Dietro la notizia
Disuguaglianza crescente
Bruno Soro
“La lezione complessiva della mia ricerca
è che il processo dinamico di un’economia di mercato e di proprietà privata, se
abbandonato a sé stesso, alimenta importanti fattori di convergenza (leggi
riduzione delle disuguaglianze), legati in particolare alla diffusione delle
conoscenze e delle competenze, ma anche a potenti fattori di divergenza (leggi
ampliamento delle disuguaglianze), potenzialmente minacciosi per le nostre
società democratiche e per i valori di giustizia sociale sui quali esse si
fondano.”
Thomas Piketty, Il capitale nel XXI
secolo, Bompiani, Milano 2014
Su La Stampa di sabato 28 maggio l’economista Antonio
Maria Costa, al quale il sito di Wikipedia in lingua inglese dedica lo spazio
che merita , ha pubblicato un interessante articolo nel quale spiega perché nei
Paesi ricchi, orfani dello sviluppo economico, si affermino fanatismo e paura:
un tema strettamente connesso a quello della classe media che si sente tradita
dalla globalizzazione. Dall'alto della sua pluriennale esperienza al servizio
delle più importanti Organizzazioni internazionali, l’autore rammenta
innanzitutto come nell'ultimo mezzo secolo si siano affermati i valori
occidentali di libertà, sovranità popolare e stato di diritto, unitamente alla
diffusione del libero scambio (la globalizzazione) a seguito del quale si
riscontra una significativa diminuzione della povertà estrema. Infatti, se nel
1990, anno in cui si fanno risalire i primi studi sistematici sul tema della
povertà, la popolazione che viveva in condizioni di povertà estrema (con meno
di due dollari al dì) ammontava a poco meno di 2 miliardi su un totale di 5
miliardi e 200 milioni (pari al 37% della popolazione mondiale), nel 2015 la
povertà estrema si è ridotta a poco più di 800 milioni su una popolazione
mondiale di oltre 7 miliardi e 200 milioni (pari all’11% della popolazione
mondiale).
Negli ultimi due decenni, tuttavia,
si è assistito ad una radicale inversione di tendenza: “Europa, e America -
scrive Antonio
Maria Costa – sono preda di un gioco a somma zero: tu vinci, io perdo. In
politica, il regime democratico è paralizzato da veti incrociati e interessi di
potere (…). In economia, il neo liberismo è accusato di generare
disoccupazione, disuguaglianza e incertezza. Sotto critica è l’intero sistema:
la politica corrotta; la finanza ladra; l’evasione fiscale dei potenti; la
petulanza dei sindacati; l’Ue incompetente; la Cina dominante. (…) Non doveva
finire così”. “Perché - si domanda l’autore - la globalizzazione ha fallito,
risvegliando fanatismo e xenofobia?” Sostanzialmente per questi due motivi:
perché se da un lato la globalizzazione genera benefici, ancorché solo in
presenza di particolari condizioni oggi inesistenti (come una politica
economica appropriata, un mercato del lavoro efficiente e istituzioni
funzionanti), dall’altro, “le straordinarie eccedenze commerciali della Cina
hanno scassato gli argomenti a favore del libero scambio”. Stando ai dettami dell’economia
internazionale, i vantaggi economici della Cina (basati sul basso costo del
lavoro) dovrebbero tendere ad annullarsi, ma “date le dimensioni demografiche,
la Cina manda le controparti commerciali in bancarotta, prima che i costi di
produzione si adeguino” e usa “le sue straordinarie riserve valutarie (…) per
acquistare le poche aziende sopravvissute”. Antonio Maria Costa conclude la sua
analisi sottolineando come oggi, “scambi e finanza sono la continuazione della
guerra, proprio come in passato la guerra è stata la continuazione della
politica”, generando una «disuguaglianza crescente».
C’è tuttavia un aspetto del rapporto tra la
globalizzazione e la «disuguaglianza crescente», evidenziato peraltro dai dati
riportati a margine di quello stesso articolo, che sfugge alla pur acuta
osservazione dell’autore e alla maggior parte degli economisti. Si tratta dell’impatto
che la mutata distribuzione del reddito ha sulla spesa per l’acquisto dei beni
di consumo (la propensione a consumare della collettività): un “effetto
collaterale” che influisce sul valore della componente più rilevante della
domanda interna, che a sua volta si riflette anche sulle decisioni di
investimento delle imprese. Cerchiamo di
capire.
In base ai dati della Banca Mondiale, tra il 1970 e il
2014, la quota del reddito percepita dalla “classe media” si sarebbe ridotta
dal 61% al 43%; quella della “classe ricca” sarebbe invece aumentata dal 29 al
48 per cento; la quota percepita dalla “classe povera”, infine, sarebbe scesa
solo di un punto percentuale, dal 10% al 9%. Bastano questi dati per
comprendere come soprattutto la “classe media” sia stata “tradita dalla
globalizzazione”. Ma quello messo in evidenza dai dati è però solo un aspetto
della questione, poiché la mutata distribuzione del reddito, influisce sia sulla
spesa di beni di consumo da parte delle famiglie, sia su quella per l’acquisto di
beni strumentali (i cosiddetti «investimenti reali») da parte delle imprese.
Consideriamo la seguente affermazione contenuta nel
capitolo X della «Teoria generale»: “La propensione marginale
al consumo – scrive Keynes – non è costante per qualunque livello di
occupazione, ed è probabile che di norma essa tenda a diminuire con l’aumentare
dell’occupazione: ossia, quando il reddito reale aumenta, la collettività
desidererà consumarne una frazione progressivamente decrescente”. Spesso
sottaciuta nei manuali di Macroeconomia, l’ipotesi che la propensione al
consumo possa variare quando muta la distribuzione del reddito ha rilevanti implicazioni
di Politica economica. Una propensione (marginale) a consumare che diminuisce
all’aumentare del reddito – ragion per cui è lecito ipotizzare che la stessa sia
più elevata per i “redditi da lavoro” e inferiore per gli “altri redditi” –, implica
infatti che una più equa distribuzione del reddito porterebbe ad un aumento del
livello del consumo (a parità di reddito), e viceversa. In altri termini,
misure di politica economica volte a favorire una più equa distribuzione del
reddito (come ad esempio l’adozione di un sistema fiscale maggiormente improntato
alla progressività), indurrebbero effetti positivi sul consumo (a scapito del
risparmio). Al contrario, misure che favoriscono una maggiore concentrazione
del reddito in favore delle classi a reddito più elevato (e a propensione a
consumare più bassa), comportano, sempre a parità di reddito un aumento del
risparmio e una riduzione del consumo.
Dunque, se il problema sembra essere quello di favorire
una ripresa dei consumi delle famiglie, l’adozione di un sistema fiscale
maggiormente improntato alla progressività avrebbe il merito di favorire una
inversione della tendenza alla concentrazione del reddito a vantaggio delle
classi più ricche, con l’ulteriore vantaggio di stimolare una ripresa degli
investimenti reali indotta dall’aumento dei consumi. Sfatiamo innanzitutto il luogo comune che, al
difuori degli schemi di contabilità nazionale, il «risparmio» (inteso come
quella parte del reddito non speso nell’acquisto di beni di consumo) si traduca
in «investimenti»: le decisioni di risparmio delle famiglie, e quelle di
investimento da parte delle imprese, sono assunte in base a fattori diversi (la
propensione a consumare influisce significativamente sulle prime, mentre le
“aspettative” di rendimenti futuri determinano in maniera rilevante le seconde).
Non vi è ragione alcuna, quindi, che misure volte a favorire il risparmio si
traducano in investimenti reali delle imprese. Scrive in proposito lo stesso
Keynes: “il capitale [vale a dire il cumulo degli investimenti reali che
determina la capacità produttiva di una economia] non è un’entità autonoma
separata dal consumo. Al contrario, ogni indebolimento della propensione al
consumo considerata come abitudine permanente deve indebolire la domanda di
capitale allo stesso modo della domanda di consumo” [Ibidem, p. 248].
Elaborata all’indomani della Grande crisi degli anni
’30 del Novecento la Teoria Generale di Keynes aveva l’intento dichiarato di contrastare
il fenomeno della «disoccupazione involontaria». Purtroppo, questo concetto di
disoccupazione, al pari di quello della disoccupazione tecnologica, è ignorato
dal «pensiero unico» neoliberista, per il quale, nell’indebito tentativo di
adattare la realtà alla teoria (e non viceversa), concepisce la disoccupazione unicamente
come un fenomeno imputabile ad un “non perfetto funzionamento del «mercato del
lavoro»”. Forse la presenza nei paesi dell’Unione Europea di oltre 25 milioni
di disoccupati consiglierebbe ai cultori del «pensiero unico» di prestare una
maggiore attenzione a spiegazioni considerate “eretiche” e come tali da ignorare.
Alessandria, 2 giugno 2016
Si supponga che la «propensione marginale al consumo», che misura quanta parte
dell’aumento di un euro di reddito si tradurrà nell’acquisto di beni di
consumo, sia pari all’unità per le classi più povere (per le quali tutto
l’aumento del reddito disponibile si tradurrebbe in un equivalente aumento del
consumo); che tale propensione si riduca a 0,8 per le classi medie (per le
quali solo l’80% dell’aumento di reddito si tradurrebbe nell’acquisto di beni
di consumo e la restante parte in risparmio), riducendosi ulteriormente a 0,3
per le classi più ricche (per le quali il 70% dell’aumento di reddito andrebbe
ad incrementare i risparmi). Si tratta ovviamente di una assunzione di comodo (peraltro
non del tutto fantasiosa), ma che consente di esaltare l’effetto sui consumi
dei cambiamenti nella distribuzione del reddito. In base ai dati della banca
Mondiale riportati nel testo, i mutamenti avvenuti nella distribuzione del
reddito nell’ultimo mezzo secolo, con il forte aumento della quota di reddito
percepita dalle classi più ricche (caratterizzate da un più bassa propensione
marginale al consumo) avrebbero pertanto comportato una significativa
diminuzione dei consumi dal 67,5% nel 1970 al 57,8% nel 2014, con conseguente
aumento del risparmio. Poiché quest’ultimo non necessariamente si traduce in
investimenti reali, e nella misura in cui questi ultimi dipendono, in ultima
istanza, proprio dalla domanda di beni di consumo, l’aumento della
disuguaglianza potrebbe avere avuto quale conseguenza un effetto depressivo su
entrambe le componenti della domanda.
02/06/2016 19:52:14
09.03.2018
Bruno Soro
(…) «Le cose che a noi parvero tanto splendide
e giuste
sapranno
dimostrarcele, loro, insensate e fruste,
variando cose
identiche senza troppe fatiche,
come dicemmo in
altra guisa noi parole antiche».
Dalla poesia I nemici, di Costantino Kavafis
Poesie nascoste,
Mondadori Editore, Milano 1974
...
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08.02.2018
Bruno Soro
“Alcuni
hanno un grande sogno nella vita e mancano a quel sogno. Altri non hanno nella
vita nessun sogno, e mancano anche a quel sogno”
Fernando Pessoa, Il
poeta è un fingitore, Feltrinelli, Milano 1988
In un articolo pubblicato sulle pagine locali di La Stampa di
venerdì 2 febbraio
2018[1],
la giornalista...
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16.12.2017
Bruno Soro
“La
paura o la stupidità sono sempre state alla base della maggior parte delle
azioni umane.”
Albert Einstein, dalla lettera a E.
Mulder, aprile 1954, Archivio Einstein 60-609, p. 140
Mentre stavo riflettendo sul giudizio espresso
da Umberto Eco sulla rete nella sua Lectio Magistralis, in occasione...
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09.12.2017
Bruno Soro
La guerra di
Trump1
“Detto
tra noisono solo un brigantenon un resono uno chevende
sogni alla gentefa promesseche mai potràmantenere”
E. Bennato,
Detto tra noi, Dall’Album
- Non farti cadere le braccia, 1973
Con
cinquantuno contro quarantanove voti il Senato degli Stati Uniti ha
fatto vincere al Presidente...
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26.11.2017
Bruno Soro
“Il segreto dell’agitatore è di rendersi stupido quanto i suoi ascoltatori, in modo che questi credano di essere intelligenti come lui”.K. Kraus, Detti e contraddetti, Adelphi, Milano 1972Il signor Giuseppe Monticone, Presidente del comitato “Oltre il fango”, mi ha onorato della sua attenzione commentando...
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12.11.2017
Bruno Soro
“…l’umanità tende a essere un po’ credulona, e a bersi tutto quello che le
viene propinato. Un buon atteggiamento sarebbe invece chiedersi sempre se
l’informazione che stiamo ricevendo è vera o falsa, e in caso di dubbio andare
a verificare.
I primi a dover fare
questa informazione dovrebbero essere...
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08.10.2017
Bruno Soro
“Il tempo è ciò di cui parliamo chiedendo «quando?».
Lo spazio è ciò di cui parliamo chiedendo «dove?».
Carlo Rovelli, L’ordine del tempo, Adelphi Edizioni, Milano 2017
Mi ero già appuntato il titolo di questo
scritto, ispiratomi dalla lettura del bestseller
del fisico Carlo Rovelli, quando...
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21.09.2017
Bruno Soro
“Nella prefazione alla sua grande
opera, (…) Moore – Keynes si riferisce qui al trattato del grande filosofo britannico
George Edward Moore Principia ethica –
esordisce dicendo che l’errore principale è «cercare di rispondere alle domande
senza prima capire qual è, di
preciso, la domanda cui si desidera...
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31.08.2017
Bruno Soro
Non
mi serve una lapide, mase a
voi ne serve una per me
vorrei
che sopra stesse scritto:
Ha
fatto delle proposte. Noi
le
abbiamo accolte.
Una
simile scritta farebbe
onore a noi tutti.
Bertolt Brecth, Poesie. Einaudi, Torino
1992
È da stupidi dare
dello “stupido” ad uno stupido, così come è...
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21.08.2017
Bruno Soro
«Chi attribuisce alla crisi i suoi
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L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare
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