Non so se la dichiarazione di dissesto del Comune di Alessandria del
2012, connessa ai pasticciacci precedenti della Giunta di centrodestra di
Fabbio in materia di bilancio, sia stata veramente inevitabile come si dice. In
ogni caso ha avuto pesanti conseguenze sull’immagine della Giunta di sinistra
di Rita Rossa che ha governato la città, da Palazzo Rosso, sino a pochi giorni
fa. Infatti per uscire dallo stato di dissesto, tra l’altro senza licenziare
nessuno, in modo assolutamente meritorio, com’è stato fatto, la Giunta di Rita
Rossa è stata costretta a praticare la politica delle tariffe massime e non ha
avuto, quasi sino alla fine, molti soldi da investire anche per cose
macroscopicamente urgenti. Pur avendo fatto moltissimo nell’ultimo anno. Ad
esempio, pur avendo lodevolmente risanato in modo meraviglioso il Teatro
infestato dall’amianto ai tempi di Fabbio, la Giunta Rossa non ha potuto
neanche aprirlo, sotto elezioni, con qualche grande spettacolo nella “sala
grande”, che è il”teatro vero”, perché nemmeno alla fine aveva i soldi per
comperare un migliaio di poltroncine nuove. Questa popolarità forzatamente
diminuita a causa della politica di sacrifici praticata per gran parte della
legislatura, ha certo avuto il suo peso nella sconfitta della Giunta di
sinistra della Rossa di pochi giorni fa. Ma non sarebbe bastata a determinarla.
L’altra ragione forte di sconfitta è stata illustrata in modo addirittura
scientifico, attraverso due articoli che esaminano in dettaglio voti e flussi
elettorali in Alessandria, da Giuseppe Rinaldi. Sarà un peccato se anche testi
così rilevanti - come temo accadrà - verranno presto dimenticati, o non letti
dai “politiques” alessandrini, che spesso non vogliono consumare invano “la servéla”, alias le meningi (27 e 28
giugno, qui). Il punto chiave della doppia analisi di Rinaldi, che ragiona sui
voti dati e sui flussi elettorali, in Alessandria - questi ultimi messi in luce
dall’Istituto di ricerche Cattaneo - è il fatto che Rita Rossa, come lui dimostra,
è vittima in primo luogo del fuoco amico, ossia di liste che al primo turno
l’avevano contrastata, formate da ex vicesindaci e assessori della sua Giunta,
le cui ragioni non-personali di opposizione non mi pare siano mai state
chiarite. Mentre il centrodestra si è coagulato mettendo tra parentesi i
reciproci contrasti, il centrosinistra non si è affatto unito, in termini di
liste concorrenziali, al secondo turno. Se c’erano tali ubbie contro la Rossa,
a “sinistra”, la via politicamente corretta sarebbe stata quella di chiedere,
diciamo sei mesi fa, primarie di coalizione per la nomina del candidato
sindaco, impegnandosi a rispettarne il risultato. Sarebbe stato inusuale con un
sindaco uscente, ma se c’erano tali divisioni sarebbe stato meglio. Non l’ha
chiesto nessuno. Invece la lotta tra quattro liste – Rossa, Trifoglio, Ivaldi e
Miraglia - con candidato sindaco che era stato già sindaco, vicesindaco o
assessore in giunte di sinistra, al primo turno, ovviamente riflessasi sul
secondo, ha “regalato” la Giunta al
centrodestra, come Rinaldi ha appunto dimostrato “ma-te.ma-ti-ca-men-te”.
Su ciò è stato confermato un punto chiave della politica, e della mia
disaffezione dalla politica (pur amata-odiata). Questo punto è l’ostinata
determinazione della sinistra, alessandrina ma anche italiana, nel ripetere
sempre lo stesso errore. Quasi fosse affetta da un secolo dal cretinismo
politico (sia detto senza offesa perché su altri piani il “cretino politico”
può anche essere un buon amministratore e persino ministro, o un geniale). A
volte con l’attenuante enorme di un dopoguerra “rivoluzionario”, a ridosso di
una Grande Guerra e della Rivoluzione di Lenin, come i comunisti del primo
dopoguerra, o di un Sessantotto alle porte come fu per il nostro PSIUP nato nel
’64; ma spesso senza attenuanti, e negli ultimi anni persino per “futili
motivi”, per incompatibilità di carattere o odio interpersonale, spesso per
inconfessabili attese deluse di tipo totalmente personale. La sinistra, in
sostanza, non riesce ad essere “sinistra inclusiva”, dal centro della sinistra
alla “sinistra più di sinistra”, come noi di “Città Futura”, per Statuto,
chiediamo da quindici anni (anche se pure noi spesso predichiamo bene e
razzoliamo male). E’ così difficile capire che la sinistra perde quando si
divide; e vince - o almeno rischia di vincere - quando si unisce? Possibile che
la destra, pur essendo anch’essa divisa, sia sempre capace di non spingere il
dissenso sino alle reciproche scomuniche da “Vengo anch’io, no tu no” di
Jannacci, mentre la sinistra non smette mai la pratica delle reciproche e
persino sprezzanti scomuniche reciproche? “Tutti uniti, ma senza di te, anche
se rappresenti palesemente la maggioranza” e anche se così - come diceva il mio
papà riferendomi una battuta che girava nel mio Borgo San Paolo di Torino natio
tra gli operai durante la seconda guerra mondiale, dopo il “Vinceremo” di Mussolini
arriva il “vince Romolo”. Sono errori gravi e il ripeterli sempre è “diabolicum”, come dicevano i Romani
antichi. O “cretinum”.
Adesso si spaccano Giunte e partiti addirittura per ragioni personali.
Vale anche sul Comune di Alessandria. Io sono da tanti anni lontano da tali
cose, essendo appassionato di faccende – psicologico analitiche, filosofico
religiose, o “letterarie”, oltre che politico nazionali e internazionali - che
mi coinvolgono molto di più. E tuttavia ho maturato la convinzione che quella
di Rita Rossa fosse una Giunta decisamente buona. E’ vero, avrebbe potuto
essere più dialogante con quelli che non sono dello stesso giro della politica
politicante, dai gruppi e associazioni culturali, e persino singoli
intellettuali, alla stessa gente dei sobborghi, come “qui” ha scritto anche
l’amico Cavalchini; ma è una critica che sento fare a tutte le giunte dal 1965
a oggi. E’ una critica fondata, ma non è il punto chiave, poiché la Giunta
Rossa aveva altre virtù. Infatti Rita Rossa è una grande comunicatrice e ha una
grande esperienza di amministrazione. Ho sentito, anche a Città Futura, in
questi anni, diversi esponenti importanti della sua Giunta, e altri li conosco
da una vita. Ho ascoltato diverse volte Abonante, e mi è parso convincente,
semplice e profondo persino in materie astruse come il bilancio. Ho sentito
l’assessore Ferralasco, assolutamente competente e convincente sui problemi di
sviluppo della città. Ho sentito l’assessore ingegner Lombardi, che in materia
ambientale di cose ecologiche buone ha cercato di farne parecchie. Vedo quasi tutte
le settimane Renzo Penna, che testimoniava progressi reali. E conosco e
apprezzo l’attivismo di Maria Teresa Gotta, mia antica allieva, nel campo della
Pubblica Istruzione. Ora io ho in mente tanti sindaci, vicesindaci, assessori
ai lavori pubblici o al bilancio, e così via, del passato, dal 1965 in poi, e
posso fare un po’ di confronti. “Questi qui”, che ho citato, non sfigurano di
certo al confronto. Mi sono parsi politici onesti, volenterosi e abbastanza preparati.
Nonostante la cura da cavallo imposta giocoforza contro il dissesto, senza
divisioni a sinistra “i nostri” avrebbero potuto vincere (oppure vincere o
perdere per pochi voti). E Rinaldi lo ha qui dimostrato molto bene, appunto scientificamente.
Lo attesta anche il bell’articolo di Patrizia Nosengo del 28 giugno “Palazzo verde e Italia nera”, che
giustamente spiega bene in dettaglio il molto di buono della Giunta di Rita
Rossa, che conosce meglio di me. Fa anche, come già Cavalchini, una giusta
apertura di credito, in ambito culturale, al nuovo sindaco “leghista” Cuttica
di Revigliasco. A tale apertura volentieri mi unisco “toto corde”. Da
“avversario” irriducibile, ma assolutamente leale e rispettoso, che osserva le
cose senza faziosità, mi permetto di dargli un cordiale consiglio: non
restringa il proprio ruolo alla pure importantissima promozione di cultura, all’ampio
giardinetto che i suoi potrebbero lasciargli zappettare a volontà, ma vigili
sui pescecani della destra, certo ansiosi di riprendere la vecchia prassi con
lo spirito di quel tale che, tornato dopo anni, diceva “Heri dicebamus”. Stia attento al “ritorno del rimosso”, che sarà il
suo pericolo numero uno. Anche se a una persona per bene è difficile, tutte le
mattine, mentre si fa la barba, si ripeta il vecchio adagio: “Dagli amici mi
guardi Iddio ché dai nemici mi guardo io”. Attento ai “vecchi marpioni”,
insomma. Ce ne sono anche “di sinistra”,
ma ora quelli che possono sperare di scaldarsi vicino al sole sono quelli di
centrodestra.
Patrizia mette in luce anche dati internazionali e nazionali del voto
dei nove milioni di italiani oltre che dei 75.000 votanti alessandrini. Fa bene
perché in effetti ormai la differenza tra il piano amministrativo e il piano politico
si è sfumata (e viceversa), e soprattutto perché in effetti ci sono ondate
d’opinione, come tanti anni fa mi diceva Angiolino Rossa, che influenzano ogni
votazione senza che noi ci possiamo fare molto (lui diceva “niente”).
Oggi l’opinione pubblica, in Alessandria (come ha mostrato il voto) e
dappertutto (come si sa), è scossa soprattutto dal tema dell’immigrazione, che
per noi italiani - condizionati da un lato dalla vicinanza della povera Africa alle
nostre coste e dall’altro dal trattato di Dublino, che obbliga ad accogliere
qui i salvati sui nostri mari - sta diventando un’incredibile emergenza. L’Unione
Europea dovrà: 1) farsi carico in modo proporzionale dei profughi in tutti i 27
paesi membri; 2) intervenire con un vero Piano Marshall a favore dei paesi africani,
costieri e non, devastati da guerre o fame, specie con imprese sue insediate là,
disincentivando così la spinta dei disperati a scappare in Europa; 3) magari
controllare essa stessa le coste di partenza con forze d’interposizione; o fare
tutte queste cose insieme. Se in materia non ci sarà una grande politica
europea, su tutti tali fronti (e purtroppo non è tanto probabile), il populismo
di destra riuscirà a fare in Italia quel che “in grande” fa Trump in America e
non è riuscito a fare in Francia il Front National anche grazie alla vittoria
di Macron, ma anche per il saggio sistema politico-elettorale – gollista e poi
mitterrandiano - di quel Paese. E così l’Unione Europea si sfascerà. Pure se
vincerà Grillo. Questo populismo reazionario è qui all’attacco e la stessa
Forza Italia di Berlusconi dovrà, con riluttanza,farsene una ragione. Nella
migliore delle ipotesi sarà alleata alla pari di Lega e Fratelli d’Italia
“uniti nella lotta”, cioè sotto di loro, che insieme ora sono maggioranza.
Berlusconi lo sa; cerca solo di praticare la politica dei due forni. Se il trio
Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia prevarrà, cercherà di esserne il perno e,
se ci riesce, il Capo. Se non prevarrà, cercherà l’alleanza col PD di Renzi. In
ogni caso Salvini è all’attacco. Cuttica è una persona colta e mite, ma non
stupisce che ad Alessandria sia calato più volte Salvini negli ultimi tempi,
come ci ha ricordato Penna, certo anche per rinfocolare queste paure degli
immigrati, in specie islamici, che in termini di voti per la Lega sono manna
dal cielo.
Ma oltre a questo, lo ribadisco, nella vittoria del centrodestra ha
pesato moltissimo la divisione della sinistra, su cui ormai, a livello
nazionale, le responsabilità - debbo ammetterlo onestamente, tanto più per la
mia indipendenza - si distribuiscono equamente tra avversari “di sinistra” di
Renzi e PD di Renzi.
Si dice che questa sconfitta era inaspettata. Tuttavia quando io e
Federico Fornaro, pochi mesi fa, ci siamo confrontati alla CGIL sull’allora
recentissima scissione del PD, io mi lasciai scappare di dire pubblicamente che
se avessero atteso il risultato delle amministrative di giugno invece di
rompere col PD allora, avrebbero potuto chiedere le dimissioni di Renzi con
buone possibilità di ottenerle, dopo la disfatta del 4 dicembre 2016 al
referendum e l’ulteriore riprova prevedibile di questo giugno. Ora Renzi è
forte del 70% dei militanti ed elettori espresso nel recente congresso del suo
PD, che con Bersani e compagni dentro non sarebbe stato così cospicuo. Peggio
per loro, ne sono contento perché avevano fatto troppi autogol, da ex comunisti
e da post-comunisti del 2013.
Certo
Renzi aveva sbagliato a personalizzare la battaglia referendaria, ma non credo
che sia stato il punto decisivo perché comunque la campagna, dagli avversari,
sarebbe stata personalizzata contro Renzi, a prescindere: tant’è vero che lo è
ancora adesso. Il risultato di quel referendum, comunque, secondo me ci ha
ributtato indietro di decenni sui problemi della governabilità democratica dello
Stato. Per me è stato una sciagura nazionale. Avremmo avuto almeno governi di
legislatura, forti del 55% dei voti, e un quasi-monocameralismo. Non credo
minimamente che la Corte Costituzionale, che non sta sulla luna, in caso di sì
da parte del popolo sovrano avrebbe potuto opporsi al maggioritario a due
turni, pur chiedendo qualche correzione. Ma purtroppo il “sovrano”, il
“popolo”, ha detto no 60 a 40, e bisogna farsene una ragione.
Tuttavia
non ho difficoltà a riconoscere che dopo - in questo 2017 - Renzi è parso un
motore che “batte in testa”. Ha perso un bel po’ di “spinta propulsiva”. Ha
preso “troppi pugni”. Perciò è diventato un leader oscillante, anche se io
spero molto che sappia riemergere con qualità adeguate al nuovo contesto, che
però per ora latitano. Prima - dopo il referendum - ha sostenuto un
maggioritario al 75% (Mattarellum). Poi al 50% (Rosatellum). Poi è stato molto tentato
di tornare al proporzionale travestito alla tedesca, che avrebbe portato “per
forza”, nel migliore dei casi, a un governo di legislatura con Berlusconi. Poi
è parso aprire a Prodi e Pisapia, il che avrebbe implicato un premio di
maggioranza alla coalizione invece che alla lista. Più oltre sembra aver
pensato che rimarcando l’autosufficienza del PD potrebbe diventare il Macron
italiano: il che potrebbe anche essere “giusto”, ma tenendo almeno conto del
fatto che quella situazione richiede un sistema elettorale conforme, a meno che
non si creda che Macron sia una specie di eroe senza macchia e senza paura
arrivato sul cavallo bianco come Ivanhoe tra gli applausi del popolo. Credo che
a settembre sarà necessario “scegliere” in proposito una legge elettorale nuova
e vera (se no qui”tutto a schifio finisce”,
come direbbero in Sicilia). E se per caso si pensasse di non scegliere, andando
a votare con la sentenza della Corte costituzionale appena adattata – che poi
in pratica vuol dire proporzionale puro, e di nuovo alleanza con Berlusconi
“annunciata” per il dopo elezioni- si perderà tutto. O a vantaggio di un
centrodestra unito oppure a favore del M5S (quale dei due sia peggio, in
termini di governabilità interna e rapporto con l’Unione Europea, lo sa Iddio).
Potremmo persino avere una “rottamazione alla rovescia”, con scontro finale
alla “Okay Corral” tra due allegri vecchietti ottuagenari, Berlusconi e Prodi.
Senza un decisionismo “vero” e con la sinistra in pezzi potrebbe essere la
“soluzione finale”, con alto rischio di vittoria o del centrodestra o del M5S
(o, peggio ancora, senza alcun governo possibile, con immensa gioia di tutti
gli speculatori e di tutti i criminali organizzati d’Italia e del mondo).
Ma l’atteggiamento in-decisionista di Renzi è “rose e fiori” se paragonato
al nullismo di chi sta alla sinistra
del suo PD. Renzi fa malissimo a chiudere alla sua sinistra esterna-interna
perché un’altra alleanza decente, elettoralmente credibile e perciò anche efficace,
non c’è neanche se lui “piange in cinese”; ed essere credibili “da soli”, senza
almeno un congruo premio alla prima lista, con la riserva di cercare le
alleanze “dopo”, per il PD sarà molto molto difficile. Quindi il PD,anche se
fosse renziano non al 70 (com’è), ma al 95%, ha bisogno di avere alleati ben
visibili a sinistra. Se non li avrà, sarà peggio “per lui”. Se non lo capisce o
capirà, sarà peggio “per lui”. Ma quelli della sinistra esterna al PD pongono a
Renzi una condizione democraticamente e umanamente inaccettabile: “Facciamo l’Unione,
e una legge che premi le coalizioni (e se ne può discutere), però tu, Renzi,
non devi esserne il Capo.” E’ una cosa che avrebbe fatto morire dal ridere i
comunisti da Togliatti in poi, che “alla bisogna” accettarono ben altri tipi
(da Badoglio a Andreotti). Questi qui, i nostri “sinistri”, sono minoranza
nella possibile coalizione col PD (e senza il PD “andò vanno?”). E non hanno neanche - pur facendo finta per assurdo
che si possa fare a meno del PD di Renzi - un leader comune (nell’era che
Calise dimostra essere della “democrazia del leader”, piaccia o spiaccia alle
anime belle che non hanno ancora capito che siamo nell’era della TV, di
Internet e della società liquida, post-ideologica). Sembra sempre, alla
sinistra rispetto al PD, che il “leader comune” stia per arrivare. Sono come il
popolo delle scimmie o bandar log nel Libro
della jungla di Kipling (quello vero e non quello caramelloso e degli
effetti speciali disneyano): scimmie che erano i più intelligenti di tutti gli
animali della jungla, ma che erano il solo “popolo della jungla” senza capo. Stavano
sempre per sceglierlo, ma all’ultimo momento se ne dimenticavano. E così
facevano ridere gli altri “popoli della jungla” ed erano preda facile del boa
Ka, che ne era ghiotto. Ma ammesso e non concesso - lo si vedrà in questi
precisi giorni - che le frazioni “alla sinistra” del PD di Renzi siano così
intelligenti da riconoscere l’unico “vero” leader di popolo che hanno, cioè l’ex
sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, e che così per assurdo possano arrivare al
10% dei voti, e cominciare a essere un alleato forte che condiziona il PD da
sinistra, ottenendo pure una legge elettorale favorevole alla competizione tra
coalizioni come vogliono Pisapia, Prodi, Bersani e Franceschini, - come possono
essere così fessi da pensare di poterlo fare senza riconoscere, addirittura in
partenza, la leadership di Renzi, il cui partito è sempre prossimo al 30%,
sulla Coalizione (ben inteso sinché Renzi sarà il segretario, e quindi
candidato premier, del PD, ma ora lo è, e appena indicato tramite primarie
dagli iscritti ed elettori del suo Partito, anche
col mio voto, al 70%)? E se lo rifiutano, come fanno a non capire che ciò
dà la vittoria certa o al centrodestra di Berlusconi oppure, nella migliore
delle ipotesi, al M5S di Grillo o, ancor peggio, getta il Paese
nell’ingovernabilità a tempo indeterminato? Come fanno a non dirselo tutte le
mattine, se conoscono minimamente il “principio di responsabilità”?
Per
tali ragioni a dire la verità in questa fase vedo piuttosto nero, e temo che
siamo alla vigilia di una disfatta storica della sinistra (forse iniziata proprio
il 4 dicembre 2016, e ormai quasi
fuor di controllo). Ma spero di essere smentito tramite scelte finalmente
adeguate da un lato del PD di Renzi, che al massimo entro settembre dovrà
decidere (e dire alto, chiaro e forte) con chi vuol stare nei prossimi anni e
con che legge elettorale accanitamente voluta vuole andare a votare; dall’altro
del Campo Progressista di Pisapia, che deve dimostrare di sapere e poter fare
una politica che incalzi sì il PD di Renzi da sinistra, e sui problemi più
urgenti per i lavoratori in specie disoccupati e sottoccupati, ma non mollando
neanche morto tale alleato per quanto possano strillare quelli del loggione di
sinistra che lo vorrebbero come uomo-simbolo di una sinistra possibilmente
forte, ma contro il PD di Renzi, cioè della solita sinistra “delle cause perse”
che ritiene “vera sinistra” un’attività che finisce sempre per essere
onanistica, e infatti non supera mai il 5% dei voti. Purtroppo questa nuova
sinistra - plurima e una, unita nella diversità, da Renzi e Pisapia - anche per
reciproche diffidenze, incompatibilità, retoriche, risentimenti e limiti
soggettivi non viene fuori. Così “vince Romolo”, e tutti son contenti. Forse
attraverso, come osservatore, un momento di sconforto, ma mi viene in mente il
vecchio liberale Giovanni Giolitti, che si trovava a Parigi nei giorni della
marcia fascista su Roma del 28 ottobre 1922. Un giornalista francese gli
chiese: “E ora, signor Presidente, che accadrà?”. Il vecchio Giolitti, che
solitamente aveva uno stile molto misurato e educato da vecchio liberale
cuneese dell’Ottocento, rispose: “Siamo nella merda, e ci resteremo”. Speriamo
che oggi non sia così. E soprattutto che non lo sia subito dopo le ormai
prossime elezioni politiche.
(franco.livorsi@alice,it)