L’ultima volta che abbiamo parlato di Cittadella era a metà
di luglio scorso. Erano i giorni in cui esondava da Palazzo Rosso la
soddisfazione per i 33 milioni di euro che lo Stato (per 25) e la Regione (per
8) avevano assegnato alla nostra Cittadella in funzione di un primo,
apprezzabile ”giro di lavori” per la salvaguardia e la promozione dell’insigne
monumento militare, da anni impaludato
in una minimale, avventurosa gestione fai-da-te.
C’era poi da capire, nei mesi successivi, quale impalcatura
amministrativa sarebbe stata disposta per quale successione di interventi e per
quale disegno complessivo, almeno accennato, di recupero e utilizzo della
agognata Cittadella. E c’era da controllare discretamente, sul piano del
dibattito locale, la malcelata euforia dei “daje, daje che arriveno li
quattrini”.
Ai primi di quest’anno i
social media hanno dato
notizia, e divulgato l’ampio testo, dell’atteso e primo documento attuativo
centrato sul contributo statale. Si tratta del “protocollo d’intesa” intercorso
tra MIBACT (Ministero competente), Regione Piemonte e Comune di Alessandria per l’effettuazione
degli interventi per la conservazione e valorizzazione della Cittadella. Sei
fitte pagine con ampia premessa e 12 articoli.
E’ stato presentato come una pietra miliare nell’annoso e
inconcludente itinerario del monumento post-smilitarizzazione, ma è soprattutto
un testo di alta prosa burocratica, non
facilmente apprezzabile – con i suoi richiami tecnici e le ridondanze lessicali
– dai non addetti ai lavori che ambiscano a ricavarne un succo attendibile
riguardo al futuro assetto della Cittadella.
Sarà facile, suppongo, opporre che tal “protocollo” non è il
documento decisivo atto ad illuminare, almeno per grandi linee, trasformazioni
e usi finali della Fortezza e che, per soddisfare la (non proprio insana)
curiosità, occorrerà attendere un altro, o forse un altro ancora, elaborato
d’alto lignaggio. Va bene, aspettiamo. Ma con qualche preoccupazione di
ritrovarci inopinatamente by-passati da altri sagaci percorsi decisionali,
specie in ordine agli obiettivi di “valorizzazione”del monumento: termine di
largo impiego ma che l’esperienza consiglia di accogliere con la massima
circospezione date le impensabili derive cui è soggetto.
Tutto ciò premesso, il protocollo in questione, sfrondato
delle circonvoluzioni di circostanza, è un documento di spesa (mette in moto
l’erogazione scaglionata dei 25 milioni statali) e di connesse procedure
d’ordine consultivo o decisionale (chi partecipa e come ai vari passaggi
attuativi).
Il programma di spesa è articolato su sei anni (2017- 2022)
con quote a crescere vistosamente secondo l’entità dei lavori previsti o
prevedibili: 4,5 milioni nel primo
triennio e 20,5 nel secondo.
Le risorse per il primo triennio (2017-19) appaiono
compatibili con gli interventi più
urgenti e sistematici di messa in
sicurezza del complesso monumentale, con particolare riguardo all’arresto e al
recupero del degrado connesso con la
devastazione (tetti e murature) da piante infestanti. Finora, per memoria, si
erano resi disponibili alla bisogna solo i 50.000 euro del FAI.
Nel passaggio tra il primo e il secondo triennio si porrà
inevitabilmente il notevole problema
delle “reti di servizio” (idrico, energetico etc.) da installare ex novo
o da rinnovare radicalmente in previsione di utenze/destinazioni assai più
consistenti e/o esigenti. A cominciare, anche in termini di tempo, dal Ministero che si è già “accaparrato“
giustamente, sulla carta, idonei spazi per una sua stabile delegazione in loco.
A ruota, la questione, la si giri come si vuole, degli
edifici esistenti, delle varie tipologie storiche del casermaggio - e perfino,
come si è sentito più volte ventilare, di eventuali nuove costruzioni “integrative”
del patrimonio ereditato - si porrà inevitabilmente, esplicitamente, entro la
fine del presente decennio: quali interventi di adeguamento/rifacimento
interno e per quali specifiche destinazioni d’uso. A botte di 6-8 milioni
l’anno non si può lasciar intendere che saremo sempre nella normale,
incontestabile, “messa in sicurezza”.
A questo appuntamento, abbastanza ravvicinato, la città,
politica in testa, si presenta incomprensibilmente piuttosto distratta, quasi
che con una semplice operazione di taglia-e-incolla sulle proposte, sensate e
non, circolate in anni di chiacchiere in libertà, si potesse decidere (e chi
poi?) il destino unitario, ancorché non necessariamente uniforme, della
Cittadella. Il fatto poi che in Piazza della Libertà si respiri la convinzione
che il futuro della Cittadella sia affrontabile in regime di sana autarchia
mandrogna e che a nessuno sia mai venuto in mente, che si sappia, di andare a
vedere, anche col minimale ricorso ad internet, come si sono comportate, e con
quale dignitoso percorso, le diverse città europee che hanno affrontato
problemi di salvaguardia
storico-monumentale simili al nostro, lascia emergere qualche spunto di
perplessità
Il tutto, non certo per sminuire l’importanza dell’attuale
Protocollo d’Intesa e delle buone notizie che porta appresso, ma perché,
esperienza insegna, che quando ci sono di mezzo tranches di
finanziamenti, con relative scadenze (tipo prendi o lascia), possono
verificarsi delle circostanze (ritardi o impellenze varie) in cui occorre decidere
dalla sera alla mattina su tematiche di lungo corso sulle quali, per un motivo
o per l’altro, si è malauguratamente
traccheggiato.
Contiamo che non sia
mai il nostro caso.