientemente percorsi lineari, e in sostanza prevedibili,  della sua  quotidiana testimonianza.

Per giustificare (giustificare?) in qualche modo tale difficoltà, è stata introdotta ed esaltata la contrapposizione preliminare  tra un papa “teologo” e un papa “pastore”, tralasciando per fortuna un papa “condottiero” o che altra qualifica possa rintracciarsi nella storia. Ma con le etichette, si è visto, non si va lontano.

Sul piano, poi, psicologico e culturale – e lo abbiamo verificato nei giorni scorsi alla presentazione del libro  “Il cristianesimo al tempo di papa Francesco”, a cura di Andrea Riccardi per l’editore Laterza – è stata più volte chiamata in causa la “poliedricità” della personalità, dell’attivismo e dei richiami etici di quel Jorge Mario Bergoglio “venuto dalla fine del mondo”. Così come si insiste sulla sua conformazione e lunga pratica “gesuitica”, per quello che possa significare praticamente.

Buona di certo l’intenzione di apprestare “guide di lettura” atte a sintetizzare la trama  complessa (anche, talora, nella sua disarmante semplicità) del pensiero e della gestualità di Francesco, ma avvertibile altresì l’intenzione di “sterilizzare” preventivamente dubbi o perplessità che potrebbero sorgere, inopinatamente, riguardo alla linearità del procedere papale nel  gran mare dei problemi che gli si parano innanzi, quotidianamente, in ordine alla guida della Chiesa e ai rapporti con la società.

Il fatto è che, ai nostri giorni, del papa e sul papa si discute con normale continuità, come attesta la presenza ormai consueta dei “vaticanisti” che, sui media, inseguono assiduamente e con accenti diversi ogni notizia o dettaglio che riguardi la persona, i rapporti e l’entourage del pontefice in carica. Nel caso di Francesco, poi, che il papa sia circondato e protetto da uno “schermo affettivo” popolare e spontaneo  non esime dal considerare anche l’area del dissenso o delle perplessità, di natura  prevalentemente politico-ideologica, che aleggia attorno alle sue iniziative o al suo messaggio, tacciati manco a dire di “sinistrismo”. Ah le categorie sempiterne!

Tra il robusto affetto e il dissenso più o meno dissimulato, esiste anche una fascia non indifferente di “cattolici mediani” che, in effetti, consentono al messaggio evangelico di Francesco, ma risentono di un certo disagio nei confronti di quella che, laicamente, si potrebbe definire come un “approccio demitizzante”  della figura papale,  quale consegnataci da una certa tradizione regal-principesca  in versione chiesastica.

In effetti, la quota significativa di “vita normale” e di rapporti colloquiali che papa Francesco si ritaglia nell’esercizio, come si dice, delle sue funzioni, non si compone facilmente con la figura ieratica e riservata, protetta dal dogma e dalle mura vaticane e proposta alla venerazione dei fedeli,  trasmessaci  dalla  tradizione cattolica.

Che si abbia dunque a che fare, per buona ventura  – e rubacchiando un titolo di Nietsche – con un papa “Umano, troppo umano”?

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