Le sfide del XXI secolo. Disuguaglianza sociale e disoccupazione tecnologica
Relazione al Seminario di “Città Futura” del 15 Dicembre 2017
Nel
XXI secolo l’umanità ha di fronte a sé due sfide che rischiano di compromettere
in maniera irreversibile la stabilità sociale ed i livelli di democrazia
raggiunti attraverso secoli di storia, sono la diseguaglianza sociale e la disoccupazione
tecnologica indotta dal diffondersi dell’informatica e della robotica in
ogni branca di attività umana.
LA DISUGUAGLIANZA SOCIALE
Già
l’economista francese Thomas Piketty,
nel suo libro “Il capitale nel XXI secolo”ha messo in evidenza come la ricchezza
mondiale si vada sempre più polarizzando su una percentuale minima di
possessori e come tale disuguaglianza abbia un prezzo alto in termini di
indebolimento della coesione sociale, di tassi di criminalità e di
comportamenti rischiosi per l’individuo e potenzialmente costosi per la società.
“Il
capitalismo produce automaticamente disuguaglianze insostenibili, che rimettono
in questione dalle fondamenta i valori meritocratici sui quali si reggono le
nostre società democratiche”. “ Lo 0,1% più ricco del pianeta, (il millile)
vale a dire 4,5 milioni di adulti su 4,5 miliardi, possiede un patrimonio netto
medio dell’ordine di 10 milioni di euro, cioè quasi duecento volte il
patrimonio medio a livello mondiale (cioè circa 60.000 euro per adulto),
corrispondente a una quota del 20% nella composizione del patrimonio totale: ”
(Piketty, op. c. pag.678).
Joseph Stigliz, premio Nobel per l’economia nel 2001, sulla
disuguaglianza dice: “Mentre storicamente i salari sono aumentati
parallelamente alla produttività, negli ultimi anni il collegamento tra i due
indicatori è saltato, con le retribuzioni ferme nonostante la produttività
cresca”.
“Non
è solo aumentato il potere di mercato delle imprese, è anche diminuito il
potere di mercato dei lavoratori. A causa del declino dei sindacati, di un
cambiamento nella struttura della contrattazione, nella normativa sul lavoro e
dell’interpretazione che ne danno i tribunali, e della globalizzazione.
Con
il denaro che si sposta verso il vertice della piramide economica, la domanda
aggregata si indebolisce. E la debolezza della domanda scoraggia gli
investimenti, compresi quelli in ricerca e sviluppo. Si mette in moto un
circolo vizioso”,
LA DISOCCUPAZIONE TECNOLOGICA
I
diversi centri studi internazionali prevedono il diffondersi di una
disoccupazione indotta dall’estendersi in ogni settore e comparto dell’attività
umana dell’informatica, dell’automatismo e dei robot destinati a sostituire il
lavoro umano: la disoccupazione tecnologica. E’ un processo
strisciante, in atto ormai da qualche decennio.
IL SETTORE PRIMARIO: L’AGRICOLTURA
Dopo
la seconda guerra mondiale il settore primario: l’agricoltura, ha registrato in
Italia una profonda rivoluzione, da circa il 50% degli occupati è scesa a poco
più del 3,5% con un travaso occupazionale riversatosi prevalentemente sul
settore secondario (industria). L’agricoltura, grazie allo sviluppo industriale,
che ha portato la meccanizzazione nel settore, si è notevolmente modernizzata
nell’organizzazione del lavoro e nella specializzazione qualitativa dei
prodotti. L’azienda agricola è andata assumendo dimensioni più estese,
stimolata da una legislazione che favoriva l’accorpamento dei terreni agricoli
confinanti. Sono così scomparse le piccole aziende a conduzione familiare.
L’industria alimentare a sua volta si è integrata con le attività agricole, affermandosi
nel comparto lattiero-caseario, in quello vitivinicolo, nel trattamento e conservazione
della carne, in quello dell’oleificio, ecc. Nel frattempo sono scomparse
produzioni come la barbabietola da zucchero estesasi in Europa nell’Ottocento per
volontà di Napoleone per aggirare le sanzioni imposte dall’Inghilterra alla
Francia sulla vendita dello zucchero da canna prodotto nei paesi dell’America
Latina. La coltivazione delle barbabietole era finalizzata alla trasformazione
in zucchero e in mangime per gli animali, essa è stata sostituita, in parte,
con l’estensione delle colture del mais e della soia, utilizzabili sia nel
settore alimentare che in quello farmaceutico. Lo zucchero di canna ha
sostituito quello estratto dalle barbabietole.
Negli
ultimi anni, circolando per il territorio non è raro scorgere ampi terreni, una
volta dediti all’agricoltura, disseminati di impianti foto-voltaici, convertiti
alla produzione di energia elettrica.
IL SETTORE SECONDARIO: L’INDUSTRIA
Dalla
fine degli anni ’80, il comparto industriale ha raggiunto livelli di
saturazione occupazionale e anziché assorbire mano d’opera ha finito col
cederla al settore terziario (commercio e servizi).
Anche
nella plaga alessandrina molte attività produttive sono scomparse. Dal settore
calzaturiero a quello argentiero, ridotto il cappellificio, scomparso quello
del legno, la fabbrica delle pompe sommerse, l’industria della carpenteria in
ferro e della chimica secondaria, chiusa l’attività dello zuccherificio di
Spinetta M. Reggono la chimica primaria (ex Montecatini) e la gomma (Michelin)
Con
la globalizzazione l’industria italiana è stata interessati da due processi, da
un lato le multinazionali straniere, non solo occidentali: USA, Inghilterra,
Francia, Germania, ecc, ma anche Russia e Cina, oltre ai Paesi islamici. Le
multinazionali di questi Paesi masse di risorse finanziarie, derivanti
prevalentemente dalla vendita del petrolio o dalle loro esportazioni (Cina),
per acquistare partecipazioni industriali, immobili, catene di magazzini,
grandi alberghi e interi isolati delle città del continente. Per l’Italia basti
ricordare la Pirelli
il comparto agro-alimentare, il tessile, l’alta moda, l’informatica, la
telefonia, le società sportive ecc.
Dall’altra
la delocalizzazione di nostre unità produttive, segnatamente il comparto
calzaturiero e la lavorazione della pelle oltre al legno e al metalmeccanico,
il settore della gomma e della chimica, oltre alla produzione e lavorazione dei
tessuti, confezione e alta moda, verso i paesi dell’est europeo: la Slovenia, la Croazia, l’Albania, la Romania, oltre alla Cina e
alla Turchia e i paesi del nord Africa come la Libia, il Marocco, la Tunisia e l’Algeria.
Delocalizzazioni attratte da agevolazioni fiscali, dal basso costo della mano
d’opera, dall’assenza di sindacati e da una legislazione più permissiva in
materia di vincoli ambientali.
Il
fenomeno della de-industrializzazione in Piemonte ha interessato in particolare
città come Torino, Biella, un po’ meno le plaghe ad economia più diversificata
come Cuneo, Vercelli, Alessandria, Novara ed Asti.
Il
convergere di questi due processi hanno accelerato la riorganizzazione
aziendale sul piano interno portando ad un’espulsione dai processi produttivi
di parte di mano d’opera.
Recentemente
il Governo ( Il ministro Calenda) ha lanciato il “Piano Industriale 4.0” che si propone,
attraverso tutta una serie di incentivi fiscale nonché di investimenti diretti
nella “Banda larga” e sulla sua estensione su tutto il territorio nazionale, di
estendere l’informatizzazione a tutte le attività produttive. Si tratta di
affrontare in maniera organica le nuove sfide imposte dalla 4° rivoluzione
industriale: quella dell’automazione e dell’informatica che stiamo vivendo.
L’Istat
segnala che nel 2015, anno in cui hanno cambiato cittadinanza marchi storici
come Pirelli e Ansaldo Breda, le aziende a controllo estero sono aumentate di
438 unità. Rialzo che ha portato il giro d’affari a crescere di 6 miliardi. E ancora
una volta a primeggiare sul nostro territorio sono gli Stati Uniti. Ormai le
aziende sotto controllo straniero sono 14 mila, danno lavoro a 1,3 milioni di
persone, investono 12 miliardi l’anno e generano un fatturato di quasi 530
miliardi. Gli USA hanno all’attivo sul territorio italiano oltre 2.340 imprese.
Seguono tedeschi e francesi. Le imprese italiane all’estero sono 22.800
distribuite in 173 Paesi per un fatturato di 13 miliardi l’anno.
IL SETTORE TERZIARIO: COMMERCIO E
SERVIZI
Negli
ultimi decenni anche il commercio è stato oggetto di una profonda rivoluzione,
con il diffondersi delle grandi catene distributrici a struttura verticale, che
ha modificato radicalmente l’intero settore portando alla chiusura dei tradizionali
negozi e botteghe, dal lattaio al salumaio, reggono a stento i negozi di
abbigliamento e le panetterie. Mentre gli addetti al commercio minuto sono confluiti,
in parte, nelle attività di Bar e ristorazione, il diffondersi dei “Deors” in
ogni strada e piazza delle nostre città, sono la conferma di questo processo in
atto. L’Italia è tutto un “Deor”.
Negli
ultimi tempi il settore distributivo è oggetto di un’ulteriore rivoluzione
indotta dal diffondersi delle vendite ON LINE con le ordinazioni, effettuate
tramite computer o telefonini, scelte sulla base di beni di consumo visibili
attraverso gli stessi strumenti elettronici. Queste nuove forme di vendita, con
recapito dei prodotti acquistati direttamente a domicilio, previo pagamento
anticipato per mezzo elettronico, sta raggiungendo il 15% delle vendite
complessive. Si tratta di una nuova organizzazione commerciale che si
sovrappone ai centri di vendita esistenti riducendone il loro giro d’affari.
TERZIARIO AVANZATO
Il
terziario avanzato, a differenza del terziario così detto maturo che si occupa
di attività tradizionali ad esempio attività professionali, banche,
assicurazioni oltre alla distribuzione, è maggiormente aperto alle innovazioni
soprattutto di tipo tecnologico. Esso comprende i rami dell’elettronica, delle
telecomunicazioni, della pubblicità, della meccanica di precisione. In tali
campi il terziario più che svolgere un’attività di distribuzione e
amministrazione è rivolto a predisporre la produzione sia come ricerca
scientifica-tecnologica che come servizi acquistati per la stessa.
La
diffusione dei computer a livello familiare ed individuale e dei telefonini di
ultima generazione ha segnato la scomparsa dei negozi di fotografi e ridotta
l’attività dei tipografi, mentre ha favorito l’estendersi di una rete per
riparazione e ricambi di questi ultimi prodotti, fra l’alto in continua
evoluzione dal punto di vista tecnologico.
Il
diffondersi dell’informatica e di Internet, ha determinato un ridimensionamento
del numero degli addetti nei settori tradizionali della produzione:
agricoltura, industria e commercio, intaccando la stessa organizzazione del
settore assicurativo, bancario, della Pubblica amministrazione e delle Poste.
Il
comparto Sanitario è stato quello
maggiormente interessato dalle continue innovazioni scientifiche e tecnologiche che hanno interessato la
farmaceutica, la diagnostica, la cardiologia, l’ortopedia e la chirurgia. Certi
interventi chirurgici vengono effettuati dai Robot, l’industria farmaceutica è
in grado di fornire protesi antirigetto sostitutive di organi umani.
Gli Ospedali sono diventati strutture sempre più complesse che
richiedono dimensioni ottimali tali da rendere inadeguati i piccoli Ospedali.
Questa rivoluzione tecnologica ha portato ad drastica riduzione della degenza
per i pazienti, determinando una relativa riduzione dello stesso personale
impiegato.
I
processi di automazione hanno interessato anche attività come l’Industria Edilizia, settore
tradizionalmente ad alta intensità di mano d’opera. Il settore edilizio è stato
a sua volta colpito dalla bolla speculativa degli anni passati che aveva
determinato una sovrapproduzione di case a costi medio alti non allineati con
l’andamento della domanda di alloggi, raffreddata dalla crisi economica. Questa
sfasatura è alla base della stessa crisi bancaria. Molti immobili non sono
stati venduti e gli stessi, dati in garanzia alle Banche, hanno subito una
drastica svalutazione.
Nonostante
il profondo processo di trasformazioni, l’Italia si colloca ancora in Europa come
paese ad alta capacità manifatturiera, dopo la Germania, anche se è
evidente come il numero degli occupati nelle aree produttive si vada
restringendo.
Stando
alle tabelle pubblicate nel libro di Piketty, nel 2012 l’impiego di mano
d’opera per settori di attività nei paesi altamente industrializzati era il
seguente:
Agricoltura
3%, Industria 21%, Servizi 76%.
La
crisi drammatica, politica e sociale che stiamo vivendo nei paesi
industrializzati come l’Italia affonda le sue radici in questo processo in
atto. La finanziarizzazione dell’economia accentua le disparità sociali ed
accresce la disuguaglianza, mentre la tecnologia sostituisce la forza lavoro e
crea disoccupazione.
Inoltre,
nelle economie mature, come quelle dei paesi europei e del Nord America, si
vanno raffreddando anche i ritmi di crescita annuale del PIL. Pensare ad
incrementi oltre il 4 - 5 % è fuori dalla realtà. Tali percentuali sono
prevedibili per i paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina che
presentano ancora sacche di arretratezza molto marcate.
IL FENOMENO MIGRATORIO
In
questo contesto si è inserito prepotentemente il fenomeno migratorio che vede
confluire nei paesi occidentali migliaia di migranti, forza lavoro che va a
sostituire mano d’opera originariamente indigena: gli indiani e pakistani nel
settore zootecnico, albanesi, rumeni e magrebini in quello edilizio; i migranti
provenienti dall’America latina e dall’Asia: filippini, prestano lavoro nelle
abitazioni come colf o badanti agli anziani.
Viviamo
un fenomeno accelerato di migrazioni. Si parla di 65 milioni di persone in
movimento. Alcuni studiosi calcolano che dal 1870 al 1913 furono 100 milioni a
mettersi in movimento su una popolazione mondiale che era di un miliardo. Il processo
allora interessò le due Americhe, l’Australia, nonché la colonizzazione
dell’Africa. Con i migranti che partivano dai paesi del nord Europa, dalla
Germania, dall’Italia, dalla Grecia, dalla Spagna. Oltreché dalla Cina e
dall’India.
IL TOURNOVER SI E’ INCEPPATO
Il
così detto “tour nover”, che consentiva la sostituzione del personale in età
pensionabile con l’entrata nel ciclo produttivo di nuove generazioni, è
notevolmente rallentato, anche per effetto di provvedimenti legislativi tesi a
prolungare l’età lavorativa degli occupati per assicurare loro una pensione
dignitosa senza compromettere l’equilibrio dei bilanci degli Istituti di
Previdenza come l’INPS. (Legge Fornero).
Su
una massa di occupati di circa 23 milioni di persone, considerando un ciclo
lavorativo medio individuale di 40 anni, si stima che il ricambio, ogni anno
interessi circa 500 mila occupati in uscita dal ciclo produttivo e di
conseguenza altrettanti in entrata per la loro sostituzione. In realtà la
contrazione occupazionale ha ridimensionato il flusso delle unità lavorative in
entrata.
IL WELFARE STATE NELLA SORIA
La
globalizzazione non è una novità, il XIX secolo ha visto il sorgere della
globalizzazione in una forma che si avvicina a quella moderna.
L’industrializzazione ha consentito la produzione a basso costo di oggetti
domestici sfruttando economie di scala, mentre la rapida crescita della
popolazione ha creato un’intensa domanda di beni di consumo: case, auto,
camion, trattori, treni, navi, telefoni, ecc. Nello stesso periodo sono sorte
istituzioni fondamentali. L’occupazione in campo industriale ha fatto sì che
molti lavoratori si trovassero ad affrontare una situazione in cui
disoccupazione, malattia o pensionamento significavano una perdita totale di
reddito. Verso la fine del XIX secolo e agli inizi del XX, questo ha portato
alla creazione dell’indennità di disoccupazione, dell’assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro, della tutela contro le malattie e delle pensioni di
anzianità. In Germania, nazione che ha aperto la strada, i motivi che hanno
portato all’introduzione del sistema bismarchiano di previdenza sociale, erano
diversi: la necessità di mantenere stabilità politica e sociale davanti alla
crescita delle organizzazioni dei lavoratori e alla diffusione delle idee
socialiste.
Nel 1881 L’Imperatore tedesco Guglielmo
I - su indicazione del Cancelliere Bismark- propone un’assicurazione sociale di
vecchiaia che entrerà in vigore nel 1889. Seguiranno, negli anni
successivi, l’Austria, l’Ungheria, la Danimarca, la Finlandia, la Spagna, la Nuova Zelanda, il Belgio, la Francia, l’Olanda. La Svezia, La Grecia, IL Regno Unito, la Norvegia, poi, negli anni
’30 gli Stati Uniti.
In
Italia, il Welfare State viene introdotto negli anni ’30. L’Istituto Nazionale
della Previdenza Sociale è stato istituito nel 1933. Ente di diritto pubblico
con gestione autonoma; ad esso fa capo la tutela previdenziale dell’invalidità,
della vecchiaia e dei supestiti nei confronti di tutti i lavoratori dipendenti
del settore privato. Inizialmente il sistema era a “ripartizione” alimentato
dai contributi previdenziali. In seguito sono confluite nella gestione Inps le
funzioni previdenziali di altri Istituti di previdenza dei lavoratori autonomi;
ultimamente anche quelle degli statali. Lo Stato non ha mai accantonato gli
oneri previdenziali per i propri dipendenti iscrivendo nei bilanci di parte
corrente dei ministeri di competenza i costi per i dipendenti in servizio e gli
oneri finanziari da corrispondere ai pensionati del Pubblico Impiego. Con i
provvedimenti di riforma previdenziali degli anni ’90 si è passati dal sistema
“ a Ripartizione” a quello “a Contribuzione”. A partire dalla data della
riforma la pensione di ogni individuo viene rapportata ai versamenti effettuati
nel corso della propria vita lavorativa. Si versa il 33% della retribuzione per
maturare 15 anni di pensione (aspettativa di vita media a fine lavoro). Bisogna
versare contributi per 45 anni che diviso per tre da 15.
DISUGUAGLIANZA SOCIALE, NUOVE POVERTA’,
DISOCCUPAZIONE TECNOLOGICA
La
tecnologia non ha ridimensionato la capacità produttiva nei tre settori
tradizionali, né ridotto la ricchezza prodotta. Quello che si è inceppato è il
meccanismo di distribuzione del reddito, per secoli, assegnato
all’organizzazione del lavoro attraverso l’erogazione di salari e stipendi.
Che fare? Il problema non riguarda più solo la distribuzione
fiscale, né tanto meno l’esigenza di ingaggiare una nuova lotta di classe
contro chi poi?
Bill
Gates propone di tassare i “Robot” per ricavare da questi automatismi che
scacciano gli umani dal ciclo produttivo le risorse necessarie per alimentare
un “Reddito di cittadinanza”. In
realtà l’introduzione dei robot ha già avuto un impatto positivo nella
riduzione dei costi dei vari beni di consumo.
Il
“Reddito di Cittadinanza” non esiste in nessun paese del mondo. Recentemente,
uno dei fondatori di Facebook, Chris Hughes ha stanziato un milione di dollari
per avviare, in via sperimentale (un anno), una forma di “Reddito di
cittadinanza” 500 dollari al mese per tutti nella città di Stockton (300 mila
abitanti) collocata nella Silicon Valley (fonte Venerdì di Repubblica del 10
novembre 2017, pag. 25).
In
Italia il problema è stato posto con la legge Jobs Act che prevede il reddito
minimo, ma non esiste ancora il Decreto attuativo.
Il
Presidente dell’INPS, Boeri nell’ottobre 2015, ha presentato un
progetto per istituire un “Reddito minimo” per i nuclei familiari in condizioni
di forte disagio economico in cui sia presente un componente con più di 55 anni
(Sostegno inclusione attiva55). La proposta consiste nell’istituire un importo
massimo di 500 euro mensili.
La
legge di stabilità del 2016
ha istituito un fondo pari a 600 milioni e a 1 miliardi
per il 2017 destinato a finanziare un piano nazionale per la lotta alla povertà
e all’esclusione sociale.
L’Economista statunitense James Tobin,
sosteneva che:” La spesa per assistenza può e dovrebbe essere erogata in modo
tale da non spingere i beneficiari fuori dal mercato del lavoro o non dare un
incentivo a farlo. Il nostro attuale sistema (americano) di trasferimenti
pubblici fa esattamente questo, causando sprechi inutili e demoralizzazione”. In
America, è stato verificato che una famiglia numerosa aveva più interesse a
riscuotere l’assegno di assistenza mensile che a cercare un posto di lavoro (la
trappola della povertà).
Il
problema resta sempre quello finanziario. I sindacati e parte della sinistra,
ritengono si debba agire sulla leva fiscale e colpire finalmente i grandi
patrimoni e le grandi ricchezze finanziarie. Resta il come, dove e quando?
Secondo alcuni economisti, la globalizzazione
avrebbe ridotto le possibilità di imposizioni fiscali del welfare state.
L’economista americano Arthur Laffer sostiene che esiste una curva che collega
il gettito fiscale totale al tasso di imposizione complessiva, che prima sale
ma poi raggiunge un punto massimo e comincia quindi a scendere. Il punto
cruciale è che la globalizzazione e il cambiamento tecnologico, insieme,
avrebbero fatto inclinare la curva verso il basso, così che per qualsiasi
imposizione fiscale il governo raccoglierebbe meno gettito. Il massimo della
curva si è spostata verso sinistra, perché l’espansione del commercio via
Internet significa che è più difficile raccogliere imposte indirette; lo
sviluppo di un mercato del lavoro globale limita l’imponibilità dei redditi da lavoro,
mentre la concorrenza fiscale fra i Paesi riduce le entrate derivanti dalle
imposte sulle aziende e sul reddito di investimento.”Se in precedenza – dice
Laffer – i Paesi erano vicini al prelievo fiscale che massimizza il gettito,
ora devono operare dei tagli, e se in precedenza pensavano di avere spazio per un’espansione,
questo margine non esiste più”.
In realtà l’incidenza del fisco sul
reddito è in crescita progressiva fino a un livello di redditi medio - alto e
alto (aliquota marginale 43% in Italia), ma quando arriva al livello altissimo
registra una caduta verticale, perché i sistemi fiscali operano su scala
nazionale mentre le grandi ricchezze non hanno patria.
In fondo, se c’è una regolazione
internazionale per il commercio e per molti altri aspetti della vita economica
globale, non si capisce perche non ci possa essere un’autorità che si occupi di
dare delle regole anche in campo finanziario e fiscale. Questo è un compito che
spetta in particolare al Parlamento europeo e all’Unione Europea.
Nell’Unione Europea,
l’Irlanda, il Lussemburgo, Cipro e Malta sono i quattro paradisi fiscali
interni all’U.E. che inquinano il mercato. Nel 2015, Facebook ha venduto in
Italia servizi per 224,6 milioni ma li ha incassati a Dublino per sfruttare i
vantaggi dell’erario irlandese. Così Mark Zukerberg ha versato a Roma una tassa
simbolica di 203 mila euro nel 2015 e di 267 mila nel 2016. Apple, Twitter,
Amazon, Airbub e TripAdvisor. I primi due triangolano sul Lussemburgo i soldi
incassati in Italia, nel 2016 Airbub ha versato appena 62 mila euro.
TripAdvisor 13.594 euro
In Italia abbiamo due filoni su cui orientare l’azione di recupero
di risorse finanziarie. Uno riguarda la grossa evasione fiscale, stimata su un
imponibile di circa 130 miliardi di euro l’anno sul quale va calcolato un
prelievo fiscale di circa il 30% pari a 40 miliardi di euro, circa 3 punti di PIL; l’altro filone
riguarda il fenomeno della corruzione nella Pubblica Amministrazione, calcolata
dalla Corte dei Conti in non meno di 60 miliardi di euro l’anno, circa 6 punti
di PIL. In questo caso si tratta di introiti fiscali pagati dai contribuenti,
che anziché andare a beneficio della società, vengono intascati da mafie,
funzionari e amministratori corrotti.
IL REDDITO DI CITTADINANZA O REDDITO
MINIMO
Il
reddito di cittadinanza è l’espressione più autenticamente universale di un
welfare state che intende fornire una garanzia incondizionata di reddito a
tutti, in quanto cittadini, indipendentemente da qualsiasi caratteristica
socio-economica (reddito, età, condizione professionale, disponibilità a
lavorare), Un’idea che non ha mai trovato applicazione, per la dimensione del
problema e per gli oneri finanziari che ne deriverebbero. Secondo alcune
previsioni, il costo finanziario di un simile provvedimento sarebbe di circa
300 miliardi di euro, 20 punti di Pil, una cifra insostenibile. Il “Reddito di
Cittadinanza” non ha mai trovato applicazione, tant’è che ha preso forma il
dibattito sul“Reddito minimo”.
Il
Reddito minimo è presente in quasi tutti i sistemi di welfare state. Nel
panorama internazionale, l’Italia, insieme alla Grecia sono gli unici paesi
dell’Unione europea a non prevedere un istituto del genere.
L’economista inglese Tony Atkinson, uno
dei maggiori studiosi sui problemi della povertà, scomparso da poco, propone il
“Reddito di partecipazione”. Contesta il principio del reddito di cittadinanza:
troppo ambiguo. Cosa si intende? A chi va riconosciuto a tutti i cittadini
presenti sul territorio? Ai residenti? Anche ai cittadini residenti all’estero?
In Italia, hanno carattere
universalistico, nel senso che viene assicurata a tutti coloro che vivono nel
nostro paese, la Scuola d’obbligo,
quella secondaria (liceo classico e scientifico e istituti tecnici) e quella
universitaria, previo il pagamento di una tassa di iscrizione per quest’ultima.
Oltre alla scuola, anche il Servizio Sanitario si basa su un principio universalistico,
nel senso che offre l’assistenza gratuita (quella ospedaliera) a tutte le
persone presenti nel nostro territorio, mentre, per le visite specialistiche e
per i medicinali sono stati introdotti i Tiket, basati sulla selettività dei
redditi dei pazienti. Hanno, inoltre, carattere universalistico la Giustizia, la Difesa e la Pubblica Sicurezza.
Come
uscirne da questo circolo vizioso?
Se
abbassiamo l’età lavorativa per far spazio all’inserimento nel ciclo produttivo
delle giovani generazioni, considerando il prolungamento delle aspettative di
vita, il sistema previdenziale non è in grado di garantire la copertura finanziaria
ai pensionati.
Scaricare
i costi sulla fiscalità generale confligge con la necessità di mantenere a
livelli di tolleranza la pressione fiscale per non compromettere la capacità
concorrenziale della nostra economia.
Come
fare?
Resta
il problema di come aiutare i settori della popolazione privi di reddito o con
redditi al di sotto della soglia di povertà.
Buona
parte dei paesi europei si è dotata di schemi di reddito minimo a partire dal
secondo dopoguerra: dal Regno Unito, Francia, Germania e Stati Uniti. Nel Regno
Unito il primo provvedimento risale al 1948, aggiornato nel 1988.
In
Francia, l’attuale schema trae origine dalla riforma del 2009.
In
Germania, fino ai primi anni Duemila le politiche di sostegno al reddito si
fondavano su uno schema a più livelli: il primo consisteva in un sussidio di
disoccupazione fino a 32 mesi; un secondo livello corrispondeva ad un sussidio
di disoccupazione assistenziale.
Negli
Stati Uniti manca un istituto di reddito minimo. Funzionano sussidi di
disoccupazione per chi perde il lavoro. Durante il periodo del New Dil, il Welfare
State ha conosciuto una fase di forte espansione, con esperienze non sempre
positive. Gli economisti temono “la trappola della povertà”: se in una famiglia
numerosa abbiamo più soggetti che percepiscono un assegno assistenziale, si
riduce la propensione dei vari soggetti a cercare un lavoro retribuito. Per
questo negli Usa l’intervento sociale è mirato ad evitare che il sussidio
escluda la ricerca di un lavoro.
IN
ITALIA
L’Italia dispone di una grande struttura
previdenziale che fa capo all’INPS, sistema che ha garantito una certa
stabilità sociale durante il lungo decennio della crisi economico-finanaziaria,
nel corso del quale le pensioni degli anziani hanno integrato i redditi di
figli e nipoti. Ogni mese vengono erogate pensioni ad oltre 16 milioni di
cittadini per un costo complessivo di 280 miliardi di euro l’anno, oltre il 15%
del PIL, alimentato dalla contribuzione previdenziale e, solo in parte, dalla
fiscalità generale.
Nel
2010 il Governo Berlusconi ha introdotto, in via sperimentale per un anno, la Nuova Carta Acquisti,
da applicare nelle città con almeno 250 mila abitanti. In seguito il problema
verrà ripreso, con modalità diverse sia dal governo Monti, che dai governi Letta,
Renzi e Gentiloni. Questi ultimi si sono mossi essenzialmente sulla
decontribuzione fiscale (sono esonerati dalla denuncia dei redditi i pensionati
con pensioni al minimo) e sull’erogazione di contributi monetari, una specie di
13° viene corrisposta ai titolari di pensioni minime. 80 euro mensili a tutti i
lavoratori con contribuzioni al di sotto di una certa soglia. 500 euro annuali
corrisposti agli studenti e docenti per spese inerenti alla loro formazione
culturale. E’ seguita la decontribuzione fiscale per il passaggio dei
lavoratori da contratto a termine a contratto a tempo indeterminato; il bonus
bebè. Con la finanziaria 2018, la defiscalizzazione interesserà anche
l’assunzione dei giovani sotto i 30 anni.
LE
PROPOSTE DI LEGGE
Tornando
al reddito di cittadinanza, esistono diverse proposte parlamentari.
La
prima proposta di legge della XVII legislatura sul tema è del Partito
Democratico, depositata in Parlamento poche settimane prima della nascita del
governo Letta. Nel maggio del 2015. Il PD, in seguito ha presentato un’ulteriore
proposta.
Seguono
le proposte del M5S e di SEL, rispettivamente a fine ottobre e a metà novembre
2013. Da allora la capacità delle singole forze politiche di mantenere viva
l’attenzione sul tema è stata molto variabile. Il M5S nel 2015 ha fatto la marcia per
il reddito di cittadinanza da Perugia ad Assisi.
In
anni più recenti sono state articolate proposte in tema di reddito minimo da
associazioni ed enti aderenti all’Alleanza contro la povertà in Italia come
l’Acli, Ars (Associazione per la ricerca sociale) Anci, Caritas, Cgil- Cisl-
Uil, ecc.
Il
PD propone: per aver diritto bisogna aver compiuto almeno 18 anni, essere
disoccupato, inoccupato e disponibile a lavorare o a frequentare corsi di
formazione o riqualificazione professionale presso i centri per l’impiego
territorialmente competenti, non usufruire di cassa integrazione ordinaria o
straordinaria o di indennità di disoccupazione, avere un Isee non superiore a
6.880 euro annui. L’importo mensile è fissato in 500 euro per ciascun
beneficiario (6.000 annui), incrementato di un terzo per ogni componente del
nucleo familiare a carico.
Il
M5S il 29/10/ 2013 deposita il proprio disegno di legge che propone
l’istituzione del Reddito di cittadinanza. Per Rdc si deve intendere misure di
sostegno del reddito per tutti i soggetti residenti sul territorio nazionale
che hanno un reddito inferiore alla soglia di rischio povertà, ossia inferiore
al 60% del reddito mediano equivalente familiare (780 euro mensili, 9.360 euro
annuali, il 60% del reddito mediano equivalente familiare stabilito per il 2013
da Eurostat.
Il
SEL propone 600 euro mensili.
Escludendo ogni considerazione sul “Reddito di Cittadinanza”, come
un presalario per tutti, si tratta di prendere in considerazioni ipotesi di “Reddito
Minimo” ancorato ad un preciso impegno di carattere sociale. Ad esempio non va
scartata la possibilità di corrispondere un salario minimo ai giovani
universitari (18 anni) in regola con gli esami annuali e con i piani di studio per
conseguire la laurea (5anni), sullo schema utilizzato a suo tempo, dagli
universitari, per ottenere l’esenzione dal servizio militare di leva,
riconoscendo loro anche un’eventuale copertura previdenziale.
Per i disoccupati, in attesa di un lavoro più consone al loro profilo
professionale, si possono prevedere forme di coinvolgimento, con relativa
retribuzione, per lavori nel comparto ecologico come la pulizia delle sponde
dei fiumi, quella dei canali, al verde pubblico, ecc. Il tutto va inquadrato in
un Piano strategico nazionale, riguardante l’ambiente, la costruzione di invasi
per contenere e preservare le acque piovane da utilizzare nei periodi di
siccità; interventi sul suolo per prevenire frane ad inondazioni, Fissare norme
vincolanti per i comuni in materia edilizia per garantire, in futuro
costruzioni anti-sismiche.
“Il
Reddito di Cittadinanza” a carattere universalistico, è da escludere sia per
l’incidenza degli oneri che ne deriverebbero per le finanze pubbliche (300
miliardi di euro l’anno) e sia per i riflessi che ciò determinerebbe sul piano
sociale. La nostra è una “Civiltà Basata sulla Creatività e sul Lavoro” sia
esso manuale che intellettuale. Un presupposto fondante basato sul
riconoscimento del Merito, l’Impegno personale, lo Studio, il Sacrificio, la Volontà di andare oltre,
di Ricercare soluzioni nuove ai problemi della Salute a quelli Ambientali e
dell’Inquinamento, di scoprire nuovi orizzonti e di aprire nuovi campi. Una
Curiosità insita nell’uomo, che non possiamo snaturare perché comporterebbe uno
sfaldamento della stessa coesione della società civile.
Il tema resta quello di aiutare i più
poveri e bisognosi, ma l’obiettivo centrale deve rimanere l’espansione
dell’occupazione in nuovi ambiti e settori.
Il lavoro resta, anche per il futuro, il
punto di riferimento. Nel corso della storia, la civiltà del lavoro si è sempre
imposta facendo spazio a nuovi soggetti come le donne, prima escluse da certi
processi produttivi. Si dovrà ridurre l’orario di lavoro per ogni singolo
individuo, ma non si deve perdere il collegamento tra singolo e società perché
è in questa fusione tra l’apporto del dare, attraverso il lavoro, di ognuno
alla collettività e il ritorno che la collettività rende al singolo attraverso
il lavoro degli altri, che è stata costruita la storia della civiltà umana.
IL CLIMA ELETTORALE
Con l’avvicinarsi della scadenza
elettorale, i diversi leader dei partiti si sono gettati in una gara a chi
promette di più. A volte più che a statisti abbiamo l’impressione di avere a
che fare con dei veri e propri piazzisti.
Berlusconi promette
che ogni pensionato non potrà aver una pensione inferiore a 1.000 euro al mese
per 13 mensilità. L’operazione costerebbe 4 miliardi di euro l’anno. La stessa
somma che lo Stato incassava dalla vecchia Imu sulla prima casa.
Di Majo, propone il
reddito di cittadinanza. Riguarda tutti i maggiorenni residenti in Italia:
cittadini italiani, di paesi comunitari o anche extracomunitari se i loro Paesi
hanno firmato convenzioni sulla sicurezza sociale. Ma a patto che siano disoccupati
o siano sotto la soglia della povertà. Gli interessati sarebbero circa 9
milioni. I costi 17 miliardi di euro. Più o meno la stessa somma stanziata in
manovra per evitare l’aumento dell’Iva.
Renzi, propone di
estendere il bonus di 80 euro alle famiglie con figli. Il nuovo bonus si
sommerà agli 80 euro per i lavoratori dipendenti con basso reddito al di sotto
dei 26 mila euro lordi l’anno. La proposta non è stata definita nei dettagli,
tuttavia alcune valutazioni stimano un costo tra i 5 e dieci miliardi di euro
l’anno.
Berlusconi propone
inoltre la Flat
tax fissa per le famiglie e le imprese: 25% del reddito, da attuare gradualmente nel corso della
legislatura.
Salvini, propone
addirittura di ridurre l’aliquota del Flat tax al 15%.
Il centro destra, a fronte del taglio
delle aliquote propone di azzerare tutte le detrazioni e le deduzioni. Il sito lavoce, info, ha calcolato che l’operazione avrebbe un costo di 40
miliardi di euro l’anno.
Sale la febbre elettorale.
Intanto l’Europa fa notare che i conti
non tornano ed in primavera si dovrà procedere ad una nuova manovra correttiva.