Mi aggancio all'articolo scritto dallo
storico Agostino Pietrasanta "Se l'orrore diventa incredibile"
pubblicato su Appunti Alessandrini il 15/1/2017, che ricorda la figura di JAN
KARSKI. Aggiungo solo che a Torino ci sarà una mostra a lui
dedicata a Palazzo Da Pozzo della Cisterna, e ricordo la terribile
testimonianza (riguardante lo sterminio in atto degli ebrei, di lui cattolico
praticante, che invano cercò di convincere ad intervenire Churchill e
Roosevelt, sostanzialmente disinteressrati) resa piangendo al regista CLAUDE
LANZMANN, autore del celebre documentario "SHOAH".
La sua vicenda di
testimone inascoltato, ricorda vagamente quella di LUCE D'ERAMO, 18enne
fascista che dopo l' 8 settembre scappò di casa recandosi in Germania per
verificare se fossero vere le dicerie sull'Olocausto. Rimane sconvolta,
partecipa alla resistenza tedesca, arrestata e rispedita in Italia, sale su un
treno diretto a Dachau. La raccontà in una specie di diario: DEVIAZIONE,
scritto in quattro parti in tempi diversi, e pubblicato da Mondadori nel 1979,
con notevole successo di vendite.
Si crede che la
Germania durante la guerra fosse uno Stato organizzato: niente di più falso,
c'erano 9 milioni di lavoratori stranieri, un caos indescrivibile
ovunque, la città che nascose più ebrei, salvandoli, fu Berlino.
Funzionavano, purtroppo bene, l'esercito e la burocrazia statale.
La domanda
cruciale è ancora la stessa: i tedeschi sapevano dei campi di sterminio,
con le camere a gas e i forni crematori? I ferrovieri tutti: in
molti campi l'arrivo del treno era a ridosso delle camere a gas, pienamente
funzionanti con l'odore nauseabondo dei forni crematori. I deportati
pagavano il biglietto di sola andata. Raoul Hilberg (autore del
monumentale saggio "La distruzione degli Ebrei d'Europa")
dichiara a Lanzmann, mostrandogli il foglio di viaggio di uno dei treni che
arrivavano a Treblinka: "So che il burocrate di turno lo ha avuto anche
lui tra le mani; è un oggetto concreto. E' tutto ciò che rimane. I morti non ci
sono più".
La selezione
veniva fatta appena i deportati scendevano dal treno: anziani, malati, bambini
finivano direttamente nelle camere a gas. Se il Lager era al completo, ci
finivano tutti subito, come capitò ai 500mila ebrei ungheresi arrivati per
ultimi, catturati dalle croci di ferro, partito di estrema destra
collaborazionista. Alcuni quotidiani tedeschi stampavano la pubblicità di
una ditta che fabbricava forni crematori, descrivendone i
pregi: quando la vide, Primo Levi ebbe un mezzo infarto.
Molti Lager (erano centinaia) si trovavavo nei pressi di grandi città, perché
fornivano manodopera a costo irrisorio alle grandi industrie
tedesche. E nessun lavoratore tedesco si è mai chiesto da dove
venissero e che fine facessero questi compagni vestiti da forzati, che
cambiavamo ogni tre mesi per graduale estinzione dovuta all'insufficienza del
vitto rispetto al lavoro da compiere? E i genitori dei bambini tedeschi
che ricevevano in regalo i giocattoli, scarpe, vestiti, tolti ai bambini
ebrei, non si sono mai domandati da dove provenissero ? Esatto il
giudizio non rancoroso di PRIMO LEVI, che volle studiare la Shoah da scienziato
qual era: " La maggior parte dei tedeschi non sapevano perché non volevano
sapere, anzi perché volevano non sapere". Basti pensare alle marce
della morte, a piedi, organizzate in fretta e furia per sgombrare i Lager
all'arrivo degli eserciti russo e americano, con i deportati che morivano come
mosche per strada: impossibile che i civili tedeschi non li
vedessero e non si ponessero delle domande.
Nel '42, man
mano che l'esercito tedesco avanzava in Russia, gli ebrei venivano sterminati
mediante fucilazioni di massa dalle Einsatzgruppen, dopo essersi scavata una
lunga fossa, oppure rinchiusi in camion e uccisi mediante il gas di scarico.
Hilberg calcola che nell'Est europeo, tramite la collaborazione fattiva delle
popolazioni "liberate" dal comunismo sovietico, furono uccisi in
questo modo un milione e trecentomila ebrei.
I
Lager erano governati da pochi tedeschi, i sorveglianti erano
ucraini, estoni, lettoni, lituani, e soprattutto deportati collaborativi
(la zona grigia, li chiama Primo Levi). I campi di sterminio di Treblinka,
Sobibor e Belzec erano comandati da 92 tedeschi, che da soli, grazie ai
collaboratori, sterminarono un miliome e mezzo di ebrei.
Quando
cominciarono le deportazioni dalla Francia, Olanda, Belgio e poi Italia,
l'individuazione degli ebrei e i loro arresti erano effettuati dalla
polizia locale. Si distinse per ferocia quella di Vichy; invece
tutti gli ebrei danesi furono portati in Svezia e salvati dal governo danese,
che si oppose alle pretese dei tedeschi. Anche i capi dell'esercito
italiano si rifiutarono di consegnare gli ebrei abitanti nelle zone da esso
occupate. Dopo l'8 settembre '43 nella Repubblica di Salò il
compenso era di 5000 lire per ogni ebreo denunciato. Il padre di Anna
Frank, l'unico sopravvissuto della famiglia, tornato ad Amsterdam trovò la sua
casa occupata da colui che li aveva traditi. La stessa
cosa accadde a Parigi, che per i primi anni fu la città col più alto
tenore di vita e di lusso d'Europa: vi venivano mandati in
licenza premio i militari della Wermacht: ristoranti, alberghi, locali
di intrattenimento, negozi, cinema, teatri guadagnavano cifre astronomiche.
Eppure grazie a un colonnello francese stabilitosi a Londra, con la
radio, la Francia fu considerata uno dei paesi vincitori:
ironia della storia, mentre la maggioranza dei francesi furono coinvolti e
gaudenti del massacro, particolarmente attivi anche contro i partigiani
francesi. Il contrario accadde per l'Italia: dopo l'8
settembre, la Resistenza non la ripulì del peccato originale di Mussolini
e di Vittorio Emanuele III. Mio padre, servizio militare in Albania,
salvato dalla malaria, altrimenti sarebbe finito in Russia (vedi Nuto
Revelli, grande raccoglitore di testimonianze scritte e orali), ragioniere,
diventò vice direttore della più importante fabbrica di Fiume, il Silurificio,
e ha aiutato Giovanni Palatucci a nascondere alcuni ebrei; poi fu profugo
giuliano a Genova. A 50 km. (ricordo che parte del Veneto era stata
annessa direttamente al 3° Reich) da Fiume, c'era a Trieste l'unico campo di
sterminio d'Italia: la risiera di San Sabba, minuscolo, dove furono gasate 5000
persone.
La "zona
grigia" è l'aspetto più terribile dei Lager. C'era scarsa
solidarietà fra i prigionieri, ridotti alla fame, alla lotta quotidiana per la
sopravvivenza, alla mercè dei capricci di assassini (lo fa vedere Spielberg in
"Schindler List". Il regista ha organizzato e finanziato
un'operazione immensa di interviste filmate ai sopravvissuti, prima che
scompaiano). Primo Levi la analizza nel 2° capitolo de "I sommersi e
i salvati": l'animo umano di fronte a un attacco esterno di dimensioni
annientanti, come quello nazista, non sceglie l'unione contro l'aguzzino, ma la
cosiddetta guerra fra poveri. La classe ibrida dei prigionieri
funzionari, perlopiù tedeschi nel Lager per motivi politici o perché
delinquenti comuni, ma pur sempre di razza ariana.
Buchenwald fu
forse il peggiore dei Lager, fondato già nel 1937, per I politici e
l'eliminazione dei disabili (strappati alle suore), a solo 8 km da Weimar, in
Turingia, diviso in blocchi, e via via allargato, con la camera a gas e I forni
crematori. Alla fine 1944 la liberazione degli USA, furono
trovati vivi alcune migliaia di prigionieri (sul massimo di 238.980),
scampati alla marcia della morte. Si era sviluppata una seria resistenza:
900 bambini furono nascosti e salvati. Vi morì anche la
principessa Mafalda di Savoia, dissanguata, in un'operazione finita male.
Era gestito direttamente dalle SS, coadiuvate da condannati
tedeschi. Gli oppositori o ebrei tedeschi, medici e
scienziati, vi venivano mandati apporta, affinché aiutassero a compiere
gli esperimenti più spaventosi, alcuni indirizzati a studiare l'agonia.
Gli ebrei non erano molti: folta presenza invece di zingari, omosessuali,
testimoni di Geova, dementi, disabili, bambini , prigionieri di guerra russi
. Si praticava l'annientamento per mezzo del lavoro (manodopera per
la BMW), la malnutrizione, le epidemie. L'ospedale costruito nel bosco,
salvando la quercia di Goethe, serviva non a curare, ma per gli esperimenti: vi
lavoravano 70 medici e 280 infermieri. Oltre ai colpi di pistola alla
nuca, alle fucilazioni, sono stati trovato 48 ganci da macellaio per le
impiccagioni. Le latrine erano enormi vasche di legno, svuotate dai
prigionieri di notte con secchi. Chi vi cadeva, moriva (vedi la sequenza
del film di Spielberg in cu un bambino si salva immergendosi nella latrina; le
scarpette rosse della poesia della Lussu avranno ispirato le sequenze dalla
bimba col cappottino rosso). I liberatori americani obbligarono gli
abitanti di Weimar a visitare il campo. Molte testimonianze emersero già al
clemente Processo di Norimberga, che commutava le pene di morte in pochi anni
di prigione. Passata la Turingia sotto l'URSS, alcuni processi furono
rifatti, con condanne a morte per I crimini più terribili, eseguite immediantamente.
Visitò il Lager in
quei giorni, anche Joyce Lussu,
intellettuale cosmopolita, moglie dell'autore di "Un anno
sull'altipiano" che scrisse questa poesia:
C'E' UN PAIO DI
SCARPETTE ROSSE
numero
ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola
interna si vede ancora la marca di fabbrica
"Schulze
Monaco".
c'è un paio di
scarpette rosse
in cima a un
mucchio di scarpette infantili
a Buchenwald.
più in là c'è un
mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e
castane
a Buchenwald.
servivano a far
coperte per soldati
non si sprecava
nulla
e i bimbi li
spogliavano e li radevano
prima di spingerli
nelle camere a gas
c'è un paio di
scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald.
erano di un
bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che
colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto
lo possiamo immaginare
si sa come
piangono i bambini .
anche i suoi
piedini
li possiamo
immaginare
scarpa numero
ventiquattro
per l'eternità.
perchè i piedini
dei bambini morti non crescono.
c'è un paio di
scarpette rosse
a Buchenwald.
quasi nuove
perchè i piedini
dei bambini morti
non consumano le
suole.
La lirica si fonda sul contrasto
tra il registro dolce, affettuoso, delicato, tenero, materno usato dalla
poetessa, e l'orrore dell'ambiente in cui è collocata. Le
parole ricorrenti, che ritmano I versi, sono: un paio di scarpette
rosse, piedini, e Buchenwald.
Voglio chiudere
questi appunti, con la perfidia di Umberto Saba, che si riferisce a Benedetto
Croce, prima liberale, poi fascista (dopo il delitto Matteotti votò la fiducia
al nuovo governo Mussolini, nonostante il discorso che annunciava
l'arrivo della dittatura, poi non fascista, sempre senatore e
Accademico d'Italia, tollerato come un fiore all'occhiello dal regime; di
nuovo liberale nel dopoguerra:
Ultimo CROCE
"In una casa dove uno s'impicca, altri si ammazzano fra
di loro, altri si danno alla prostituzione o muoiono faticosamente
di fame, altri ancora vengono avviati al carcere o al manicomio, si
apre una porta e si vede una vecchia signora che suona - molto bene - la
spinetta. ("Scorciatorie e raccontini").
- Oltre agli
autori citati, mi sono avvalso degli studi o testimonianze di: Anna Foa,
Ernesto Ferrero, Marco Belpoliti, Pier Vincenzo Mengaldo, Enzo Collotti,
Rosetta Loy, Alberto Cavaglion, Frediano Sessi, Rudolf Hoss, Jean Amery, Shlomo
Venezia, Mary Berg, Anna Maria Bruzzone, Hannah Arendt, Gitta Sereny, Robert
Antelme., Laurus Robuffo, e compiendo verifiche sull'opera collettiva
"Storia della Shoah", pubblicata dalla UTET.
elvio bombonato