Il 30 aprile del 1944 - 70 anni fa - cadeva di domenica, in
tutte le chiese di fede cristiana si celebrava la festa dell’Ascensione ed era
una limpida giornata di sole. La ricorda come se fosse oggi la signora Carla,
che all’epoca aveva 11 anni. Nella scuola Carlo Zanzi del suo quartiere, il Cristo,
frequentava, infatti, l’ultimo anno delle elementari. E ancora non sapeva che gli
eventi di quel giorno l’avrebbero costretta a interrompere bruscamente e in
anticipo le lezioni.
L’Italia da quattro anni era in guerra alleata della
Germania nazista e dopo gli accadimenti dell’8 settembre del ’43 si trovava
divisa tra il centro e il sud - occupati e gradualmente liberati dagli
angloamericani - e il nord in mano all’esercito tedesco e ai fascisti della Repubblica
di Salò. Nella prima decade di quel mese di aprile, sulle pendici dell’Appennino
ligure, c’era stato un’imponente rastrellamento nazi-fascista che si era
stretto attorno a Capanne di Marcarolo, dove operava un consistente gruppo di
partigiani e di giovani renitenti alla leva. Catturati nelle vicinanze della
Cascina Benedicta in 147 vennero fucilati sul posto e sepolti in fosse comuni.
E i restanti deportati nei campi di concentramento nazisti, dai quali solo
pochi faranno ritorno.
Sino a quell’ultimo giorno di aprile Alessandria era stata sostanzialmente
risparmiata dai bombardamenti che si erano massicciamente concentrati - sino al
’43 per opera degli inglesi e in seguito da parte degli americani - soprattutto
sulle tre principali città industriali del nord: Torino, Milano e Genova. A
dire il vero vi era stato un primo bombardamento nella notte del 14 agosto del
’40 - due mesi dopo l’ingresso in guerra dell’Italia - che aveva colpito la
cascina Pistona nel territorio di Litta Parodi. Un episodio di scarso
significato bellico, ma che aveva avuto un grande impatto sull’opinione
pubblica della città. Le vittime in totale erano state 12: cinque componenti
della famiglia che abitava il cascinale, di cui tre bambini, cinque Vigili del
Fuoco a causa dello scoppio di una bomba inesplosa, un operaio della
Montecatini e un soldato.
L’abitazione di Carla - che è ancora la stessa di oggi - faceva
parte di un piccolo nucleo di case a due piani, tutte con il cortile e l’orto,
allineate perpendicolarmente a Corso Acqui; si trovavano, nella parte più a sud
del Cristo, tra campi coltivati e fossi per l’irrigazione, a metà strada tra le
cascine della Boida, della Pipignera e a pochi passi dalla Boidina. Una parte
di città che nel dopoguerra si è molto inurbata e, per chi non ha seguito da
vicino questo intenso sviluppo, risulta oggi difficile ritrovare persino i
riferimenti di quei luoghi. Alcuni, come l’antica masseria dei Marchesi Ghilini,
in rovina, altri trasformati e inglobati in nuove abitazioni. Parliamo di un
tempo nel quale al posto dell’attuale corso Carlo Marx correva un canale e
nella zona dove oggi il corso si unisce alla strada per Acqui esisteva una
turbina nelle cui acque si arrischiavano solo i nuotatori più esperti. E mio
padre, che me lo raccontava, era tra questi.
Su un lato della casa, che i vecchi avevano pensato come una
costruzione unica, abitava la cugina Maria Iose, registrata all’anagrafe con
l’accento sulla “e”, in omaggio alla principessa del Belgio sposa di Umberto II
di Savoia nel ’30, proprio l’anno in cui era nata. Quella domenica, mentre le
donne erano alle prese con le cucine, le due ragazze si trovavano fuori,
nell’orto. Da ultimo, insieme con Domenico, il papà di Iose, era arrivato anche
Elio che di Iose era cugino e aveva la sua stessa età. Elio abitava due case
più in là, una distanza di poche decine di metri che, però, quel giorno
risulterà decisiva. Per ripararsi dalle bombe, subito dopo il cortile, i
genitori avevano scavato nella terra un rifugio che Carla ricorda come ben
fatto, con i posti dove sedersi e le traverse della ferrovia usate per
puntellare le pareti della stanza e il tetto.
Ma cosa c’era da bombardare in quella zona periferica della
città, fatta di poche case sparse e, qua e la, di cascine immerse nella
campagna? Certo, più a nord, verso la città, dove oggi si è insediato uno dei
tanti supermercati, la società Mino G.B. e figli occupava centinaia di
dipendenti e si era riconvertita alla produzione di materiale bellico, specializzandosi
nella fabbricazione di proiettili tradizionali e perforanti. E poi, al di qua
di via Vecchia dei Bagliani, si estendeva l’importante scalo merci della ferrovia. Un insediamento
che aveva fatto del Cristo una zona molto abitata da famiglie di ferrovieri. Tra
le quali anche quella di Elio.
Era da poco trascorso il mezzogiorno quando, preannunciate
dall’allarme delle sirene, una nutrita formazione di aerei proveniente da
nord-ovest e diretta in diagonale verso la città si presentò visibile e alta nel cielo. Carla ricorda ancora
nitidamente il riflesso della luce del sole sulle carlinghe che si trasformava
in bagliori e tanti punti luminosi. Uno spettacolo tragico, ma anche
un’attrazione nuova che catturava lo sguardo, quando la voce gridata di
qualcuno avvertì che gli aerei si stavano disponendo per sganciare il loro
carico mortale. Con un salutare scappellotto papà Sebastiano la spedì nel
rifugio dove tutti stavano scendendo. Carla - e anche Iose lo ricordava -
sostiene di aver visto Elio nella luce della scala ancora fuori, nel cortile,
con in mano del pane e della cioccolata, quando, improvvisa, scoppiò la prima
bomba. Seguita da una seconda. Gli occupanti del rifugio furono schiacciati
dalla terra smossa e completamente impediti nei movimenti. Domenico, il papà di
Iose, fu colpito dallo scoppio mentre scendeva le scale e per un lungo tempo
chiese invano aiuto al fratello. Cessata l’incursione i soccorsi, rimovendo la
terra con i badili e le mani, tirarono fuori e liberarono, uno ad uno, gli
occupanti di quello che era stato un rifugio. Doloranti e scossi, ma salvi. Il corpo
di Domenico, che aveva 41 anni, fu subito trovato dai soccorritori, invece per
individuare quello di Elio, che di anni ne avrebbe compiuto quattordici il 16 di
agosto, fu necessario scavare. Mentre la mamma lo cercava altrove. Entrambi
furono adagiati sul letto di una delle poche stanze della parte bassa della
casa che si era salvata. Giunse anche un prete a benedire le salme, ma,
nell’esasperazione e nel dolore per quello che era accaduto, non da tutti fu
bene accolto. Carla ricorda ancora che del trasporto dei due corpi al
camposanto di Casalbagliano si occuparono, insieme ai parenti, i Vigili del
Fuoco.
Quel giorno centinaia di bombe dirompenti caddero su
Alessandria, i quartieri più colpiti furono il Cristo e il borgo del Littorio,
l’attuale zona attorno a piazza Turati. Le vittime accertate 239, in maggioranza
casalinghe (75), bambini e studenti (45), ferrovieri, operai e artigiani (59).
I militari deceduti, quasi tutti nella caserma prossima alla frazione di
Cabanette, furono 17. Carla rammenta che i campi attorno alla sua abitazione
erano stati completamente stravolti e crateri enormi segnavano i punti dove
erano cadute le bombe. In città vennero colpiti e gravemente lesionati numerosi
edifici pubblici e chiese: il Duomo, la chiesa di S. Alessandro, il Palazzo
Trotti Bentivoglio, la Biblioteca storica del Risorgimento e, nella notte di
lunedì, in un secondo attacco aereo, venne colpito da una bomba incendiaria e
distrutto l’antico Teatro Municipale.
Quel terribile “battesimo del sangue” di Alessandria - come titolò
la cronaca de “Il Piccolo” dell’8 maggio ’44 - mise anche in evidenza la
disorganizzazione e la carenza di mezzi con la quale le autorità cittadine
fronteggiavano quegli eventi drammatici: la cerimonia funebre indetta dal
Comune per mercoledì 3 maggio alle ore 9 si svolse senza che tutte le salme
fossero estratte dalle rovine e, fatto ancora più grave, senza essere riusciti
a dare sepoltura a quelle recuperate e riconosciute. I cittadini colpiti negli
affetti e con le case distrutte o lesionate dovettero, insomma, cavarsela da
soli, o con l’aiuto di amici e parenti. A settembre di quell’anno le persone
costrette a “sfollare” dal solo concentrico urbano saranno quasi 10 mila. Tra
queste la famiglia di Carla e di Iose si trasferirono, in un primo tempo, a
Villa del Foro e, in seguito e sino al termine del conflitto, a Castelnuovo
Bormida; i genitori di Elio per un periodo furono sfollati a Casalbagliano, ma
poi decisero di tornare nella loro
abitazione.
Se la domenica del 30 aprile ’44 è stata la più tragica per
numero di vittime, le incursioni e i bombardamenti si protrassero per tutto
l’anno. Interessando i ponti ferroviari sulla Bormida e il Tanaro, l’area della
stazione ferroviaria, il palazzo della Gil e le officine del Gas. Il 5
settembre un nuovo massacro riguardò il rifugio di Borgo Cittadella posto sotto
la statale; qui una bomba dirompente uccise 39 persone, ma per 20 fu
impossibile il riconoscimento. E un ultimo terribile atto di guerra, totalmente
ingiustificato, interessò il centro di Alessandria a due settimane dalla liberazione
della città: nel primo pomeriggio del 5 aprile 1945 un massiccio bombardamento
a tappeto ad opera di caccia bombardieri anglo-americani causò 160 morti e
centinaia di feriti. E’ l’episodio che gli alessandrini più ricordano perché
tra le vittime, quasi tutte civili, quaranta tra bambini e suore facevano parte
dell’asilo di via Gagliaudo.
Alessandria è stato l’ultimo centro della provincia ad
essere liberato dalla presenza delle truppe tedesche. Incursioni e morti
c’erano stati anche il 14 e il 24 aprile. Il 29, dopo estenuanti trattative, venne
firmata in Cattedrale la resa che segnò la fine delle ostilità e della guerra. Al
termine del conflitto le vittime civili dei bombardamenti di Alessandria, quasi
tutte avvenute nell’ultimo anno, risulteranno essere 522. Tra il primo e il
secondo conflitto mondiale, che ha segnato la prima metà del secolo scorso e ha
avuto in entrambi i casi origine in Europa, il fronte della guerra si è
spostato dai confini disputati a caro prezzo dagli uomini in divisa e ha
investito con i bombardamenti e le devastazioni direttamente le città, coinvolgendo
le popolazioni inermi. Una strategia di guerra, quella portata dentro e contro
le città, che è risultata, infine, decisiva.
Anche per sottolineare questo aspetto e a settant’anni da
quei tragici accadimenti la memoria per il sacrificio di quelle persone
innocenti e delle loro famiglie deve uscire dalla dimenticanza ed essere
riconosciuta con una manifestazione e un atto pubblico. Rappresenta un doveroso
impegno civile e al contempo costituisce un monito rivolto, in particolare,
alle nuove generazioni per il ripudio della guerra - come prevede l’articolo 11
della nostra Costituzione - e la riaffermazione del valore della pace.
Alessandria, 28 aprile 2014
NB: le date degli accadimenti e i riferimenti numerici delle
vittime sono tratti dal testo: “1940-1945 Bombardamenti alleati su Alessandria”
curato da Piero Sacchi nel novembre 1985 per l’ISRAL