CENTO MILA GLI AMMINISTRATORI DELLE VARIE AZIENDE
OLTRE DUE MILIARDI DI EURO L’ANNO L’ONERE PER I LORO
EMOLUMENTI
L’Ires, il Centro studi della
CGIL nazionale, ha pubblicato uno studio approfondito sulle società pubbliche
presenti nel territorio nazionale.
Le aziende partecipate sono
società nel cui capitale sono presenti le amministrazioni pubbliche. Secondo i
dati del Tesoro in Italia sono 8.893, di cui 7.230 attive.
Considerando che ogni società
partecipata è diretta da un Consiglio di gestione composto da 5 - 7 o più
membri, si stima che complessivamente gli amministratori delle aziende
pubbliche non siano meno di 100 mila unità. Ora, tra stipendi, emolumenti vari,
gettoni di presenza, costi di gestione, segretarie e auto blu, si calcola che
il costo complessivo si aggiri oltre i 2 miliardi di euro l’anno.
L’ex commissario allo
Spending review, Carlo Cottarelli nel suo rapporto presentato all’inizio del
2014 aveva stimato in 2 miliardi l’anno i possibili risparmi derivanti dal
disboscamento di tale giungla: il numero delle partecipate si sarebbe dovuto
ridurre da quasi 9.000 a
non più di 1.000.
Gli affondi della spending
review nel processo di revisione della spesa pubblica avviati formalmente da
tempo, sono rimasti del tutto inefficaci. Dal 2005 al 2016 in media – dice lo
studio della CGIL - in Italia sono sorte un’azienda al giorno.
La Regione con il maggio numero di partecipate è la Lombardia con 1.349,
mentre il Molise si ferma a 58. Occupano quasi 800 mila lavoratori. Le
amministrazioni maggiormente coinvolte sono i Comuni con 6.074 partecipate (ex
municipalizzate). Le province sono a quota 1.885. Le Camere di Commercio a
1.292. Le Università a 993 e le regioni a 776. Lo stato si ferma a 562, ma al
Tesoro fa capo il maggior numero di addetti. Considerando solo le partecipate
degli enti locali, il 29,1% è in perdita: il rosso complessivo raggiunge i 688
milioni di euro. Il 60% risulta in utile, le altre in pareggio.
In Alessandria, sino al 1995, le municipalizzate erano
4, in
seguito, con le giunte Calvo, Scagni e Fabbio sono lievitate a 36. La giunta
Rossa le ha ridotte ad una ventina. Sono ancora tante!
In Italia abbiamo una società
pubblica ogni 6.821 abitanti. La
Valle d’Aosta 1 ogni 1.929 abitanti; in Trentino Alto Adige 1
ogni 2.126; in Friuli Venezia Giulia 1 ogni 4.139; Toscana 1 ogni 4.522;
Liguria, Emilia, Marche, Abruzzi e Molise 1 ogni 5-6 mila abitanti. L’Umbria, Il
Veneto ed il Piemonte 1 ogni 6-7 mila abitanti; La Lombardia 1ogni 7.419
abitanti, la Basilicata
1ogni 8.826 abitanti; il Lazio 1 ogni 9.273 abitanti. Così la Sardegna 1 ogni 9.000. Le
più virtuose sotto questo aspetto sono le regioni meridionali: 1 a 14.554 la Campania, Così la Sicilia, la Calabria 1 ogni12.000, la Puglia 1 ogni 12.355 abitanti.
Lo studio della CGIL dice che
l’inondazione è cominciata nella seconda metà degli anni “Novanta” con la
riforma delle autonomie locali. Ma è dal decennio successivo che si registra
l’impennata maggiore grazie anche alla famosa riforma del Titolo V della
Costituzione voluta da un centrosinistra all’inseguimento forsennato della Lega
Nord che ha ampliato a dismisura le prerogative della politica locale
alimentandone le tentazioni più inconfessabili, con ripercussioni negative sul
fronte della spesa e dell’indebitamento pubblico.
La Legge 190 del dicembre 2014 prevedeva che gli enti locali
predisponessero piani di razionalizzazione delle partecipate entro il marzo
dell’anno successivo. La Corte
dei conti ha rilevato che due mesi dopo quella scadenza soltanto 3.570 soggetti
sugli 8.186 interessati dalla disposizione l’avevano osservata.
Anche la Legge Madia, di riforma della
Pubblica Amministrazione, ha fissato per legge tale riduzione, la stessa però, prima
si è incagliata alla Corte Costituzionale poi ha dovuto affrontare
un’estenuante trattativa fra governo e poteri locali.
A settembre, su questo tema, insieme
alle norme sulla mobilità del personale, il governo dovrà affrontare i
sindacati.
Un immobilismo disarmante è
presente a livello di Enti locali.
Molti amministratori non
voglio scontrarsi né con la rete clientelare ed elettoralistica che alimenta le
nomine nei diversi consigli di amministrazione, né tanto meno con il personale
e i relativi sindacati delle aziende da sopprimere o accorpare.
Così anche gli enti inutili
continuano a sopravvivere e ad erodere risorse pubbliche sottraendole ad
investimenti strutturali e produttivi.
A cura di Alfio Brina