«Candidàti [o: càndidati...] alla carica di Sindaco» (e due sassolini elettorali)
Come tutti i governi
precedenti di qualunque segno, anche l'ottimo Gentiloni aveva provveduto
debitamente a disinnescare in via preventiva il referendum indicandone la data,
escludente altre contemporanee consultazioni che avrebbero fatto risparmiare,
per il 28 maggio. Ineffabile la tendenza di tutti indistintamente a non far
emergere mai la volontà popolare e a depotenziare progressivamente fino alla
dissoluzione l'unico strumento di democrazia diretta previsto dalla
Costituzione, l'abrogativo, peraltro già per suo conto impossibilitato a
riprendersi dalla diabolica botta micidiale che gli assestò nel 2005 il
cardinal Ruini, nomen omen. Alla faccia del risparmio di pubblico danaro
con l'election day, Minniti ha finalmente indicato anche la data –rimasta
vieppiù improvvidamente balneare, di conseguenza, dopo lo stop ai referendum
dato dalla Cassazione, mentre le Prefetture andavano avanti, non si sa mai...- della
tornata amministrativa attesissima e temutissima: primo turno l'11, eventuali
ballottaggi il 25 giugno.
Il pesce di aprile
azzeccatissimo di „AlessandriaNews“, che annunciava -giubilandolo genialmente
nel contempo da ogni incarico direttivo nella testata e nell'Associazione che
le è contigua...- la candidatura di
Alessio Del Sarto come ulteriore aspirante alla nuova "sindacatura"
(ormai si dice così: mah? „Razza 'e nnomme!“ avrebbe esclamato in pugliese mia nonna Rosina) ha
avuto anche il merito di mostrare insieme, per così dire, la nudità del re e la
gratuità surreale di determinati gesti.
Ormai assente da anni
dalla residenza cittadina, e ancor più dalle sue liste elettorali (l'ultimo
voto alessandrino fu quello amministrativo,
vanamente e senza entusiasmo espresso a favore della riconferma della
coalizione di Mara Scagni nel 2007) posso togliermi il piacere di osservare da
lontano le immancabili grandi manovre in vista del prossimo rinnovo della
"consiliatura" -come usa dire adesso con altrettanto assurdorrendo
neologismo- del nostro negletto capoluogo di provincia.
L'amico Piero Bottino, che
da quando ha conosciuto il sollievo della pensione in luogo del peso di
responsabile redazionale si diverte con pagine di davvero ottimo giornalismo
presso che quotidianamente sulla "Stampa", qualche tempo fa si
trastullava a prevedere che alla fine dei giochi i "candidati alla carica
di sindaco" avrebbero finito per non essere meno dei demenziali 17
(ricordo bene? diciassette!) della tornata di cinque anni fa. La bravissima
Valentina Frezzato, che ricordo con orgoglio mia brillante laureata pavese con
tesi sul da entrambi amato Visconti, lo seconda spesso con pezzettini di informazione
politica altrettanto rutilanti leggerezza e ironia, dando luogo a cronache
puntuali degli eventi -si fa per dire- della campagna elettorale. Purtroppo
accompagnati da foto testimonianti l'inesorabile declino fisico di
immarcescibili long distance runners della politica locale e, quando si
verifica, la presenza patetica di vecchie glorie televisive al botulino,
peraltro egualmente indispensabili per riuscire a convocare -se non si ha la
benedizione, forse temporanea, delle cinque stelle- più di quei soliti quattro
gatti che ai vecchi bei tempi si sarebbero definiti "attivisti" (come
potremmo chiamarli oggi: passivisti?).
La previsione di Bottino,
stavolta, sembra però via via smentita dai fatti: il numero complessivo degli
aspiranti alla fascia tricolore e alla successiva impopolarità cittadina
diffusa pare volersi assestare definitivamente, pur annoverando anche in
extremis l'irriducibilità testarda di Locci, sulla metà dell'indimenticabile 2012
(ero in ballo per il consiglio anch’io e ho quasi rischiato di „uscire“: vi
rendete conto di che baratro?).
Proviamo a contarli. C'è
la sindaca uscente, cui va dato atto quanto meno di un coraggio leonino, data
la sua posizione di gradimento in graduatoria nazionale: Hollande nell'identica
situazione si è rivelato al confronto un rinunciatario pusillanime. I
concorrenti più temibili le appaiono sicuramente l'architetto grillino,
concittadino ma: 1) sconosciuto agli alessandrini; 2) per quanto almeno ne so, assolutamente nuovo a
cose politico-amministrative; 3) designato da un numero -immagino- modestissimo
di supporters algoritmici o non. Per l'attuale psicologia dell'elettore medio i
tre requisiti, che in tempi normali avrebbero fatto sganasciare fino alle
lacrime anche gli amici del bar dello Sport, potrebbero rivelarsi altrettante
carte vincenti, specie se unificabili tra loro come appaiono. Gianfranco Cuttica di Revigliasco è un po'
nella situazione opposta: ha un curriculum di esperienze in materia di tutto
rispetto, è persona generalmente ritenuta seria e stimata al di là (o al di
qua) del suo essere misteriosamente leghista di vecchia data, può insomma dire
credibilmente la sua. Ma la candidatura è frutto del vecchio modello di accordo
regionale tra i tre partiti di destra: a lui Asti, a te Cuneo, a me
Alessandria. C'è tutto quanto pare atto a disgustare a priori l'elettore di cui
sopra (quello per capirci che vota Trump negli Usa, sì alla Brexit in Gran
Bretagna, Marine ma non solo in Francia, e via dicendo). E tuttavia la
percezione cittadina prevalente dell'ultimo quinquennio non pare lavorargli
contro a priori. La candidatura un po' paradossale, da coniglio fuori dal
cilindro, della dottoressa Trifoglio sotto le insegne borgogliane (un po' alla
Macron, se si vuole, fatte le debite proporzioni: non "né di destra né di
sinistra" ma "insieme ex-destra ed ex-sinistra"...), presentata come last minute ma evidentemente incubata da
tempo (basta vedere il simbolo scelto!), ha tutte le carte in regola rispetto
all'aria che tira, al punto da far quasi apparire istituzionale e di
establishment quella pentastellare. Certo che la Rossa ne ha prodotti di
transfughi dal suo lido! Vi si aggiunga Gianni Ivaldi, che anche lui si
presenta, anche se rischia di fare un po' l'Hamon della situazione, ma se n'è
gghiuto anche il giovane neoconsigliere Annaratone. [Perfino l'umile
sottoscritto, se rimasto da quelle parti, non se la sarebbe sentita di
riconfermare una fiducia che l'esperienza traumatizzante alla Fondazione Teatro
Regionale Alessandrino (mi arrivano ancora ingiunzioni previdenziali e fiscali:
sono tre anni che mi pago un legale di tasca) ha dimostrato, mi spiace dirlo,
tanto politicamente che umanamente del tutto infondata]. Si aggiunga ancora ai
pentiti Miraglia, già eminenza grigia (in tutti i sensi…) delle maggioranze di
centrosinistra dai tempi della Scagni, formidabile compositore di liste tanto
improbabili quanto inusitatamente vincenti anche altrove (quella di Tortona
2014 l'ho vista comporre coi miei occhi) e oggi in crisi di moderazione coi
Moderati. Confessando, per quanto mi riguarda, di non aver capito bene in che
consista la prima cosa né, fin all'origine, cosa diavolo sia la seconda.
Questa diaspora sembrerebbe
più tipica della giuntine e maggioranzine comunaline improvvisate dei paesini
con centinaia di abitanti -come troppi tuttora anche nella nostra provincia-
dove sindaco, vice e assessori litigano dopo aver vinto col solito simbolo
civico della Spiga contro la Torre che dir si voglia o viceversa, che non di un
capoluogo con oltre 90.000 anime. Fa effettivamente riflettere, e dovranno
essere i votanti alessandrini a interrogarsi in merito, se lo riterranno.
Resterebbero Locci e Kovacich, che sono stati documentati,
diligenti e agguerriti consiglieri comunali, l'uno fino a ieri, l'altro nel
passato remoto. Ma si sa che l'elettorato italiano in genere non ama "le
estreme" (o almeno così era prima del fenomeno migratorio di massa: adesso
è tutto da vedere!). E quello alessandrino, se possibile, ancora meno: anche se
si smentì due volte consecutive, mandando di slancio a Palazzo Rosso la Calvo
nel '93 e riconfermandola al giro dopo, negli anni puri e duri della
Lega bossiana. Si fa però fatica, adesso, ad ammettere a occhi bassi che,
convinzioni politiche a parte e improvvida dedica postuma proprio della
Biblioteca eccettuata, la subito dopo sfortunatissima Francesca, rispetto agli
scenari successivi e all‘odierno, appare tendenzialmente titaneggiante. Bisognerebbe
parlare poi anche di Giovanni Barosini, che era sicurissimo di diventare
sindaco cinque anni fa (me lo disse chiacchierando tutti e due con un
eccellente gelato di Grom in mano, in pieno corso Roma) e dovrà rassegnarsi
addirittura stavolta alla non candidatura, pur avendo lavorato da sempre allo
scopo contrario (il coraggio di Locci, non tutti se lo possono dare).
**********
Tutto questo volo d'uccello è a ben pensarci di assoluta
inutilità, tranne che per far intuire al già probabilmente annoiato lettore che
se fossi ancora iscritto nelle liste elettorali alessandrine non saprei
assolutamente per chi accidenti votare (non che da altre parti vada molto
meglio...). Ma vorrei utilizzare spazio e pazienza degli ipotetici destinatari
per sviluppare un paio di rudimentali riflessioni più generali.
La prima riguarda la legge
elettorale comunale ormai da tempo in vigore.
Nel recente pezzo sul Milan
cinesizzato, avevo dichiarato scherzosamente che il mio autoridimensionamento
dalla militanza politica risalisse al non aver assolutamente previsto l'esplosione
berlusconiana del '94. In realtà la ragione seria e autentica è quella,
immediatamente antecedente nel tempo e politicamente connessa nelle
conseguenze, di aver appoggiato molto attivamente nel referendum vittorioso
(perfino un comizio con l'implausibile on. Gianni Rivera, mio primitivo idolo
calcistico, al cinema Ambra!) il comitato Segni. La cui affermazione ebbe come
immediata conseguenza il regalarci -capendolo già la sera delle elezioni...-
Berlusconi presidente del Consiglio, e il tandem inobliabile
Pivetti-Scognamiglio alla testa delle due Camere (poi il secondo sarebbe
diventato addirittura ministro della Difesa... col governo d'Alema, ma lasciamo
andare).
La legge elettorale per i
sindaci non mi è mai piaciuta e meno ancora mi piace oggi.
Polemica sul "sindaco
d'Italia" (l'abbiamo provato e visto come va...) e sulla sopravvalutazione
politica della figura dei sindaci delle metropoli a parte. Un tempo si faceva
il sindaco dei capoluoghi come incarico di passaggio o quasi, per poi arrivare
a Montecitorio o a Palazzo Madama,; oggi per l‘esserlo in sé e quindi pesare da
quella posizione sulla politica nazionale: Pisapia e De Magistris, Doria e
Sala, Zedda e Tosi, Orlando e Bianco, Bitonci e Pizzarotti, Appendino e …Raggi!
(poi va come va). E tuttavia, anche se sulle prime non sembra, si è diventati
più prudenti e ritrosi, avendo realizzato i rischi dell'eccessivo
caratterizzarsi come addetto ai lavori della politica. Infatti quella
vastissima percentuale di concittadini che nel primo mezzo secolo della
Repubblica si era con allegra e derisoria pervicacia strafregato della cosa
pubblica stessa, limitandosi al massimo ad andare a votare sommessamente DC
ogni cinque anni, come un faticoso e noioso dovere da compiere scazzati e senza
dare nell'occhio, improvvisamente si è risvegliata tra l'indignazione per
Tangentopoli e l'entusiasmo per la "discesa in campo", vogliosa solo
di cancellare una buona volta definitivamente dall'orizzonte "i
comunisti" (che nel frattempo, se ancora sopravviventi per sparute isole
nella corrente, avevano già provveduto ad autocancellarsi). Il loro attuale
sbocco si ripartisce tra Salvini, Grillo e PdR attuale e soprattutto futuro,
dopo il residuo di primarie di domenica prossima e la fuoriuscita, in sè
doverosa e ovvia, ma ormai tardiva e
malmotivabile di conseguenza, di quanti stanno per ritrovarsi sotto l'egida di
quell'Articolo 1 che la coscienza complessiva del nostro Paese ha
smarrito da tempo, ammesso e non concesso l'avesse mai contemplato.
La legge sui sindaci,
preoccupatissima della "governabilità" degli enti locali territoriali
(che nel frattempo, tra un federalismo e l'altro e i relativi contrordini,
venivano progressivamente depauperati di ogni possibile risorsa, e non solo dai
Tremonti...), ha di fatto svuotato totalmente il ruolo dei consigli comunali,
ridotti a meri passacarte formali delle determinazioni di giunta. Senza
peraltro riuscire ad assegnare sul serio ai sindaci la reale indipendenza
assoluta in diretta relazione coi soli elettori, dal momento che "i
partiti" hanno spesso potuto continuare a esercitare le debite influenze
di minimanuale Cencelli di periferia. Come se non bastasse, è stato via via
ridotto il numero dei consiglieri in propozione a quello degli abitanti, fino a
far rassomigliare le assemblee comunali più a riunioni di famiglia ristrette
che ad organismi rappresentativi di un'intera comunità cittadina. In piena
coerenza, d'altra parte, coi limiti del relativo mandato, appunto delimitato al
ruolo di yesmen con potere di inutili interpellanze, interrogazioni, e mozioni.
Chi coltivi ancora la perversa voglia di seguire gli ordini del giorno dei
consigli comunali si renderà conto che, al di là degli stanchi rituali
ricorrenti dell'approvazione dei bilanci di previsione e dei conti consuntivi,
la sostanza politica dei dibattiti e il loro conseguente interesse sono stati
condotti al sottozero. Infatti, si
avvertono anche le prime crepe, nonostante tutto, nella corsa alle candidature:
è della "Stampa" di stamattina, mentre scrivo, un breve reportage sui
restii ad accettarla, a cominciare dal dottor Maconi, che peraltro molti
avevano già addirittura preconizzato
candidabile della destra a sindaco fin da cinque anni fa.
E tuttavia. E tuttavia
pare esserci ancora un mucchio di gente vogliosa di diventare consigliere
comunale: questo almeno si deduce bighellonando un po' per la città e vedendo
occhieggiare dalle plance delle pubbliche affissioni a pagamento faccioni
vecchi e nuovi, non sempre affidatisi a fotografi provetti, di reiterabili
uscenti e aspiranti entranti. In attesa di subentrare sugli spazi metallici
elettorali ufficiali e gratuiti, quando ci sarà il via libera a utilizzarli,
per riempirli di concorrenziali manifesti affiancati e neutralizzantisi a
vicenda, che tutti passeranno via puntigliosamente senza guardare, fino alle
due fatali domeniche di giugno (perchè è evidente che comunque si… ballotterà:
chi, lo vedremo).
Un po' diversa la
situazione psicologica dei candidabili sindaci, anche se a ben guardare
altrettanto ardua da decifrare. Oggi la legislazione vigente stracarica i primi
cittadini di oneri e responsabilità totalmente sproporziati ai loro effettivi
poteri, a cominciare da quelli concernenti sicurezza e sanità pubblica. La
spada di Damocle della responsabilità oggettiva grava sulla loro testa in
maniera imponderabile, e imprevedibile fino all'inimmaginabile: la pesante
condanna della povera Marta Vincenzi a Genova perchè è piovuto, Comune ladro,
avrebbe dovuto servire da monito a futura memoria anche per i più spericolati. In
aggiunta, in molte città si sono venute stratificandosi e incrostandosi cd.
"macchine comunali" sulle quali il potere di effettiva incidenza
modificatrice della componente politica, formalmente preposta e rinnovata dal
lavacro dell’urna, tende a sua volta disperatamente allo zero.
E tuttavia, appunto, i
candidati non mancano mai: i già in carica, con rarissime eccezioni, tendono
disperatamente alla riconferma. D'altra parte fu Bersani -ricordate?- nel
comizio conclusivo in piazza Marconi del 2012, in nome dell'allora costruenda
"Italia Bene Comune" sulla scia del vittorioso referendum sull'acqua,
a profetizzare che la Rossa ,Alessandria, l'avrebbe guidata dieci anni. E gli
aspiranti ad entrare le escogitano tutte per dare adito reale all'invito (come
diceva qualunquisticamente mio padre) del "levati tu che mi ci metto
io". Ma anche tutti loro, i
«candidato alla carica di Sindaco», come reciterà pomposamente il manifesto
ufficiale di simboli e liste, dovranno fare attenzione: il curioso quesito
fotografico empirico descritto proprio oggi ancora da «Alessandrianews»
dimostra che di strada, per essere anche
soltanto noti ai loro concittadini (ad eccezione appunto di Rossa per
evidenziabilità di carica, di Trifoglio per oggettive benemerenze mediche
e di … Del Sarto perchè il 1° aprile dura ventiquattr‘ore) debbono farne ancora
tanta.
Sassolino 1 - Ne
approfitto per dire conseguentemente la mia, da irresponsabile un po' irritato,
sulla "legge elettorale". Alla faccia, francamente, di tutti i
nostalgici soloni pontificanti sulla
"governabilità" degaulle-crax-gelliana (stabilità:la forma di govermo
prediletta dai veri padroni politici del mondo, che sono oggi gli
"investitori stranieri", alias Mercato: che bella l'infanzia quando
la mamma mi portava al mercato a comprare frutta e verdura...). Sono, lo si
sarà intuito, per un ritorno al proporzionale con preferenze senza premi di
sorta ("premiare" chi e perché, poi?). Sono stufo di vedere ogni x
anni il mio peraltro comunque inutilissimo voto deformato o addirittura
azzerato come quello di don Ciccio Tumeo nel Gattopardo, e questo
addirittura già dopo avermi distorto preventivamente il braccio impugnante la
matita per scegliere il meno peggio. In passato, nel collegio uninominale,
tanto per non fare nomi, mi è toccato votare se non ricordo male addirittura un
paio di volte per riconfermare il senatore, ora viceministro, Morando, dalla
cui incipiente linea politica di quegli anni cominciava a separarmi tutto (e
adesso ditemi che mi sono sbagliato). Non mi interessa niente sapere «chi sia
il vincitore la sera stessa delle elezioni»; trovo del tutto normale che si
negozino coalizioni di maggioranza per governare a camere elette: è la
democrazia, bellezza! Spagna e Belgio sono di recente rimasti senza
"governabilità" per un tempo eterno, e "ai Mercati" non è
fregato proprio un bel niente, anzi, il maledetto spread gli correva pure
meglio. Napolitano dopo le ultime elezioni senza proporzionale ha imposto
proprio una coalizione, e che Signora Coalizione: ma quello là con Letta non
era Silvio??. E non voglio più ritrovarmi senza la minima soddisfazione di
poter esercitare, sia pure costituzionalmente per interposta persona, almeno un
piccolo "diritto di tribuna" a Montecitorio e a Palazzo Madama, e per
conseguenza in tv e sui media (in rete possiamo essere tribunizi tutti, purché
con la consapevolezza che la faccenda non conta, perl'ovvio effetto inflattivo,
un accidente di niente: uno vale zero, a cominciare naturalmente da questo
articolo). Oppure mi si spieghi perchè la "legge truffa" nel '53 era
truffa e invece adesso è diventata dovere civico. L'età e l'esperienza mi hanno
dimostrato che si può nuotare anche in pochissima acqua: ma almeno quella
pochissima, accidenti, lasciatamela!
Sassolino 2 - Leggo
sulla «Stampa», la mattina della Festa della Liberazione, dei presunti ritardi
del Pd provinciale nel divulgare numero e ubicazione dei seggi per le primarie
di domenica prossima. Ma l'occhio mi corre anche sulle annesse liste dei
candidati all'"Assemblea Nazionale" (del partito, non temete, non
della Francia...) che verrà eletta contestualmente. Quella pro Matteo Renzi è
aperta dal nome dell'on. Fabio Lavagno di Casale Monferrato. Non ho motivo per
nascondere che la cosa mi indigna profondamente. Lavagno era coordinatore
regionale di SEL appunto al tempo delle elezioni che consacrarono (si fa
per dire...) Rita Rossa. L'anno successivo approdò sotto la stessa insegna
politica alla Camera, non soltanto col mio voto, ma anche col modesto quanto
convinto e diffuso sostegno, che ebbe da parte
mia e di molti altri allora davvero militanti, a cominciare da mia
moglie Loretta, che ne fu in zona tra i più convinti e fattivi fautori. Che non
molto dopo sia uscito dal partito per approdare al Pd ci lasciò di stucco, per
mantenersi eleganti. Ma che in brevissimi anni di "militanza" nella
nuova formazione si sia scoperto addirittura anche renziano, pur non essendo
stato né il primo né l'ultimo -a cominciare da Migliore, ex-capogruppo
parlamentare rifondarolo e ora addirittura sottosegretario con Renzi e in
fotocopia anche lui con Gentiloni...- è cosa che francamente supera i limiti
della decenza. Capisco le ragioni che indussero i padri costituenti a rigettare
con l’art. 67 il vincolo di mandato: ma l'Italia di allora… mandava alle Camere
e alla Costituente solo "onorevoli" autentici, ovvero persone serie e
comunque coerenti e credibili. Oggi, all'epoca dei Razzi e degli Scilipoti
(figli come tanti altri della "porcata" di Calderoli) la cosa non ha più senso e va
eliminata.Eh no,non ci siamo proprio, caro on. Lavagno: se io ti ho votato
sotto quel simbolo, e poi a te viene una crisi di coscienza o un'ansia da
mancata rielezione che sia, mi dispiace, ma ti dimetti e lasci il posto al
primo non eletto di quella stessa lista, che abbiamo votato tu, io e un po' di
altri. Se l'avessi fatto a suo tempo, saresti guarito preventivamente anche
dalla comunque sterile ansia da mancata rielezione.