Come un ladro nella notte

Sarà un evento destinato a sconvolgere la vita di una coppia come tante altre quello di cui tratta l’incipit del libro di Claudio Tugnoli, Come un ladro nella notte (Genesi Editrice): ‟Oggi Antonia ha avuto la notizia terribile della presenza di un marcatore tumorale nei risultati delle analisi del sangue”. Due righe che annunciano e riassumono, anticipandolo, quello che sarà un vero e proprio calvario per la moglie dell’autore e per lui stesso. Quel tumore infatti diverrà ben presto atrocemente invasivo/metastatico ed a poco varranno le cure, destinate solo a ritardare una fine ineluttabile. L’avvio di una tale via crucis ‒ come in molti casi analoghi ‒  è all’insegna di rabbia, sconforto, incredulità, rifiuto. Ben presto tuttavia un sentimento di difficile collocazione invaderà l’anima del testimone di questo lungo e duplice patimento. È quanto descrive/confessa con disarmata resa all’inesorabilità Tugnoli, che scrive: “Una calma, desolata e insieme febbrile rassegnazione mi aiuta a non sperare o chiedere più nulla che non sia la minor pena possibile, il dolore più sopportabile per Antonia”.

Inizia così quello che potremmo definire il diario di un compassionevole accompagnamento verso il trapasso, compiuto da parte di un marito premuroso nei confronti di una moglie inguaribile ma non incurabile. Non sembri un paradosso una simile affermazione, perché non vi è malattia o infermità d’alcun tipo della quale non si possa (vorrei dire: non si debba) prendersi cura. E non parlo, ovviamente, solo di farmaci o prestazioni sanitarie più o meno palliative ma in primo luogo di quella cura che è l’empatia sollecita, l’amore, la vicinanza affettuosa, lo stare accanto a chi soffre. Un pietoso umano, troppo umano condividere emotivamente e concretamente la sorte avversa/esiziale del proprio coniuge; condivisione che può farsi disperazione talvolta ‒ lo ammette senza falso pudore Tugnoli ‒ e angoscia esistenziale profondissima.

 Come un ladro nella notte però non si limita appena alla cronistoria degli eventi: degli alti e bassi d’una dolorosa storia a due. Questo testo è molto più che uno scritto diaristico o biografico; va persino oltre la narrazione/esposizione del quadro psicologico entro il quale i due protagonisti inscenano la loro pur diseguale sofferenza. Da buon frequentatore (e autore) di filosofia e teologia, Tugnoli affronta qui argomenti da far tremar le vene e i polsi. Come il tema dell’umana finitudine che anela tuttavia all’infinito, la irrisolta questione della teodicea (la cosiddetta giustizia di Dio) o il significato della morte visto dall’angolo prospettico della vita.

Così il racconto sul venir meno di una donna si amplia a comprendere ciò che Jean Paul ebbe a chiamare Weltschmertz o dolore del mondo; in un inesausto interrogarsi sul destino dell’essere e degli esseri, che per ognuno di noi si declina fatalmente nei tempi e nei modi riferibili al nostro singolare destino o a quello della persona amata. Ancora, il nostro Claudio si fa moderno Giobbe e si rivolge a Dio interrogandolo sul perché del male o sul senso di un vivere destinato a concludersi nell’annichilimento; ma non pretende ‒ come il celebre personaggio biblico ‒ che Dio gli risponda, consapevole che è hybris: tracotanza vana voler giungere a una simile risposta/conoscenza esaustiva. Così ad ogni capitolo narrativo o scampolo di esso viene alternato uno di carattere metanarrativo o riflessivo; ma nemmeno questo rende appieno il registro di fondo, direi anzi la peculiarità di questo libro che forse è prima di tutto un omaggio alla moglie scomparsa o semplicemente una storia d’amore oltre la morte.

Notevole è altresì la franchezza con cui Tugnoli si confessa e si apre al lettore in pagine sincere e autentiche, le quali mettono a nudo la fragilità/vulnerabilità che non appartiene certo solo a lui (e/o a chi soffre) ma all’umanità intera. Notevole l’analisi della società contemporanea abitata da uomini confusi, disincantati e distratti, inclini ad esorcizzare i problemi tramite ‟la ricerca di stordimento” e la filokinesia: smania di movimento, mutamento e immediatezza che ci fa inquieti e insoddisfatti del qui ed ora, sempre alla ricerca, come siamo, dell’altro, dell’oltre e dell’altrove.

Assai belle infine, a mio avviso, soprattutto le schegge mistico-poetiche che l’autore fa erompere dalla sua prosa sofferta, simili a brani salmistici, elegiaci, di ispirata poieticità. Come questo grido di dolore a Dio, che finisce per niente chiedere/reclamare davvero; nel segno di un’accettazione che non è rinuncia ad agire, passività, apatia o abulia ma equilibrio e saggezza spirituale. ‟O mio Signore, cambia il mio cuore, dammi quella rassegnazione che tiene lontano dall’inferno dell’ambizione, dalla frustrazione del risentimento, dalla desolazione del rimpianto. Dammi quella forza che non fa nulla, non muove nulla, non desidera nulla, non conosce sconfitte o vittorie (…) Dammi la luce che illumina ogni cosa, ma anche l’oscurità da cui ogni luce emana”.

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