Un Gattopardo alla guida del governo

La dubbia politica del nuovo esecutivo di destra nei confronti della politica europea improntata alla recessione. Come nel capolavoro di Tomasi di Lampedusa, il capovolgimento politico sembra destinato a confermare la direzione di marcia precedente

Un governo di centrodestra è alla guida dell’Italia dopo un decennio dominato dal centrosinistra. Non è un passaggio ordinario, come avviene in un regime democratico. Giorgia Meloni alla testa del nuovo governo è il capo di un partito che non è stato alla guida del governo italiano dopo la fine del fascismo. È un’indubbia novità per l’Italia e per l’Europa.

1)  Circa un anno fa, alla fine del 2021, la ripresa economica in Italia sembrava inaugurare una nuova fase di crescita e di miglioramento delle condizioni sociali. La pandemia aveva avuto risultati devastanti, ma il suo controllo annunciava un cambio di direzione verso una nuova fase di sviluppo. All’inizio del 2022, con lo scoppio della guerra in Ucraina, il quadro è radicalmente cambiato. La crisi del gas ha comportato un aumento del costo dell’energia che si è riflesso sulle condizioni delle famiglie, sulla   produzione industriale e sull’occupazione.

Nell’Eurozona, l’obiettivo di contenere l’inflazione entro il limite del 2 per cento è diventato una chimera. A fine ottobre, l’inflazione ha oscillato in Germania e in Italia intorno a un livello sei volte superiore al criterio fissato nell’Unione europea toccando il 12 per cento. Le famiglie hanno assistito al crollo del potere d’acquisto e la povertà è aumentata. Secondo i sondaggi della Caritas, il numero delle famiglie in povertà assoluta ha raggiunto livelli senza precedenti, toccando circa sei milioni di persone prive anche dei beni alimentari essenziali. L’aumento senza precedenti dell’inflazione è associato all’aumento della povertà assoluta e relativa.

Questa è la situazione che deve affrontare il nuovo governo di centrodestra, diretto da Fratelli d’Italia, il partito guidato da Giorgia Meloni che ha avuto uno straordinario successo, passando da poco più del 4 per cento ottenuto alle passate elezioni nazionali al 26 per cento. È un successo stabile?  Va ricordato che negli ultimi cinque anni altri partiti di opposizione hanno registrato risultati ancora più rilevanti. Cinque Stelle, in quanto principale partito di opposizione, ha raccolto il 32% dei voti nel 2017; e la Lega, ha ottenuto circa il 34 per cento dei voti alle successive elezioni europee del 2019.  Una chiara dimostrazione della mobilità del voto in un paese segnato da grandi difficoltà economiche e sociali e dalla sostanziale inettitudine dei governi che si sono succeduti nel corso dell’ultimo decennio. Il nuovo governo di destra realizzerà un cambiamento sostanziale della condizione attuale?

2)  In generale, un paese coinvolto in questo quadro è alla ricerca di una via d’uscita accettando la svalutazione della valuta – una misura che favorisce l’aumento dell’esportazione di beni e servizi come mezzo per accrescere la produzione interna insieme all’occupazione. Il Giappone ha seguito questa linea adottando una notevole svalutazione dello yen. Ma questa soluzione è impraticabile per i paesi dell’eurozona, essendo la moneta unica sotto il dominio della Banca Centrale Europea.

È un dato di fatto che l’aumento della spesa pubblica è necessario per rilanciare l’economia – a titolo di esempio, l’aumento della spesa pubblica in termini di stipendi dei dipendenti pubblici, come nel caso della scuola e della sanità, delle pensioni – e degli investimenti pubblici come componente essenziale di una ripresa della crescita.

Vi sono in questo senso esempi significativi in ​​Europa e fuori. A fine ottobre, la Germania, senza consultare la Commissione europea, ha deciso un investimento pubblico di 200 miliardi di euro a sostegno delle famiglie e delle imprese. Nei giorni successivi il Giappone ha deliberato, a sua volta, un aumento della spesa pubblica di pari importo, circa duecento miliardi di euro, puntando a rilanciare l’economia, favorendo consumi e investimenti. Vale la pena di ricordare che il Giappone ha un debito pubblico pari al 266 per cento del reddito nazionale – circa 120 punti maggiore di quello italiano, il più alto tra i grandi paesi dell’eurozona.  Ma questo non cambia i termini del problema. L’unico modo per ridurre il debito in percentuale del reddito nazionale è aumentare gradualmente quest’ultimo.

In proporzione in Italia sarebbe necessaria una spesa pubblica aggiuntiva di almeno 100 miliardi di euro. Ma la Commissione Europea, in quanto custode della politica finanziaria europea, è contraria alla scelta tedesca (così come a una scelta simile in Olanda e in Austria). L’opposizione della Commissione si basa su un’astratta ragione di principio, dato che la Germania ha uno dei debiti pubblici più bassi come percentuale del reddito nazionale nell’Unione europea.

3) La Commissione Europea e la BCE si muovono nella direzione opposta: propongono una riduzione del debito indipendente dall’attuale trend deflazionistico. Una posizione che accresce la speculazione nei confronti dei paesi dell’euro costretti ad aumentare il debito pubblico per fronteggiare la caduta del reddito delle famiglie. Caduta alla quale in Italia si aggiunge la riduzione degli investimenti in settori essenziali, come la sanità e la scuola, oltre al crollo degli investimenti di carattere infrastrutturale, come fonte di rilancio economico e di lotta alla disoccupazione. Non si tratta di soluzioni immaginarie, ma di interventi pubblici sperimentati dai tempi del New Deal a quelli in corso nei maggiori paesi con economia di mercato.

 L’aumento della spesa pubblica in un paese dell’eurozona per assistere le famiglie e aumentare gli investimenti pubblici comporta il rischio di un attacco speculativo dei mercati finanziari, a meno che l’aumento della spesa non sia supportato da una politica monetaria finanziata dalla Banca Centrale che riduca la necessità dello Stato di ricorrere ai mercati finanziari. Ma la BCE si muove in una direzione contraria frenando insieme la spesa pubblica e privata nell’attesa messianica di tornare a una inflazione del 2 per cento.

Se, in questo contesto, il nuovo governo di destra si adeguerà alle politiche imposte dalla Commissione europea, il risultato non si scosterà dalle previsioni ufficiali con una riduzione più o meno accentata del reddito nazionale, il blocco degli investimenti, la riduzione del potere d’acquisto delle classi medie e l’aumento povertà.

L’alternativa è chiara e radicale allo stesso tempo. Da un lato, c’è la ragionevole e, per molti versi, ovvia soluzione tedesca o giapponese per riferirci a due grandi paesi; dall’altra, la linea europea sostenuta dalla Commissione e dalla Banca Centrale. Una linea senza sbocco, se non l’aggravarsi di una situazione insostenibile che colpisce molti paesi europei oltre all’Italia. La domanda è se il governo italiano rispetterà le regole europee astrattamente indifferenti alla realtà economica di ciascun paese, o se verrà adottata una politica adeguata ai problemi della crisi. Per ora, il nuovo governo italiano di centrodestra non mostra alcuna determinazione in direzione dell’effettivo cambiamento che sarebbe necessario.

Il futuro resta incerto. L’unica cosa di cui possiamo essere certi è che senza un cambiamento radicale della politica passata, le condizioni economiche e sociali del Paese peggioreranno. Ci ritroveremo nella condizione che era al centro del celebre romanzo di Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo: “Se vogliamo che le cose rimangano come stanno, le cose devono cambiare”. Nel nostro caso niente di più del mutato colore del governo.

di Antonio Lettieri Martedì, 8 Novembre 2022 dalla Rivista eguaglianzaeliberta.it

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