Analisi cruda della situazione. La Sinistra italiana al momento attuale
Dopo il referendum
del 4 dicembre mi pare sia chiaro che la situazione della sinistra italiana sia
rimasta ingarbugliata e non soddisfacente, malgrado la battaglia per recuperare
il concetto di ‘rappresentanza democratica’ e di difesa del fondamento strutturale
della costituzione del 48’ abbia riattivato in molti militanti la voglia di
partecipare e di appassionarsi da sinistra alle questioni democratiche e
istituzionali. Purtroppo, le molte energie fresche sopra citate si riattivano
alla militanza al di fuori dei partiti esistenti e spesso in polemica con essi.
La sinistra italiana di oggi pare sia concentrata, in fatto di militanza, nelle
associazioni e nei comitati. Al contrario la militanza è crollata nei partiti;
la sinistra vive, dunque, oggi, senza avere punti forti di riferimento
valoriali nei partiti protagonisti della scena.
Se dobbiamo fare una
analisi più specifica delle sinistre politiche, inizio con la sinistra radicale
e antagonista, la quale si raccoglie, in parte ancora, attorno a Rifondazione
Comunista. Preciso subito che, pur non appartenendo più al PRC da almeno due
anni, e rivendicando comunque la funzione fondamentale di resistenza e di
pungolo controcorrente che quel partito ha svolto, non posso che essere
duramente critico con la mia parte politica. In sostanza, chi scrive, condivide
il giudizio netto che sulla storia di Rifondazione dava Lucio Magri, come è
testimoniato nel volume ‘Alla ricerca di un altro comunismo, ( Il Saggiatore
2012), nel quale sosteneva che ‘Il settarismo, anche per ragioni obiettive, è
stato il dato costitutivo di Rifondazione e su questo ci siamo scontrati
duramente. Ero convinto che proprio il settarismo avrebbe provocato la fine di
Rifondazione’, e di fatto è questo che abbiamo sotto gli occhi, aggiungo io. Rifondazione
Comunista è oggi sparsa in mille partitini, nei militanti di movimento senza
tessera, nei delusi che sono tornati a casa, e infine in ciò che rimane del
partito originante. L’ aver rifiutato una eredità politica del PCI, pur riletta
da sinistra e criticamente, ma pur sempre essa utile ad evitare i difetti del
massimalismo sempre cangiante e riaffiorante, a portato ad esaurire la storia
dei comunisti in Italia e la speranza di riconquistarne una qualche presenza di
massa non marginalizzabile.
Questo esito,
francamente desolante, non ha aiutato nemmeno le ‘realtà di movimento’; ovvero
comitati, centri sociali, sindacati autonomi; e anzi di questi, ne ha favorito
l’ isolamento estremista, l’ insufficienza dell’ insediamento sociale, il
perenne ritorno delle spinte corporative dietro le parole e gli slogan sempre
più altisonanti e rivoluzionari.
Eppure la stagione
del governo Monti, con l’ aprirsi di evidenti contraddizioni e scollamenti fra
il Partito Democratico e la sua base sociale tradizionale, avrebbe dovuto
costituire una occasione di rilancio e di protagonismo per le realtà di
movimento e i partiti ad esse attigue.
La manifestazione del
25 marzo a Roma, in occasione del funereo vertice europeo, con i suoi numeri
insufficienti, dimostrano la incapacità di tale settore politico di incidere
socialmente e di muovere masse più grandi. L’ area radicale e antagonista oggi
in Italia non ha proposte chiare sull’ Europa e sulla questione della
disoccupazione di massa, non ha un partito che ne unifichi strategie e
tendenze, si limita in una oscillante e goffa‘sponda’ ai 5 Stelle, ricevendone
per altro in cambio isolamento ulteriore e disprezzo, e subisce l’ iniziativa
della destra xenofoba contrapponendovi solo ragionamenti umanitari e valoriali,
pur doverosamente manifestati.
Del resto, sia nella
attuale Rifondazione che nell’ area radicale nel suo complesso, la critica del
capitalismo oscilla fra un rifiuto degli effetti del sistema in termini morali
e umanitari ed una ’fuga dal sistema imperante’ che consenta di crearsi altrove
‘spazi liberati’ dalla logica del capitale stesso.
E’ chiaro che con
questo atteggiamento logico e politico non si va da nessuna parte ne si
costruisce una vera alternativa alle politiche dominanti.
In tale contesto i
partiti comunisti e lo stesso PRC si limitano a ripetere una politica fatta di
slogan, di mosse tattiche malcelate e di alleanze elettorali che sono in realtà
cartelli che riunificano tutto ciò che non si può unire se non per il breve
lasso di tempo della esperienza elettorale.
Il quadro descritto
sarà impietoso ma mi pare sia difficile sostenere che la realtà non si
approssimi a ciò che ho descritto; se per eccesso o per difetto lo lascio
stabilire ai gentili lettori.
Per la sinistra
moderata o riformista si deve un fare un discorso più complesso. Il riformismo
in Europa è stato rappresentato, dal versante del movimento operaio, dai grandi
partiti socialdemocratici, i quali basavano la loro forza sul rapporto stretto
col sindacato e avevano nel loro scopo originario la correzione profonda del
sistema economico capitalista e la costruzione dello stato sociale. Il quadro
sopra descritto cambia lentamente a partire dalla crisi del ‘sistema fordista’
degli anni sessanta e settanta. E’ in quel frangente che le forze politiche moderate
e liberali sono capaci di portare una controffensiva ideologica che spazza via
consolidate culture di politica economica e pone sulla difensiva l’ intero
movimento operaio occidentale. La ‘liberalizzazione’ dei movimenti di merci e
capitali e la ristrutturazione produttiva, attuata con salti tecnologici -
produttivi e con una divisione internazionale del lavoro nuova, consente al
capitale di recuperare spazi di ritrovata intensità di accumulazione e di far
ripartire il sistema economico non rinunciando alla domanda dei consumi,
trainata dal credito ai piccoli consumatori e con investimenti pubblici in
edilizia e settore militare.
Dalla fine degli anni
settanta il sistema si rilancia grazie alle ricette del liberalismo
conservatore, e la offensiva ideologica investe i partiti socialisti, e più
tardi anche quelli comunisti, ponendo in questione la loro natura di partiti
tendenti al socialismo, ovvero alla modifica o correzione del sistema. Nasce da
qui l’ ossessione di far sposare le culture laburiste con quelle liberali fino
ad ipotizzare la convergenza dei vecchi partiti socialisti europei dentro una
grande ‘internazionale liberale e progressista’ guidata dal Partito Democratico
Americano.
Matura, dunque, la
mania culturale dei vent’ anni appena trascorsi; ‘terza via bleriana’, Neu
Mitte della SPD tedesca, fino alla particolarità italiana, dove prima avviene
la trasformazione e poi la consunzione del PSI craxiano con la applicazione del
‘riformismo senza riforme’ teorizzato da Amato, e poi lo scioglimento del PCI
da parte dei ‘Liberal’ di Occhetto, e infine, si giunge prima alla nascita
dell’ Ulivo e poi alla forzatura soggettivistica che è stata il PD.
Dunque, che cosa
doveva essere il PD e cosa è stato. Doveva essere per alcuni realmente il
partito del riformismo italiano legato al sindacato e all’ associazionismo
laico e cattolico, il punto di incrocio fra culture cattoliche, socialiste e ex
comuniste, ovvero il partito erede della costituzione e opposto per natura alle
destre moderate e nazionali italiane. Per altri doveva essere l’ inveramento
del percorso sopra descritto, ovvero lo scioglimento delle culture riformiste
del novecento, sia cattoliche che laiche legate al mondo del lavoro, sostituite
infine con un nuovo liberalismo moderato, socialmente aclassista e corporativo,
e capace di disarticolare il centrosinistra con l’ isolamento del sindacato, e
di fare la stessa cosa col centrodestra grazie, appunto, allo ‘sfondamento a
destra’in termini elettorali.
Le oscillazioni dei
primi dieci anni di storia del PD, passando dal veltroniano lingotto fino a
Renzi e comprensiva della pausa Bersani, sono spiegate in questo percorso
ideologico che ha ragioni non solo nazionali, ma che in Italia hanno prodotto
il paradosso di essere l’ unico paese europeo in cui non solo storicamente non
c’è mai stata una socialdemocrazia egemone, ma che fattivamente oggi la
sinistra non presenta partiti degni di nota, nè nella sinistra radicale nè fra
i riformisti. Anzi, direi che l’ Italia oggi è un paese senza veri partiti nazionali,
malgrado il PD dovesse essere un ‘Partito della Nazione’.
Il dramma della
sinistra in Italia, è questa in sostanza la mia tesi, è che essa ha avuto un
Partito Democratico che non ha saputo essere una formazione politica riformista
e di sinistra, o di centrosinistra se si ama di più tale definizione, ne un
partito liberale di massa perno ‘centrista del sistema.
Il crollo del sistema
politico della seconda repubblica, termine in sè ambiguo che dovrebbe
richiedere un saggio apposta per una sua analisi, ma ciò va oltre i compiti di
questa breve nota, era chiaro fin dalle elezioni del febbraio 2013, dopo che la
sconfitta della ipotesi del governo di centrosinistra Bersani e l’ affermarsi
dei 5 Stelle e del tripolarismo avevano definitivamente terremotato un sistema
politico che bene o male aveva retto per vent’ anni. Renzi doveva essere, dopo
il fallito centrismo montiano, l’ argine a Grillo e il razionalizzatore del
quadro politico istituzionale. Purtroppo, è chiaro fin da adesso, che il
‘Matteo nazionale’ è certamente il rottamatore delle istanze di sinistra del
suo partito ma non è affatto argine verso destre e populismi, se non a se
stesso al limite.
Il fallimento del
tentativo porta il PD sull’ orlo di una crisi strategica terminale, ma
purtroppo non siamo al ritorno della situazione precedente, non siamo al
febbraio 2013, nel frattempo la crisi sociale e europea ha consumato la candela
e molte speranze.
Il renzismo lascia un
sindacato ancora diviso e in difficoltà, una sinistra e un partito lacerato
nella base e nei gruppi dirigenti, la crisi europea è del tutto irrisolta e
anzi tendente ad aggravarsi, e le destre populiste sono sempre più forti e già
si candidano per la vittoria alle prossime elezioni nazionali.
Il referendum
costituzionale ha dimostrato quanto la proposta del ‘partito pigliatutto’
diretto da Renzi non ha fatto altro che approfondire il solco che vi è fra il
palazzo e i cittadini, con il loro leggittimo desiderio di partecipare
attivamente alla vita democratica. Le ingegnerie elettorali e istituzionali non
servono per frenare o controllare la crisi sociale, come ha supposto il PD fino
ad adesso, ne riavvicinano il popolo alla politica. Il verdetto del 4 dicembre
richiedeva un Partito Democratico capace di prendere atto della situazione e
agire in conseguenza da grande partito, così come hanno fatto i conservatori in
Gran Bretagna al fine di evitare di far precipitare il proprio paese nel caos.
Cameron si è dimesso e non si è nemmeno sognato di ricandidarsi alla
segreteria, in modo da evitare la sicura frantumazione del suo partito, che
avrebbe, per naturale sequenza dei fatti, gettato l’ intero paese nel baratro
di una confusa e complicata tornata elettorale.
Il PD in compenso, ha
scelto strade innovative e rischiose, come se il nostro piccolo paese potesse
correre il rischio, in un quadro di grave collasso bancario e di pericoli
sempre più incombenti di disgregazione dell’ area Euro, di assistere alla
mancanza di vergogna di un capo che di fronte ad una sconfitta politica non si
dimette e, anzi, medita rivincite e vendette ignorando il pericolo di spaccare
il proprio partito, di aggravare la crisi del sistema politico - istituzionale
e di ingenerare un caos sociale e economico senza possibilità di soluzione.
Mi chiedo perchè nel
gruppo dirigente democratico nessuno ha preso la situazione in mano, ha
destituito il leader consunto e ha avviato il partito ad una più approfondita
discussione congressuale capace di indicare la strada per recuperare il
malessere sociale imperante nel paese. Certamente la struttura di partito del
leader, basata sul sistema delle primarie determina oggi l’ impossibilità di
sostituire rapidamente un segretario dopo una sconfitta bruciante al fine di
salvare il ‘corpo del partito’. Renzi ha una fonte di legittimazione che gli
proviene dall’ esterno del partito stesso, e questo gli consente di resistere
ad ogni legittima richiesta dell’ apparato e degli iscritti di riprendere in
mano il destino dell’ organizzazione. Così lo splendido ‘spirito delle
primarie’ produce ora un capolavoro di perversione politica: il PD incapace di
sostituire un segretario per salvare il ‘corpo del partito, salva il segretario
sacrificando il ‘corpo del partito’. I coplimenti vivissimi giungeranno postumi
dagli avversari politici, appena essi avranno agguantato Palazzo Chigi dopo le
elezioni.
Ma vi è di più! Come
se non bastassero gli errori già commessi dal PD prima e dopo il referendum,
giustamente, una brillante dirigenza coacervo di supponenza prima ancora che di
sapere, decide di allungare la serie negativa degli abbagli e degli atti
sconcertanti. E’ noto a tutti che passate le primarie, che è probabile che
saranno rivinte dall’ uscente Renzi, l’ ex segretario si affaccenderà con
premura nel distruggere forza e immagine del governo Gentiloni, governo che è
stato Renzi medesimo ad imporre al suo silenzioso ed esausto partito. L’
incoerenza di Renzi, che di notte è guardiano dell’ ortodossia ordo-liberista,
che tanto piace a tedeschi e grande finanza, e di giorno si affanna per imitare
populisti e anti europei, è tanto furba quanto inefficace nel recuperare sul
terreno elettorale. Gli elettori non sono stupidi e hanno capito bene che il PD
non ha risposte da dare alla crisi, nemmeno nella versione renziana.
Il problema a
sinistra però rimane. L’ azione di Renzi, dopo il referendum, produce un
effetto deleterio: da un lato blocca la sinistra, nelle sue tendenze riformiste
e di centrosinistra, e la possibilità che questa sposti l’ asse delle politiche
sulle grandi questioni sociali, recuperando lo scollamento fra la base sociale
e popolare dell’ elettorato dell’ Ulivo e le relative rappresentanze
partitiche; dall’ altra ripropone uno schema contraddittorio fra sfondamento a
destra e osservanza dei vincoli di bilancio europei. Cantare e portare la croce
è impossibile! Renzi vuole restare nel nucleo forte europeo e allo stesso tempo
vuole contestare i falchi della austerità, perchè con il rigore non si possono
conquistare nuovi elettori a destra. Inoltre, come se non bastasse, il leader
di Rignano vuole affrontare una difficile elezione frantumando ancora di più il
mondo del centrosinistra prima di aver creato qualsivoglia altra prospettiva!
Attendere che il
gruppo dirigente democratico consumi se stesso nelle contraddizioni
irresolubili di una politica sbagliata è esiziale. Serve una sinistra che sia
in grado di dire con chiarezza che svolta ci vuole in Europa, che rifiuti le
politiche del rigore e il Fiscl Compact, che apra una vera trattativa sugli
squilibri nell’ area Euro, faccia proposte nuove e sia in grado di rischiare
ciò che è giusto rischiare in una situazione così grave e compromessa. Se si
resta passivi la sinistra italiana farà una brutta fine e il paese ha di fronte
una prospettiva peggiore di quella greca. E’ il momento di incalzare realmente
il governo e di porne in discussione la adesione acritica alla concezione del
continente a due velocità.
Ci si chiede oggi se
le scissioni di Sinistra Italiana prima e del Movimento Democratico
Progressista poi, abbiano provocato inutili lacerazioni e se non era meglio
restare dentro il PD, o, per i vendoliani, restarne alleati. Al contrario, io
penso che sia stato sbagliato non riuscire subito dopo il 4 dicembre a
riprendere in mano le sorti di un partito allo sbando e ricostruire una proposta
di centrosinistra, basata su una proposta lavorista e capace di porsi come
alternativa ai populismi come alle ‘larghe intese’ con le destre e Berlusconi.
Avere atteso, timorosi delle reazioni di Renzi, o speranzosi se si vuole, e
oggi attendere miracoli improbabili dalle primarie, mentre il partito degli
iscritti si sfarina inesorabilmente, è stato un errore grave di chi rimane
nella dirigenza democratica oggi.
Il rischio reale è di
trovarsi, in questo disgraziato paese, senza una militanza di sinistra adeguata
minimamente a fronteggiare la situazione delle destre in risalita. Ricostruire
la sinistra mi appare difficile da farsi sia con i fuoriusciti, che debbono
organizzarsi e caratterizzarsi politicamente in discontinuità con il PD, sia
con quello di questi anni di collaborazione centrista sia in parte con il
centrosinistra degli anni novanta, e, inoltre, con chi resta dentro ma non sa
contrastare la deriva renziana.
Tutto questo accade
mentre le istituzione europee ci presentano il conto salato dei tagli ulteriori
da effettuare al corpo della spesa statale e sociale, e la discussione sulla
Europa a due velocità nasconde un alto grado di ambiguità non risolta. Mi
riferisco al penoso fatto della definizione della composizione del ‘nocciolo
duro’. In italia, nei palazzi che contano, tutti sono convinti che la Germania
ci chiamerà a farne parte, senza lasciarsi fluttuare in balia della finanza
privata internazionale. Ma sarà veramente così? E se accaddesse, invece, l’
irreparabile umiliazione di una nostra defenestrazione dalla Europa tedesca che
si profila all’ orizzonte? La sinistra e il PD non sarebbe additata come la
responsabile di un umiliante fallimento storico, che è fallimento politico e
finanziario allo stesso tempo?
Urge allora una presa
di coscienza organizzativa a sinistra. Un salto di qualità nella cultura
politica e nella capacità coraggiosa di autocritica dei propri percorsi
politici ventennali; autocritica, ovviamente, non può essere sinonimo di abiura
e pentimento. L’ autocritica richiede lucida analisi dei fatti, rilancio
organizzativo, ricostruzione delle proprie premesse culturali, ricollegamento
ideale e passionale ai propri fondamenti storici.
Urge riunificare la
sinistra alla propria classe sociale, al progetto di fondo da cui è nata, a partire
dalla difesa e applicazione dei diritti costituzionali. Inoltre, è necessario
chiudere il problema aperto a sinistra dall’ 89’, ovvero il problema della
identità. La sua soluzione non ci verrà dai modelli di oltreoceano, ma solo
dalla storia Europea nostra, dal ricordo del movimento operaio, socialista e
comunista. E’ necessario riunificare la sinistra su di una posizione tattica ma
rigorosa, quale è stata tratteggiata da Bersani in questi giorni. Ovvero,
alternativi alla destra e capaci di sfidare il Movimento 5 Stelle sui programmi
per il paese, rifiutando nettamente gli schematismi franceschiniani fra
‘sistemici e antisistemici’ che condannerebbero la sinistra alla scomparsa per
un lungo periodo.
Ma tutto questo va
organizzato adesso, finchè c’è un tempo per agire. Attendere ancora, anche il
responso di inutili primarie, potrebbe toglierci il respiro e lo spazio che gli
eventi, per ora ancora minimamente generosi, ci concedono.
...
Pozzolo F.
27-03-2017
Filippo Orlando