Da quando è cambiato il sistema elettorale dei Comuni, è cambiata – a volte in modo anche radicale – la percezione dei cittadini nei confronti di chi chiamano a governarli. Già nel sistema precedente il sindaco rappresentava l’autorità statale più vicina alla gente. Abitava lì, magari da generazioni. Aveva vissuto lì, frequentato lo stadio, fatto colazione al bar, portato i bambini a scuola, partecipato a tutte le manifestazioni grandi e piccole alle quali aveva partecipato ognuno di noi. Quindi, era come ognuno di noi, ben più del Prefetto o del Questore, legati a una catena romana che li vedeva comunque comandati e trasferiti senza che i cittadini sapessero alcunché e potessero sapere alcunché, tranne che erano stati ricevuti, erano stati invitati, erano stati ringraziati e salutati dal sindaco in carica, a nome della cittadinanza. Poi, arrivava un altro e la catena si prolungava di un anello.
Con il sindaco, questo non poteva succedere. C’era stata battaglia, battaglia vera, per portarlo a sedersi su quello scranno. E c’erano aspettative intorno al suo governo così come intorno all’attività dei suoi assessori. Si discuteva di ciò che faceva quello ai Lavori Pubblici, all’Ambiente, alla Nettezza Urbana, all’Urbanistica, ai Trasporti. In piazzetta si discuteva dei provvedimenti presi da questo e quello, li si riconosceva se passavano di lì, ci si scappellava davanti in segno di saluto, i più intraprendenti osavano fermarli, porre quesiti, richieste, lamentazioni. Insomma, la comunità cittadina riconosceva la comunità amministrativa e ne commentava pregi e difetti, singolarmente o nella sua interezza.
Con il nuovo sistema, tutto ciò perde di significato. L’unico referente che conta, ormai, è il sindaco. E’ lui, per legge e anche nell’immaginario collettivo, quello che detiene il potere, tutto il potere. E’ lui il simbolo, la rappresentazione della città, oltre che il referente principale, e spesso unico, di tutte le istanze dei suoi abitanti. Da una parte sta la comunità, dall’altra sta l’eletto. Un uomo – o una donna – solo al comando.
La letteratura manageriale ha dimostrato quanto una simile posizione possa essere equivoca e pericolosa, al di là dell’inebriamento che può dare a chi si lascia prendere la mano dall’autocompiacimento. La scienza delle organizzazioni ha studiato, in profondità e sul campo, gli stili di direzione e di gestione, i metodi, le tecniche utilizzati dal management delle organizzazioni industriali, economiche, finanziarie, giungendo ad alcuni postulati che possono essere, con le dovute cautele, applicati anche alla situazione di cui stiamo parlando. Il primo, e più importante in assoluto, è quello della valutazione del contesto. Non esistono stili di gestione buoni in assoluto e validi per ogni stagione. Occorre tener presente le dimensioni dell’impresa, esaminarne attentamente lo stato, coglierne le negatività e le possibilità, quindi decidere quale ruolo assumere e quale ruolo far assumere ai propri collaboratori.
Come a teatro, si gioca una parte. E non crediate che il riferimento sia fuori luogo. L’unica differenza sostanziale è che a teatro si finge nel contesto di una finzione della quale sono consci tutti, spettatori compresi. Qui, nella vita reale di una comunità, le parti hanno a che fare con interessi e problemi concreti. Dunque, la situazione è ben più frammentata, provvisoria, e non esiste la possibilità di rifare il copione daccapo. Gli atti sono definitivi, così come lo diventano i ruoli delle persone che li assumono.
Ora, della crisi cittadina che stiamo vivendo, dopo il default e dopo l’assunzione della Giunta presieduta da Rita Rossa, io capisco poco e so ancor meno. So quasi niente di economia, non m’intendo per nulla di finanza, faccio fatica a seguire i giri complicati delle partecipate, dello stock del debito, dei passaggi romani per ottenere agevolazioni, sovvenzioni, remissioni, prestiti. Ho capito soltanto che la Giunta precedente ci ha lasciato in un mare di guai e che i debiti dovremo ripianarli noi. Cittadini in primo luogo, ma soprattutto lavoratori dell’Ente e delle sue partecipate.
Mi pareva che tutto ciò fosse assodato ormai da mesi e che i dubbi riguardassero soltanto la vera consistenza della cifra e le modalità d’intervento per venirne a capo. La strategia, si direbbe in un’impresa, ma immagino che si dica così anche in un Comune, che comunque in questo caso si è fatto ed è imprenditore. Se le cose stanno così, non capisco perché da qualche settimana a questa parte la strategia è cambiata. O, forse, non capisco perché era diversa quella di prima.
Nei mesi scorsi, il sindaco si è impegnato personalmente e totalmente al fianco dei cittadini e dei lavoratori. Ha tenuto un filo diretto con Roma, ha cercato il sostegno dei ministri e dei parlamentari locali, ha portato la brandina a Palazzo Rosso, ha marciato con la candela in mano, ha minacciato di incatenarsi se non avesse avuto risposte positive, ha sollecitato, questionato, contrattato con le banche, si è confrontato con le organizzazioni sindacali. Insomma, ha condotto e si è speso in prima persona per un risanamento doveroso, ma non troppo doloroso per i suoi amministrati.
Ora, invece, sempre il sindaco sta annunciando quei tagli, pesanti, che stanno aggiungendo tensione a tensione, disgregazione a disgregazione, disperazione qualche volta, oppure cupa rassegnazione.
Di fronte a tutto ciò, non posso fare a meno di pormi qualche domanda. Ma era giusta la strategia di prima? Nel contrasto fra ieri e oggi, la città sta rischiando di perdere il suo principale, se non unico riferimento aggregativo. Troppo esposto, il potere simbolico del sindaco e la sua capacità di traino risultano indeboliti, affievoliti, messi in discussione da un dibattito che ormai avviene su pronunciamenti che si colorano di pessimismo, di rabbia, di delusione.
Era giusto che il sindaco si esponesse da solo? Non era forse meglio che la sua maggioranza, la sua Giunta, i suoi assessori, intervenissero nelle questioni, distribuendo i pesi e permettendo al sindaco di riappropriarsi della posizione di mediazione, di ricomposizione, di equidistanza che dovrebbe contrassegnare il suo ruolo? Esiste una strategia condivisa? C’è un piano di interventi, che possa essere reso noto ai cittadini e formare oggetto di discussione con le parti sociali?
Beh, se tutto ciò esiste, se si vuol provare a riscrivere il copione, sarà bene che gli altri attori si diano la voce sul palco. Perché, se ci perdiamo il sindaco ci perdiamo l’amministrazione e con essa la città. Non sarà gran cosa agli occhi del mondo, ma io ad Alessandria ci sono nato, ci vivo e ci sono affezionato. Se vado a teatro, preferisco le commedie. Le tragedie non mi sono mai piaciute.