Chiudere col soccorso in mare ed avviare una politica di immigrazione regolare
MA
QUANTI NE DOVRANNO MORIRE PER CAMBIARE POLITICA?
Avverto che sarò lungo, necessariamente.
Se volete, potete evitare la lettura di questa riflessione scaturita mentre ero in preda al turbamento per
l’inquietante notizia (in corso di accertamento giudiziario) degli immigrati
cristiani gettati in pasto agli squali da una quindicina di compagni di
sventura di fede islamica e alla quale se n’è aggiunta un’altra, più terribile
e agghiacciante, di un nuovo naufragio che potrebbe aver provocato la morte di
700 (900?) immigrati.
A
fronte di tali tragedie e di altre che si annunciano, viene da chiedersi: ma
quanti migranti devono ancora morire per mettere fine a questo vergognoso
mercimonio di esseri umani che, da circa vent’anni, si sta svolgendo nel
Mediterraneo, intorno e dentro la nostra civilissima Europa?
Come da copione, le reazioni sono
state da un lato le dichiarazioni commosse, lacrimevoli, ipocrite o talvolta sincere,
di autorità, ministri e ciambellani che, per tutto questo tempo, si sono
limitati a gestire la parte finale del turpe mercimonio e dall’altro lato il
bieco odio razzista di chi cavalca la tigre anti-immigrati per calcoli
meramente elettorali.
C’è poi una categoria di benpensanti
che cosparge d’invettive l’universo mondo che prima di pontificare avrebbe il
dovere di meglio documentarsi su fenomeno, sulle sue origini e soprattutto
sulle ragioni che alimentano il crescente malcontento popolare.
Reazioni, posizioni diverse per
gravità, ma un po’ tutte ripetitive e inconcludenti poiché - come si vede - non
hanno risolto il problema, semmai l’hanno aggravato, fino a farlo diventare
esplosivo come oggi appare.
CHIUDERE
IL CAPITOLO DEL SOCCORSO IN MARE E APRIRE QUELLO DELL’IMMIGRAZIONE REGOLARE
La condanna delle strumentali posizioni
di Lega nord e di taluni esponenti della destra deve far pensare che se queste
forze si spingono a tali estremi è perché trovano un certo riscontro (facendosene
megafono assordante) in settori non trascurabili dell’opinione pubblica.
Dall’altra
parte, risulta poco credibile la posizione diciamo maggioritaria di
“centro-sinistra” che, in sostanza, propone un “miglioramento” del servizio di
trasporto in mare delle masse crescenti di migranti manipolati da sfruttatori
crudeli e senza scrupoli.
Visti
i risultati catastrofici, penso che bisognerebbe terminare questa tragica e
inconcludente esperienza e cambiare completamente registro nel campo della
politica di accoglienza degli immigrati, per superare positivamente questa
“emergenza” che continuano a chiamare umanitaria.
Emergenza? Per essere tale, dovrebbe
svolgersi (aprirsi e chiudere) entro un limite temporale breve oltre il quale
si trasforma in un inferno disumano e ingovernabile.
Da
tempo, quel limite è stato superato e la realtà affiora con nettezza, per
quella che è: un barbaro sistema schiavistico, ben collaudato e lucroso,
che - come hanno dimostrato diverse inchieste giudiziarie e giornalistiche-
parte da territori lontanissimi per approdare sulle nostre coste, passando, in
gran parte, per la Libia
“liberata” dalle armate inviate da alcuni stolti governi della Nato, fra cui
l’Italia.
NON
SERVE RECRIMINARE, MA PROPORRE GIUSTE SOLUZIONI
Di fronte alla tragedia in atto e ai
pericoli di varia natura che s’intravvedono non è tempo di recriminare, ma di
pensare alle migliori soluzioni possibili.
Che fare? Questo è il vero, urgente
problema.
La risposta non è a portata di mano
e comunque spetta darla alle forze politiche e sociali, alle autorità preposte,
italiane ed europee.
A noi, cittadini di Sicilia che
assistiamo, attoniti e impotenti, agli sbarchi di disperati o dei loro
cadaveri, non resta che ricordare- per ciò che può valere- l’iniziativa
politica e parlamentare intrapresa, negli anni ’80, dal PCI ossia dal più
grande partito della sinistra italiana.
Il nostro criterio ispiratore, il
metro di misura era quello di assicurare agli immigrati gli stessi diritti (e
doveri) richiesti per i lavoratori italiani all’estero.
Perché
gli emigrati in cerca di un lavoro onesto sono tutti uguali!
Lo ricordo non per nostalgia, ma per
tentare d’indicare una via più umana, più giusta.
Si
partì con l’organizzazione, a Palermo, della prima conferenza nazionale e
unitaria sull’immigrazione araba alla quale presero parte- come si può notare
dalla documentazione allegata - rappresentanti dei governi centrale e
regionale, di ambasciate arabe, di
partiti, sindacati, associazioni e delle diverse confessioni di fede.
Un evento talmente importante da
indurre il ministero dell’interno a pubblicarne e a diffonderne gli atti
integrali.
ACCORDI
BILATERALI E MULTILATERALI D’IMMIGRAZIONE
In base alle riflessioni e alle
ipotesi scaturite dalla conferenza, alcuni
parlamentari comunisti presentammo alla Camera dei Deputati un disegno di legge
(n. 2990 del 24 nov. 1981) ) all’insegna di due valori fondamentali: la
solidarietà e la legalità.
Per
gli immigrati chiedevamo il massimo ossia l’equiparazione con i diritti
acquisiti dai lavoratori italiani mediante le dure lotte del biennio 1968-69,
ma eravamo contro l’immigrazione irregolare, il traffico degli esseri umani, il
mercato nero delle braccia, le
discriminazioni razziali e/o religiose, ecc.
Per non restare nel vago indicammo
all’art.10 sanzioni adeguate contro i
profittatori locali e internazionali, contro ogni illegalità.
Tenendo
conto delle esperienze più evolute d’Europa, l’impianto propositivo era basato
sull’esigenza di programmare e regolare i flussi secondo le esigenze del Paese,
garantendo, al contempo, diritti e una accoglienza dignitosa agli immigrati
mediante accordi bilaterali con i paesi d’origine.
Paradossalmente, quella proposta non
fu approvata perché ritenuta giusta, umana, forse troppo umana, giacché equiparava
gli immigrati ai lavoratori italiani.
Questa la verità sussurrata, ma non dichiarata
da padroni e padroncini che temevano una legge siffatta perché annullava la
“convenienza” economica dell’immigrazione.
Come oggi, anche allora si preferiva
un’immigrazione illegale, clandestina per alimentare il mercato nero del
lavoro, abbattere i costi di produzione e, se del caso, usare come clava per
indebolire, demolire il sistema di tutele e dei diritti dei lavoratori
italiani. Il Job Act è figlio di tale
contesto.
L’ATTO
DI RICHIAMO. PERCHE NO?
Certo, dal 1981 a oggi, molte cose sono
cambiate e le proposte vanno adeguate alle nuove condizioni createsi, tuttavia
solidarietà e legalità restano punti di riferimento validi che debbono
procedere di pari passo.
Per
favorire e regolarizzare il processo di accoglienza si potrebbe fare ricorso
(perché no?) a un classico istituto caduto in disuso: il famoso “atto di
richiamo” che consentiva a un immigrato regolarizzato di potere “chiamare” un
parente, un amico assumendosene gli oneri del viaggio, di vitto e alloggio e aiutandolo
a trovare un lavoro entro un tempo congruo.
Il richiamante s’impegnerebbe, verso
lo Stato e la società d’accoglienza, a garantire l’identità e la buona condotta
del richiamato. Si eliminerebbero, così, la clandestinità e i tanti disagi che
travagliano la convivenza, soprattutto nei quartieri popolari delle nostre
città. Poiché i ricchi hanno le scorte e le ville ben munite per evitarli.
L’ideale
sarebbe non solo un’armoniosa convivenza, il rispetto reciproco e la
solidarietà anche politica fra lavoratori italiani, europei e immigrati per
affrontare insieme i problemi comuni.
All’occorrenza,
di tale istituto potrebbero avvalersi coloro che per esigenze di lavoro o anche
per spirito umanitario desiderano aiutare un immigrato a venire in Italia.
Immagino che qualcuno potrebbe
storcere il muso. Ma ricordo che per molti decenni, l’atto di richiamo consenti
a milioni di lavoratori italiani e d’altra nazionalità di espatriare in maniera
regolare verso le Americhe e i più importanti paesi europei.
LA
COOPERAZIONE PER AIUTARLI
A RESTARE E PER ORGANIZZARE IL FUTURO DEL MONDO
A conclusione della riflessione, desidero
segnalare una differenza che di solito sfugge a commentatori e sostenitori
delle diverse tendenze.
Negli anni ’80 del secolo scorso
l’immigrazione aveva un senso poiché giungeva in Italia e in Europa dopo le
grandi ristrutturazioni tecnologiche dell’industria, in una fase di crescita
economica e dei consumi; oggi comporta qualche problema poiché avviene in una
fase critica, addirittura recessiva, che provoca dismissioni di attività e livelli
di disoccupazione e d’inoccupazione (giovanile) mai visti nell’ultimo mezzo
secolo.
Non
è necessario essere grandi economisti per capire la differenza. In ogni
caso, l’emigrazione è un dramma, spesso una tragedia, per i popoli meno
sviluppati del Pianeta.
Noi
che veniamo da famiglie di emigrati e che ci siamo occupati del fenomeno fin
dal suo nascere, sappiamo bene che nessun uomo desidera emigrare, abbandonare
la famiglia, il proprio Paese se non vi è costretto dal nero bisogno.
Perciò,
resto convinto che il miglior modo di aiutarli concretamente é quello di contribuire
a risolvere i problemi dei loro Paesi, alcuni dei quali possiedono risorse e
potenzialità davvero interessanti.
Un
esempio? La Nigeria
galleggia sopra un mare di petrolio e di gas, di diamanti, ecc.
In
certi ambienti si conoscono bene certe previsioni secondo le quali, nei
prossimi decenni, sarà l’Africa il
continente a più elevato indice di sviluppo.
Allora,
invece di indurli a scappare, bisognerebbe aiutarli a restare, per organizzare
il loro futuro.
Come aiutarli? Certamente non con le
guerre, con le missioni militari “umanitarie”, né con la carità pelosa, ma con la
cooperazione economica e culturale, reciprocamente vantaggiosa, con gli scambi
commerciali, con i trasferimenti di tecnologie, di capitali leciti.
Perché
l’umanità si salva tutta intera o non si salva. Altrimenti verranno nuovi,
micidiali conflitti razziali, religiosi e la maledetta Guerra ossia la fine di
tutto.
(20 aprile 2015)
Documentazione allegata in:
http://montefamoso.blogspot.it/2015/04/parole-chiare-sullimmigrazione.html