Adesso si legge che il “comitato centrale” investigherà sul caso delle tessere fantasma, quelle prese all’ultimo momento, all’ultimo secondo dell’ultimo giorno, possibilmente online: parole che denunciano l’essere di una deriva. No meglio sarebbe dire, che esse mettono in luce il riproporsi di un copione che ormai da dieci anni, puntualmente si mette in scena a livello nazionale nel Partito Democratico. Ogni tot anni eccoci a dover parlare di nuovo di tessere fasulle, di camion di votanti dalla pelle o dalla fede politica del colore sbagliato. Segno dei tempi?

Dieci anni fa nasceva un “partito non partito”: una realtà associativa che imponendo lo strumento delle primarie per il confronto democratico interno  di fatto svuotava di una parte fondamentale della propria ragione d’essere la forma partito trasformando la scelta di una linea politica e di un leader politico in un reality show personalistico e personalizzato; svuotava il senso della tessera e dell’appartenenza. Dal 2007 si sono succedute ad ondate critiche circa questo modello, promesse di riforme e poi il niente fino alla successiva ondata, al successivo pianto greco e lacrime da coccodrillo.

Anche questa volta eccoci qua: tessere fantasma; orde, ordine, ordicelle di persone che prendono la tessera nel cuor della notte susseguite da dotte critiche sul modello delle primarie. Il tutto per cosa? Niente. La struttura del congresso nazionale a livello di circoli è una vuota vestigia di ciò che era nel passato, una pantomima che serve per celebrare un’assemblea, presentare le candidature, dividersi su questo o quell’altro comunicato, l’un l’altro armarci e pugnarci un po’ per poi trovarci tra qualche settimana ad orchestrare primarie di piazza sapendo che c’è il rischio di vedere le persone più disparate mettere una “X” sul nome di questo o quel candidato mossi da una profonda giustificazione ideologica di appartenenza democratica: “ho pagato 2 euro, cosa rompi i…”

La cosa più amara è che questo gioco collettivo inzacchera e svilisce gli stessi candidati, uomini che si vedono inevitabilmente ridotti ad atteggiarsi a rock-stars per bucare uno schermo sempre più specchio nero dell’anima umana; uomini ridotti a vestir i panni dell’arlecchino per poter tentare di essere statisti. Poi, dopo essersi messi il cerone, come cantava Vecchioni, spesso è difficile capire dove finisce il volto e dove inizia la maschera.

Alla luce di tutto ciò, prego i compagni del nazionale di lasciar perdere, di non sprecare il loro tempo per indagare su questo o quell’altro pacchetto di tessere. È andata. Localmente cercheremo di mettere a posto le storture che il meccanismo che ci avete imposto ha permesso si creassero. Nel nostro piccolo cercheremo di continuare a fare esercizi di democrazia. Solo una domanda? Ma di un congresso fatto così ne aveva veramente bisogno il nostro popolo, il Paese?