All’inizio del 1973, con il Movimento di Cooperazione Educativa all’apice,
Delmo Maestri, Assessore alla P.I.Cultura e Teatro, riuscì, come solo lui
sapeva fare, a catturare Gianni Rodari. Venne in Alessandria, sala stracolma,
gente in piedi; Delmo era un omone, Gianni piccolo e minuto, con uno sguardo
vivissimo. Il tema della conferenza era “LA GRAMMATICA DELLA FANTASIA”, appena
uscito da Einaudi, che sarà la guida di generazioni di insegnanti della scuola
dell’obbligo e delle magistrali. Un libro strano: 45 capitoletti, in cui Rodari
alternava coltissime dissertazioni teoriche a racconti delle sue visite nelle
classi elementari, chiamato dalle maestre (c’era una lista di attesa) in cui
inventava una storia insieme ai bambini. Ricordo che due anni prima, a Roma,
avevo firmato una petizione contro un direttore, appoggiato dal Comitato dei
Genitori, i quali, poiché Rodari era un ex redattore di “Paese sera”, gli vietò
di entrare. Aveva appena vinto il Premio Andersen, il Nobel della letteratura
per l'infanzia.
Rodari parlò di una gita in montagna con la figlioletta Paola, e amici con
i loro pargoli. L’argomento dell’andata fu la cacca, descritta e sviscerata in
tutte le sue possibilità. Si saranno divertiti più gli adulti dei piccoli,
entusiasti. Poi raccontò una storia bellissima dal libro: “Luce e scarpe”,
quindi: “Che cosa succederebbe se”, esaltando l’errore creativo dei bambini:
“sbagliando s’inventa”. “Molti errori dei bambini sono creazioni autonome,
utili ad assimilare una realtà sconosciuta”, “Gli errori fanno ridere, per cui
bisogna ridere degli errori”. Giancarlo Bertolino ne scrisse un acuto saggio su
“Quaderno di scuola”, rivista diretta da Giuseppe Amadio, n. 13, maggio ’81. Il
miglior studio su Rodari è quello del docente universitario genovese Pino
Boero, “Una storia tante storie”, Einaudi, Torino, 1992. Applausi scroscianti;
Delmo visibilmente soddisfatto.
In prima media al “Vivaldi”, assegnai il tema in classe. “Cosa succederebbe
se un coccodrillo si presentasse a Scommettiamo”. Un amico sociologo li lesse,
ne scelse tre (Daniela Alini, Luca Raina, Gian Luca Roasio), pubblicandoli
sull’autorevole rivista “ALTRIMEDIA” di Milano, n. 15, 1978. Ho spesso usato il
consiglio di Rodari: l'esercizio “Cosa accade dopo”, il quale può essere
applicato a tutti i romanzi e film, dall’Odissea (ci ha pensato Dante), alla
Mandragola, a Una questione privata, ai western (l’eroe tornerà?).
Intanto Delmo guardava, col suo sorriso longobardo, Rodari, come il
filologo dell’opera di Bandello guarda il redattore del “Corriere dei piccoli”.
Ci fu un bel dibattito; io, pur ammirando il genio, espressi il mio
dissenso sulla valutazione positiva che Rodari aveva dato della seria rivista
cattolica “Orientamenti pedagogici”. Avevo 26 anni e insegnavo alla scuola
media di Ticineto. Rodari mi guardò con benevolenza, capì che il mio scopo era
fare il bastian contrario, e di fatto non mi rispose. Il mio amico Fulvio
Quattrocchio (allora maestro, oggi Dirigente Scolastico) mi fece notare che il
mio intervento gli era parso confuso.
Finita la serata, la cena, in una pizzeria che definire modesta, come
peraltro l’albergo trovato per il relatore (non usava ancora la permanenza
presso gli eccellenti “Buoi rossi”), è un eufemismo, Delmo, il quale non mi
aveva mai visto prima e non sapeva neppure il mio nome, mi invitò; eravamo
pochi, e Rodari, abituato alle trattorie romane, si scatenò, parlando con Delmo
della scuola italiana.
Alla fine della cena, Delmo mi chiese se volevo entrare nella costituenda
“Commissione Biblioteca del Comune”, che aveva lo scopo di elaborare un
progetto per farla rinascere. Ne fecero parte il direttore della biblioteca di
Alessandria, dott. Antonio Panizza, il prof. di ragioneria Ettore Regalzi,
sabaudo rappresentante del PLI, il prof. Guido Ratti, esperto di biblioteconomia,
e io.
Pochi mesi dopo venne Umberto Eco, a presentare “Il costume di casa”,
contenente il celeberrimo “Elogio di Franti”, che è soprattutto una critica
della scuola italiana ai tempi del “Cuore” di De Amicis. Folla incredibile,
tifo da stadio: Eco era geniale nel catturare il pubblico con la sua dialettica
degli opposti. Stessa pizzeria, ove Eco si mise a scrivere i suoi
geroglifici enigmistici sulla tovaglia di carta, rimbrottato con fare paterno
da Delmo, il quale gli impose: smettila di pasticciare stupidaggini. Eco annuì,
e si mise a parlare di Parigi, dove conosceva tutti quelli come lui. Mi preme
ricordare che proprio alla biblioteca di Alessandria Eco si fermò alcuni giorni
per scrivere una parte di “Come si fa una tesi di laurea” Bompiani, Milano,
1977, uno dei suoi capolavori.
La commissione, che operava a titolo gratuito, si riunì alcune volte,
finché nell’ottobre ’73, Maestri, inviso al centralismo democratico dell'allora
PCI, si dimise da Assessore.
Ma lo ricordo, inferocito, quando nel febbraio del 1978 alcune scolaresche
furono portate nel nuovissimo Teatro Comunale, di cui era il Presidente, e si
comportavano male: carte e cibo per terra, gomme americane appiccicate
dovunque, scavalcamento delle poltrone ecc. IL problema del rapporto
Teatro-Scuole lo affrontò da par suo Nuccio Lodato (“Quaderno di Scuola n.8,
1979). Maestri era tra le tende all’ingresso della sala, 1200 posti, gremita;
come una furia si lanciò sul palcoscenico, battè più volte i piedi sul legno,
rosso di rabbia, con le vene del collo e gli occhi in fuori. Ottenuto subito
silenzio, rimproverò la platea con un tono che spaventò persino gli insegnanti
e il personale. La proiezione del film, credo “L’albero degli zoccoli”, iniziò
e proseguì in un silenzio totale, mentre il sergente di Kubrick camminava nel
buio al bordo delle file, stringendo i pugni. Caspita, che forza. Chissà in
Consiglio Comunale. Avercene ancora di intellettuali così.
Grazie Delmo, per quello che hai dato alla scuola e alla
città.
elvio bombonato