“Io e il mio
pubblico ci capiamo benissimo: lui non sente ciò che io dico e io non dico ciò
che lui vorrebbe sentire”.
Karl Krauss, Detti e contraddetti, Biblioteca Adelphi
38, Milano 1972
Non sono un giocatore. Per non correre il
rischio di vincere il premio della Lotteria di Capodanno ho perfino sempre
evitato di acquistare un biglietto. Ritengo pertanto di avere poca dimestichezza
nel trattare il tema degli «azzardi e delle grandi scommesse», conoscendo a
malapena il significato economico di termini quali «rischio» e «incertezza»,
sui quali mi sono già espresso in altre occasioni.
Consideriamo la seguente successione di
eventi. Con la dichiarazione di guerra alla Serbia, a seguito dell'assassinio di Francesco Ferdinando, erede al trono
dell’Impero austro-ungarico, Francesco Giuseppe I d’Austria (1914) ha dato avvio
alla Prima guerra mondiale, provocando in tal modo l’autodistruzione del suo Impero e l’esautorazione di coloro che avevano
scommesso sull’esito di una facile guerra. Sopravvalutando la potenza economica e militare della
Germania, il 1º settembre del 1939, con l’azzardo dell’invasione della
Polonia, il dittatore Adolf Hitler ha
provocato, pensando di vincerla, lo scoppio
della seconda guerra
mondiale. L’esito di questa guerra si è
rivelato disastroso sia per la Germania, che per l’Europa ed il mondo intero.
Per venire ad azzardi e grandi scommesse più recenti, nel
1998, Massimo D'Alema, Segretario del partito dei Democratici di Sinistra (DS),
dopo avere perso la scommessa sulla tenuta del "patto della
crostata", e conseguente fallimento della Commissione parlamentare per le
riforme costituzionali da lui presieduta, succedendo al primo Governo Prodi è
divenuto Presidente del Consiglio (il Governo d’Alema I). Dopo l’uscita dalla
maggioranza di Rocco Buttiglione e di Francesco Cossiga, e con l’intento di favorire un rimpasto di governo che tenesse conto degli
equilibri della nuova maggioranza, D’Alema
scommette sulla crisi di governo. Ottenuto
dal neo eletto Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi l’incarico di
dar vita al Governo
d’Alema II,
mette in
gioco la sua personale autorevolezza sull'esito delle elezioni regionali
tenutesi il
16 aprile del 2000. A
seguito della sconfitta della coalizione di
centro-sinistra (che non ha visto riconfermata la guida delle regioni Liguria, Lazio, Abruzzo e Calabria),
con un gesto dallo stesso considerato “un atto di sensibilità politica”, dopo
soli quattro mesi e tre giorni D’Alema si dimette da Presidente del Consiglio.
Gli succederà il Governo di Giuliano Amato.
Procedendo nella successione degli eventi ed estendendo
lo sguardo sul mondo, con l’azzardo dell’invasione dell’Irak e la Guerra del
Golfo del 2003, George W. Bush scommette sulla
eliminazione di Saddam, provocando in realtà un focolaio mediorientale che ha causato
ingenti danni agli stessi Stati Uniti ed è tuttora gravido di conseguenze. Otto
anni dopo, senza concordare alcun prioritario consenso con l’Unione Europea
della quale la Francia fa parte, il Presidente francese Nicholas Sarkozy, per
ragioni personali, scommette sulla eliminazione di Gheddafi. Dopo aver coinvolto
in una guerra anche alcuni paesi europei, con quell’azzardo ha attizzato un
focolaio nel Nord Africa le cui conseguenze, anche in termini di immigrazione, si
stanno rivelando un disastro sia per la Francia che per tutti i paesi europei.
Alle elezioni presidenziali successive non verrà rieletto.
Durante la crisi greca del 2015, il
valente economista (e pessimo politico) Yanis Varoufakis azzardò la scommessa di
uscire vincitore nella sua battaglia personale contro l'austerità (teutonica)
che governa le istituzioni dell'Unione Europea. Eletto deputato e dopo essere
stato nominato Ministro delle Finanze nel primo Governo Tsipras, Varoufakis scommette
su un esito positivo del referendum indetto per il 5 luglio 2015, motivando la
sua scommessa col fatto che "non bisogna
distruggere ma cambiare l'Europa, perché uniti (all’Europa) si è più forti e si
pesa di più”. Siccome il 61% degli elettori respingerà il “programma proposto dai
creditori per risolvere la crisi del paese”, il giorno successivo all’esito del
referendum Varoufakis annuncia le sue dimissioni, volte a “favorire la
trattativa con l’Eurogruppo”, ed esce di scena.
Il Primo Ministro inglese David Cameron, al
fine di consolidare il suo potere all’interno del suo partito e scommettendo sul
fatto che i cittadini del Regno Unito avrebbero confermato la permanenza
nell'Unione Europea come fecero nel primo referendum del 1975, indice il
referendum che provoca la Brexit. Con
la svalutazione della sterlina e la minacciata uscita dalla City di Londra di
importanti banche europee, la maggioranza degli elettori inglesi, consapevole
del danno arrecato al proprio paese, parrebbe essersi già pentita, anche se le
conseguenze dell’uscita della Gran Bretagna dalla UE stanno appena iniziando a manifestarsi.
Dopo l'esito del referendum David Cameron si dimette ed esce di scena.
Digiuno di esperienza parlamentare e dopo
avere conquistato la segreteria del Partito Democratico grazie a primarie
aperte anche ai simpatizzanti, Matteo Renzi gioca d’azzardo. Dopo avere disarcionato
il suo predecessore Enrico Letta, che a suo dire avrebbe dovuto “stare sereno”,
nonché con l’aiutino del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, diviene
Presidente del Consiglio dei Ministri. A capo di un Esecutivo nel quale tecnici
e politici competenti «nell’arte di governare» sono una rarità, egli ha puntato
tutto – ovvero la sua permanenza a Palazzo Chigi, ma anche la sua permanenza in
politica –, su una riforma costituzionale e su una legge elettorale che, nel caso
in cui la prima venisse approvata (a legge elettorale immutata), alle prossime
elezioni è assai probabile che tutto il potere politico (uno dei tre poteri su
cui si regge l’ordinamento costituzionale) venga consegnato nelle mani di un
comico prestato alla politica. Un comico che, con i suoi strali urlati, aizza drappelli
di parvenu e un esercito di populisti
che credono nell’utopia della democrazia diretta via internet. Di fronte ad un simile azzardo, “lui speriamo che se la
cavi”.
Temo tuttavia che l’esito del referendum
sulle modifiche della Costituzione si risolverà, come nel caso dei due
referendum di cui sopra (ancorché su quesiti ben diversi), con la vittoria
dell’exit (di Renzi). Ciò a causa, da
un lato, di un diffuso malessere che si percepisce tra la popolazione, sfibrata
dopo otto lunghi anni da una crisi economica che sembra non finire mai, dall’altro,
in seguito ad un sentimento “anti-renziano” da lui stesso provocato, stante il
suo atteggiamento a dir poco «divisivo»: dal suo attacco ai sindacati, dall’essersi
inimicato una consistente fetta dell’elettorato del suo stesso partito e, inoltre,
essendosi alienato, per via di una rottamazione più annunciata che perpetrata
(alcuni dissenzienti se ne sono andati da soli fuori dal PD), frange
significative del partito stesso. In ultimo, ma non per questo meno importante,
per aver ironizzato sui «gufi» e i «parrucconi», due categorie di persone formate
in prevalenza da «tecnici» e professionisti assai più competenti e scafati (nelle
questioni economiche e costituzionali) sia di lui che del Ministro alle Riforme
Maria Elena Boschi. Tutti uniti, quindi, contro il suo Governo. La sola cosa
che potrebbe minimamente salvarlo è il giudizio degli elettori sulla multiforme
(e «cattiva», nel senso che le madri consigliano ai figli di non frequentare)
compagnia che si oppone al referendum.
Infine, in un raro momento passato davanti
ad una televisione accesa, ho sentito l’On. Giorgia Meloni, a capo del movimento
Fratelli d’Italia–Alleanza Nazionale, affermare
che, nel caso in cui la sua formazione politica giungesse ad avere
responsabilità di governo, ella si farebbe promotrice di una legge per
riformare l’articolo 75 della costituzione, quello che vieta il ricorso al
referendum in materia di ratificazione dei Trattati internazionali. Ciò al fine
di giocare l’azzardo di un referendum per l’uscita dell’Italia dall’Unione
Europea, sfilando in tal modo una freccia dalla faretra del segretario della
Lega Nord Matteo Salvini, il quale in materia la pensa esattamente come lei. Stanti
tutti questi esempi temerari di (politicamente parlando) «azzardo morale», “noi
speriamo che ce la caviamo”.
Per concludere, vorrei esplicitare la mia
opinione sul futuro dell’Europa: temo purtroppo che l’onda montante dei
nazionalismi e dei populismi potrebbe contribuire a sfasciare ciò che resta
dell’Unione Europea. Tutto ciò, con la complicità: i) dell’ottusità delle istituzioni europee, vincolate
dai Trattati ad una assurda politica di austerità; ii) di una politica fiscale diversificata
a livello europeo, nonostante la presenza di una moneta unica (cosa che
accentua le disuguaglianze); iii) del ritardo con il quale si procede lungo il
percorso che porta alla costruzione di una Unione federale, l’unica prospettiva
che potrebbe salvarla dall’implosione; iv) infine, con la
complicità dovuta al fatto che le Istituzioni dell’Unione Europea sono solo in
parte elette democraticamente dai «cittadini europei». Mi riferisco in
particolare alla Commissione Europea (che dovrebbe essere il Governo dell’Unione
federale), tenuta in scacco dalle «visioni corte» - per dirla con il compianto Ministro
del Tesoro e dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa -, dei governi nazionali e di
piccoli Stati federali (penso al recentissimo veto di una minuscola area come
la Regione Vallone), ma anche al Parlamento europeo, il quale, ancorché eletto
direttamente dai cittadini, è di fatto privo di potere effettivo.
Aggiungo infine che, in assenza di una
entità sovrannazionale in grado di gestire una politica fiscale saldamente in
mano ad un governo federale, il fatto di aver anteposto l’introduzione della
moneta unica all'unione politica (di tipo federale), rischia non solo di ostacolare
la costruzione di uno Stato federale, ma, paradossalmente, di comprometterne del
tutto la realizzazione. Parola del grande economista e politico inglese Lord Nicholas Kaldor (1908-1986), il quale, in uno scritto del
1971 - a commento delle idee contenute nel Piano Werner -, inascoltato sosteneva che:
“Un giorno le nazioni dell’Europa potrebbero essere pronte a fondere le loro
identità nazionali e creare una nuova nazione Europea – gli Stati Uniti
d’Europa. Se e quando ciò venisse realizzato, un Governo Europeo dovrà assumere
su di sé tutte le funzioni di un governo Federale sul tipo di quello in uso
negli USA, in Canada o in Australia. Tutto ciò implica la creazione di una «piena
unione economica e monetaria»”. é a questo punto che Kaldor lancia il
suo monito: “è un grave errore credere che l’unione economica e monetaria possa
precedere (in corsivo nell’originale)
la creazione di un’unione politica. La creazione di una unione monetaria ed il
controllo sui bilanci nazionali genererà pressioni tali da provocare grandi tensioni
nell’intero sistema, tensioni che potrebbero non promuovere il raggiungimento
di una unione politica, bensì impedirne la realizzazione” (traduzione mia). Esattamente
quanto mi pare stia accadendo. Mai articolo fu così profetico sul destino del
Regno Unito. Auguriamoci solo che non lo sia altrettanto con riguardo al
destino e alla disillusione dilagante nei riguardi dell’Unione Europea.
Alessandria, 27 ottobre 2016