Domenica 17 settembre è apparso su La Stampa un lungo articolo di Enzo
Bianchi, fondatore della Comunità di Bose: trattasi di una sintesi della
lezione magistrale da lui tenuta al Festivalfilosofia di Modena col titolo
“Maschio e femmina Dio li creò”. Il giornale dal canto suo titola l’articolo in
prima pagina "Maschio e femmina secondo la Genesi” e prosegue all’interno
con un’intera pagina (la 20 e inizio
pagina 21), abbellita dalla riproduzione a colori del famoso quadro di
Brueghel, Il giardino dell’Eden .
Questo grosso rilievo fa certo onore al monaco Bianchi. Tuttavia l’articolo
sorprende su di un giornale notoriamente “laico”: non tanto per lo spazio che La Stampa dà e ha già dato pure al
pensiero religioso, bensì per l’impressione complessiva che dall’articolo si
può trarre nell’attuale momento culturale. Infatti il nostro contesto è
contrassegnato da un’acquisizione di diritti civili per le coppie omosessuali,
da una rivendicazione di ulteriori diritti per le famiglie omosessuali, inoltre
da un forte ridimensionamento nella
teoria e nella pratica delle differenze di genere tra donne e uomini. Ebbene,
contro questo trend “laicista” sembra cozzare frontalmente l’articolo di Bianchi.
L’articolo, che offre una lettura in certo
modo attualizzata dei passi di Genesi 1, 27 e Genesi 2, 22-23, in cui si parla della creazione dell'essere umano,
presenta molteplici risvolti. Nella parte conclusiva, alla luce della pari
dignità creaturale di maschio e femmina ("Maschio e femmina li creò" Genesi, 1, 27), l'articolo suona
senz’altro come un’accorata denuncia della violenza contro le donne: una posizione tanto giusta quanto scontata nella
sensibilità prevalente nostra società (anche se poi contraddetta da
comportamenti effettivi). Ciò che è interessante, è che Bianchi abbia
rintracciato nello stesso scrittore biblico il rischio della sopraffazione
maschile, laddove nella seconda narrazione della creazione (Genesi capitolo 2), ben più antica della
prima (Genesi capitolo 1), Eva viene
fatta derivare da una costola di Adamo, il quale poi si compiace di aver
trovato finalmente un essere come lui "carne della mia carne, osso delle
mie ossa" (Genesi, 2, 23). Non
sfugge infatti a Bianchi l'ambiguità di queste ultime affermazioni. Da una
parte è confermato che Eva è della stessa sostanza di Adamo ("carne della
mia carne…"), dall'altra in quanto "mia carne", derivata da una costola di Adamo, non appare
autonoma né di pari dignità creaturale rispetto ad Adamo. Sotto questo secondo
profilo, Eva non è un essere effettivamente “altro”, dice Bianchi, con cui
Adamo avrebbe da rapportarsi in una logica di parità e complementarità.
La preoccupazione di un possibile sviluppo
in senso maschilista è più che giustificata: un'interpretazione letteralista di Genesi 2, 22-23, avallando una
concezione subordinata della donna, mero oggetto di possesso dell’uomo come
appunto la propria costola, favorisce la prepotenza maschile su di lei. E se
Bianchi può esorcizzare un tale tipo di lettura non è solo perché il brano va
contestualizzazione con Genesi 1, 27
("li creò maschio e femmina"), ma anche perché è ben consapevole che
"il mito è un racconto situato culturalmente" e pertanto il brano di Genesi, 2, 22-23 va contestualizzato
pure alla cultura patriarcale del tempo in cui fu scritto. Un plauso dunque
all’ermeneutica che storicizza, ma occorre poi essere coerenti fino in fondo
col medesimo impianto metodologico ed è qui che Bianchi a mio avviso fa
difetto. Ma procediamo con ordine.
L’articolo – che emblematicamente a p. 20
rideclina il titolo in “Maschio e
femmina. La strada dell’umanità” e
prosegue “La Genesi valorizza la
differenza sessuale quale via al completamento” (sottolineature mie) –
suona altresì come un attacco frontale alle teorie di parte femminista e
di tanti gruppi LGBT (lesbiche, gay,
bisessuali e transessuali) che contestano da tempo le differenze di genere tra
donne e uomini. Per tutti costoro, infatti, le differenze psico-comportamentali
tra donne e uomini non hanno una base naturale – cioè innata, creaturale – direttamente conseguente alla biologica
differenza di sesso, ma sarebbero solo
il frutto di stereotipi sociali e dell'egemonia di una cultura eterosessista,
maschilista e in definitiva patriarcale. Inoltre l’articolo suona come un
attacco implicito pure alle unioni omosessuali là dove Bianchi insiste, facendo
sempre leva sul testo biblico, sulla complementarità di maschio e femmina; sul
carattere prototipico, rispetto ad ogni altra differenza, della differenza tra
il maschile e il femminile (viene in mente lo Yin e lo Yang del Tao cinese); sulla opportunità
dell’integrazione con un essere effettivamente diverso, “altro” qual è la donna
rispetto all'uomo (un’integrazione ovviamente elusa, aggiungo io, dalle unioni
omosessuali).
Ben inteso, qui non intendo tenere la
parte né di Bianchi, né di omosessuali e (talune) femministe, anche se
personalmente simpatizzo per una differenza di genere conseguente alla
biologica differenza sessuale, nonché per
un rapporto di paritetica complementarità tra donne e uomini, rispettivamente
caratterizzati, in media, da specifiche predisposizioni psico-comportamentali.
Neppure contesto la corretta e intelligente, come sempre, filologia biblica di
Enzo Bianchi, bensì la sua storicizzazione rimasta a metà strada, facendola
egli valere solo per la rivisitazione del passo in cui la donna rischia di
esser ridotta a "possesso" dell'uomo.
Per attestare la mia osservazione critica,
parto da una domanda: perché secondo lo scrittore biblico Jahvé creò Adamo-uomo
maschio e non invece femmina? Magari una femmina-grande Madre dell’umanità come
in certi miti. O ancora, perché non creò un androgino, cioè un essere in cui
maschio e femmina sono da principio confusi e indistinguibili in un unico
corpo, come nel famoso mito che Platone racconta nel Simposio? (E il fatto che quello strano essere godesse così tanto
da far invidia agli dei – il che
equivale al peccato originale – fu la ragione per cui Giove li separò in
femmina e maschio). Se tante, in teoria, sarebbero state le possibilità per
render conto attraverso il mito della differenza sessuale, perché proprio la
possibilità sviluppata dallo scrittore di Genesi,
2, 22-23 (che sembrerebbe anche una specificazione di Genesi, 1, 27: li creò maschio e femmina, sì, ma per primo creò
l'uomo maschio)?
Sono interrogativi che non sembrano
sfiorare il pur bravo Enzo Bianchi, almeno non in questo articolo. A risposta,
come non storicizzare pure qui la primazia creaturale attribuita al maschio? E
dire pertanto che fu verosimilmente ancora il maschilismo patriarcale della
società del tempo a influire sullo scrittore biblico. E che il
"completamento" dell'uomo tramite l’unione con la donna ben si
correla con la severa condanna dell'omosessualità al tempo, la quale però non
trova più riscontro nella cultura contemporanea.
La tradizione cattolica si trova oggi
inevitabilmente di fronte a nuovi inquietanti interrogativi in fatto di
differenze sessuali, di identità femminile, di coppie e famiglie omosessuali
che sono ormai realtà di fatto. Non si tratta, ben inteso, di rincorrere la
cultura laica, bensì occorre riconoscere – come già accadde in astronomia per
il “fermati o sole”, in cosmologia per il mondo fatto in sette giorni, in
biologia per le specie animali create direttamente da Dio – che talune tesi
antropologiche, quali le “naturali” differenze di genere e la “naturale”
complementarità tra maschio e femmina, non dovrebbero cercare giustificazione
nei testi biblici.
Non si può sapere dal contenuto
dell'articolo se effettiva intenzione
di Bianchi sia stata pure quella di porre avvertimenti sulla base della
Scrittura nei confronti di certe teorie sulle (non) differenze di genere tra
donne e uomini. (Ho solo evidenziato come a mio parere l'articolo suona all'orecchio "laico" e
su di un giornale "laico"). In ogni caso occorre dissociare il mito
biblico dalla ricerca antropologica, diversamente da quanto pensa Bianchi.
Secondo il quale, infatti, "il mito è un racconto situato culturalmente
[…] ma che vuole significare ciò che è universale, costitutivamente
antropologico". Ma il mito, proprio perché prodotto di una data cultura,
non è detto che significhi davvero ciò che è universale e costitutivo. Del
resto come metterla col fatto che molteplici e discordanti sono gli stessi miti
sulle origini dell'essere umano, come sopra brevemente esemplificato? Quale di
essi dice di ciò che è antropologicamente costitutivo? Lasciamo dunque alla
Scrittura l'indicazione del senso spirituale delle cose, all'antropologia, alla
psicologia e alla biologia la ricerca scientifica sulla struttura costitutiva
dell'essere umano e sulla differenza sessuale.