Quando un dibattito è utile ed efficace. In margine alla presentazione di “Il collasso di una democrazia”

Si diceva, un tempo, che anche chi vince “fa la fame ugualmente” e di certo, tale affermazioni è assolutamente da applicare al periodo post prima guerra mondiale in Italia. Infatti, la crisi presente un po’ in tutti i settori, il difficile reintegro dei reduci in una società, comunque, cambiata, l’esaltazione di gruppi di militari ancora sotto l’effetto euforico delle vittorie dell’ultimo periodo di guerra, i timori dei proprietari terrieri e delle famiglie titolari di aziende medie e grandi, causarono un periodo di forte fermento. Come pure di attesa, di grande speranza e, al tempo stesso,  di difficile recupero dopo gli anni della guerra. E i “buchi” lasciati nella società da morti e feriti gravi, in tutto più di un milione aggravarono ulteriormente la situazione.

Di conseguenza le elezioni del 1919 furono un vero e proprio terremoto politico: i liberali, che prima della guerra erano la forza egemone del Parlamento, ne uscirono fortemente ridimensionati, mentre popolari e socialisti conquistarono 256 seggi su 508. I Fasci italiani di combattimento di Benito Mussolini non ottennero neppure un parlamentare.
Solo tre anni dopo, in un paese percorso dalle violenze dello squadrismo fascista, Mussolini prendeva il potere e avviava il disfacimento del sistema democratico del paese con l’instaurazione di una dittatura che sarebbe durata vent’anni.
Come poté una democrazia collassare in maniera così repentina? Quali furono le ragioni di una tale disfatta? In “Il collasso di una democrazia“, Federico Fornaro indaga i limiti dell’azione tattica e strategica della sinistra, che assieme a quelli delle classi dirigenti liberali e cattoliche permettono di rileggere quegli anni cruciali della nostra storia nazionale.

Anni fatidici, perchè da lì partì il triennio di preparazione alla costruzione dello Stato Fascista vero e proprio, quello degli atti legislatividi inizio 1925. Ma “fatidici” anche perchè  emblematici di come sia necessario avere gli atteggiamenti giusti al momento opportuno, non incapponendosi in lotte durissime senza futuro o non comprendendo le possibilità di cambi in termini di operazioni di lavoro e strategie, anche sindacali.

Spesso nel libro, così come nel dibattito che si è svolto il 4 novembre 2022 nel salone del Laboratorio Civico “Carla Nespolo” di Alessandria, si scivola sulla realtà attuale o nel periodo immediatamente successivo al Sessantotto/Sessantanove italiano, altra occasione persa per migliorare le potenzialità industriali e lavorative di una nazione e creare premesse differenti per il futuro di una intera nazione. Come specificherò in chiusura di articolo, si sono perse occasioni che non ritorneranno più. Perse per eccesso di ignoranza delle leggi, dell’economia di grande e piccola scala, ancorati a modalità di opposizione validi negli anni Quaranta e Cinquanta ma non più agibili. Per il momento, intanto, godiamoci le due brevi inteerviste concesse dal presentatore dell’incontro (Renzo Penna) e dall’autore (Federico Fornaro).

D. Caro Renzo…ti faccio una domanda riguardo il “paragone” che hai provato ad evocare, e più volte ripreso nel libro di Federico Fornaro, riferita alla possibile simmetria tra il periodo 1918/1922 in Italia e quello tra il Sessantotto e il 1976. Sarebbe potuto essere diverso l’esito di quel secondo periodo di lote tra gli anni Sessanta e Ottanta dello scorso secolo? Qualcuno avrebbe potuto fare qualcosa di differente?

R. (Penna) Beh…cominciamo col ricordare che quella è stata una grande stagione. Per dimensione di scioperi e organizzazione delle lotte è giusto fare un paragone con i migliori mesi del Primo Dopoguerra. La questione sta nel fatto che nel 1968/1969 non c’era una contestazione del Parlamento ma c’erano , piuttosto, una serie di rivendicazioni, di istanze rivolte alla “politica” per arrivare ad un miglioramento delle proprie condizioni. Non solo. Proprio sulla spinta del Sessantotto e dei due o tre anni immediatamente successivi si mettono le premesse per  tutti i miglioramenti importanti del periodo. Lo Statuto dei Lavoratori e due contratti di lavoro di tipo industruiale, che poi andranno a trascinare tutto il resto (del 1970 e del 1973) che permetterannodi migliorare le condizioni di impiegati e maestranze. Fu anche il periodo dell “150 ore” annuali a disposizione di ogni lavoratore per migliorare  il proprio curriculum e per avere più cultura. Poi, però, successero altre cose e l’accenno al 1980 con la sconfitta alla FIAT va inquadrato in questo quadro. Piuttosto si possono fare molti paragoni per quanto riguarda le “forme di lotta”, a volte estreme come quelle dei 61 licenziati Fiat che non sono andate a buon fine. Le “occupazioni” di allora, forme radicali di lotta che ebbero un esteso impiego, avevano un problema  di fondo. O si arrivava ion tempi brevi a soluzioni, anche parziali, oppure si va a incentivare una spaccatura fra gli stessi lavoratori.

D. Proprio in quegli anni, d’altra parte, si stavano cominciando a vedere “nuove situazioni” in campo lavorativo, con meno fratture fra categorie di lavoratori ed altre categorie e, soprattutto, fra maestranze varie e proprietà. Era l’epoca delle prime “isole autonome di lavoro meccanico” alla Volvo e di una concezione diversa di tempi e modalità di lavoro. In Italia quella strada fu, praticamente preclusa…Come mai?

R. (Penna) Altri Sindacati, specie quelli tedeschi , hanno sviluppato di più forme  di cooperazione e corresponsabilità economica dei lavoratori. Quindi un superamento della “fase conflittuale” con contratti cooperativistici, soprattutto sulle procedure di controllo. Per la verità, in pieni anni Settanta queesto fu tenmtato anche in Italia, penso all’accordo dello 0,5 per cento finalizzato ad investimenti specifici per il Sud Italia in funzione di sviuppo compatibile finalmente emancipato da mafie e potentati locali. Allora però i partiti c’erano e si facevano sentire. E, rispetto a quell’iniziativa, si aprì una frattura fra Partito Comunista Italiano e Sindacati. Il Partito Socialista di allora tendeva ad avere una posizione più defilata e, invece il PCI avversò in tutti i modi un contatto diretto e risolutivo dei problemi tra mondo sindacale e governo.

D. Allora…caro Federico… Riprendendo i contenuti del tuo “Collasso di una Democrazia”…rimaniamo al periodo, quindi dal 1918 al 1922. Avremmo potuto avere un esito differente? Avremmo potuto  avere un “ventennio” diverso…oppure si era di fronte ad una degenerazione quasi obbligata?

R. Beh…Prima di tutto il Fascismo senza Prima Guerra Mondiale non si spiega. Detto questo…se uno ragiona guardando “a posteriori”la Marcia su Roma, che fu comunque il momento di apoteosi rivoluzionaria secondo l’iconografia fascista del potere, poteva essere tranquillamente bloccata Si tratta di un dato acclarato e confermato da più ricostruzioni. Da un punto di vista “politico” ricordiamoci che, alla fine, il Partito Fascista alle Elezioni del 1921 aveva 35 deputati compreso Mussolini a fronte di 535 di altre formazioni. C’erano pertanto “maggioranze alternative”. Quindi la risposta è “da un punto di vista in astratto il Fascismo poteva essere  bloccato o rallentato sia da un punto di vista politico, sia da un punto di vista militare. Una “lezione” che non fu presa in considerazione seriamente neoppure dai “conservatori” tedeschi che, alla fine, fecero esattamente ciò che i “liberali” avevano fatto con Mussolini. Cioè cercarono di inglobare Hitler non prendendolo molto sul serio. A tal punto che alla domanda “quanto sarebbe potuto durare quell’imbianchino?” oltretutto ad una carica impegnativa come quella di cancelliere…Erano sicuri che  sarebbe durato poco. Sotto quest’aspetto, quella errata valutazione fu di molti. A difesa di chi visse , politicamente, quel periodo  dobbiamo abmmettere che nessuno avrebbe pensato che si sarebbero trovati in condizioni drammatiche in tempi brevissimi.  La velocità impressa agli eventi, con sempre il solito cliche’…molti mezzi a disposizione, reclutamento di persone pronte a tutto, collegamenti con i gangli importanti della società del tempo, collegamenti con il mondo produttivo e finanziario, diedero i loro frutti, e in pochissimo tempo. E questo è successo, senza particolari problemi , sia in Italia che in Germania.

D – Abbiamo avuto conferma dalla presentazione del libro e da molte altre fonti del tempo che vi era una tensione profonda nella “sinistra” di allora. Con i c.d. “massimalisti” che hanno prodotto conseguenze negative che hanno portato ulteriore confusione, quindi in quell’area non vi era molto tempo da dedicare al movimento fascista. Invece tutto il mondo monarchico, che oggi vediamo in modo negativo ma che allora aveva molto peso, come mai non si è mosso?

R. La Monarchia, in realtà, stette a guardare…e a un certo punto si spaventò. Vide addirittura un opericolo per la prosecuzione del ramo di Vittorio Emanuele. Infatti il Duca d’Aosta era molto  vicini ai Fascisti. A conferma di questo …quando i “quadrumviri” trovarono alloggio e si organizzarono per la parte finale della marcia su Roma, si trovavano a Perugia. Con il Duca d’Aosta che si accampò con suoi uomini a soli quaranta chilometri dal capoluogo umbro. E questo a conferma del fatto che la situazione era complicata e, onestamente, nessuno fece nulla di rilevante che fermare le squadracce e le loro marce.

Già. Sottovalutazione eccessiva del fenomeno in atto, incapacità di vedere le questioni economico-sociali prima ancora che politiche, in una ottica di insieme, non facendosi trascinare nelle beghe di partito o nelle parcellizzazioni. Addirittura viaggi in Russia (forse per capire qualche segreto meccanismo della rivoluzione del 1917) degli stessi dirigenti delle formazioni di sinistra di allora. Sottovalutazione totale aggravata dai dubbi amletici di casa Savoia e dai cambi di casacc di molti…vista l’ascesa “irresistibile” del nuovo fenomeno.

Oggi avremmo bisogno di pari sagacia, di persone che sappiano come vanno le cose italiane, di Europa e del Mondo, in un quadro estremamente diverso sia rispetto al primo dopoguerra sia a confronto della fase comunque “spensierata” e idealista che si sviluppò tra i Sessanta e gli Ottanta dello scorso secolo.

Oggi la musica è differente e l'”amarcord” è possibile solo per qualche bicchierata tra amici in vena di ricordi facendo finata che nulla sia cambiato.

Tutto è cambiato. La stessa “democrazia” sta cambiando in continuazione. Siamo di fronte ad un ritiro dei remi in barca in condizioni di “difesa ad oltranza” per difendere quel poco che si riesce a guadagnare. Sempre più in mano a speculatori e a poteri occulti, sconosciuti pure agli stessi poteri occulti tradizionali. Con Stati che riescono ad influenzare i risultati elettorali e con problemi di lavoro generalizzati derivasnti soprattutto da una transizione non realizzata, in nessuna delle sue aree di competenza. Da quella ambientale/ecologica a quelle tecnico/lavorativa fino alle modalità di produzione e alle caratteristiche dei nuovi prodotti. Una società in rapidissimo mutamento che ha bisogno di menti altrettanto flessibili ed intuitive, con visione mondiale delle cose, obbligatoriamente plurilingue, con competenze elevante a livello informatico e di tecnica comunicativa, dispostoc a lavorare in rete su progetti e obiettivi chiari. Questo il alvoro che ci aspetta. Questa la nuova classe dirigente che, pur non cancellando il passato, parte dalle modalità di lotta di un tempo per un, autentico, salto temporale… Vedremo.   Per il momento grazie a Renzo e Federico.

 

 

 

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