Un'Italia divisa,
sempre più divisa, sempre più frammentata: a guardare la cronaca dell'ultimo,
lungo weekend questa è l'impressione principale che ci si fa. Piazze divise per
il 25 aprile, a Milano tra Rossi e Blu, a Roma tra Rossi ed Azzurri; un mondo
del lavoro spaccato tra sì e no al piano industriale Alitalia. Questa recente
pagina di storia riverbera una più lunga stagione iniziata nel tardo autunno
con la trista battaglia del referendum ed antecede la prossima pagina delle
Primarie, nate in un'atmosfera di scontro e sviluppatesi sotto la stella di
Eris.
Come molti, auspico
un orizzonte di ricomposizione e ragionevolezza, ma non sembra oggi questa la
principale chiave di lettura dell'immediato futuro. Non ci resta che fare i
conti con lo spirito del tempo, cercandovi risorse e spunti per aprire la
strada ad una stagione diversa.
Il conflitto in seno
al presente è sintomo dell'atomizzazione di uno scacchiere sociale e politico.
La lungamente declamata crisi della rappresentanza, avvertita già negli anni
Ottanta, appare oggi realtà ormai consumata e lascia dietro di sé uno scenario
in cui forme di aggregazione avvengono per lo più seguendo personalismi ed utilitarismi.
Le bandiere
sventolano ancora, ma sono sempre meno le braccia che sembrano ergerle, sempre
più solcate da rughe. La stagione della
crisi delle ideologie vissute dai primi anni Novanta ha rafforzato la
personalizzazione della politica, definendo dinamiche aggregative che tanto si
polarizzano nell'individuazione del comune nemico, quanto della scelta del
contingente amico. Un duplice movimento centrifugo che rende inversamente proporzionale
l'intensità ideologica con l'ampiezza dei confini dei partiti e dei movimenti. In
compenso le già esigue nuove leve stentano a voler calcare quei sentieri e
diventare partecipi di quelle forme di
espressione politica che vivono il presente alla luce del ricordo di ciò che
era e non sarà più.
Anche a livello di
sindacati e associazioni di categoria si vive lo spaesamento. Da una parte
trovano via via sempre più spazio realtà autonome e percorsi individuali che
danno espressione alla voce della rabbia, della crisi, dello sgomento, dell’io
contro il mondo. Dall'altra le sigle nazionali faticano ad esser interlocutori
di processi e progettazione, schiacciati da una parte dall’incapacità di
interagire su di un palcoscenico sempre più in chiave glocale dell'economia,
dall'altra da una politica nazionale e locale segnata dal clima di emergenza.
Uno scenario questo
di forte affanno, in cui è sempre più marcato il dato generazionale: una
generazione under 30 che è per lo più fuori dal mondo del lavoro ed un mondo
del lavoro comunque sempre più dal capello grigio che stenta ad a far i conti
con l'insicurezza e l'oggettivo impoverimento del presente.
Qualche anno fa si
parlava del movimento dell'Onda: un'immagine che fu scelta pensando alla forza
dello tsunami, ma che di fatto ha dato concretezza metaforica all'intermittenza
di un impegno diffuso, che oggi c'è impetuoso per vedersi domani ritratto
lontano. Causa od effetto della trasformazione sociale in corso? Forse tutte e
due. In un contesto in cui però tanto le piazze che le osterie si riempiono ad
ondate diventa più difficile costruire progetti, disegni di futuro. Il presente
è quello di una società quindi sempre più ondivaga e fragile perché laddove non
sono venute meno le distinzioni sociali tra i gruppi già protagonisti della
storia contemporanea, si son fatte più rade le possibilità di crescita
economica e culturale e meno comunemente a disposizione le risorse finanziarie.
Se le cose stanno
così e l’immagine del presente è solcata dall’approfondirsi delle distanze e
delle fratture, il cambio di segno passa attraverso piccole e grandi azioni di
senso contrario: semi di concreta utopia. Si parte dalle parole e dai
comportamenti, in particolare quelli di leadership e rappresentazione
collettiva, nell’ottica di evitare la rincorsa alla divisione e alla
distinzione. Quindi nella pratica si apre la vera sfida dell’allargamento della
leadership territoriale nell’ottica della creazione di spazi e momenti di
condivisione e co-creazione di processi: vale a dire dalla progettazione
partecipata negli enti alla discussione e condivisione dei piani industriali
nelle aziende. Infine il grande scoglio del rinnovamento generazionale: di
fronte ad un pubblico in bilico tra l’attitudine della volpe con l’uva e
l’incapacità di trovare gli strumenti per entrare nel tenzone della vita
comunitaria, sta a chi è in corsa ricercare la loro voce, metterli in
condizione di contendere: si apre in altre parole la sfida dell’essere
puramente e consciamente anti-malthusiani ed anti-spenceriani…
Ne avremo veramente
voglia?