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Economia
Il Sindacato e la scomparsa del "ceto medio" ad opera di insensati
Claudio Braggio


 

Il ceto medio non è affatto scomparso, ma si è trasformato nella epitome di un onnivoro sincretismo antisnobistico.

In un primo tempo, questo è opportuno, dovremmo essere realistici e chiedere subito l’impossibile.

La progressiva e almeno in apparenza inesorabile scomparsa del ceto medio, rappresenta la peggior sconfitta contemporanea della società, della politica, dei sindacati.

Come aggiungere una nota di speranza?

La potrebbe offrire il Sindacato, che proprio a causa dell’importante ruolo che dovrebbe assumere, si trova sotto un fuoco mediatico inframmezzato da critiche di inconcludenza provenienti da lavoratori e no, raccolti o meno sotto una sigla sindacale.

Siamo avvolti da nebbie.

La tempesta generata dalla miriade di canali informativi sempre all’opera, orientati più sul dare notizie piuttosto che offrire approfondimenti, trova buon gioco tanto nell’effetto annuncio tanto caro alla compagine governativa, quanto negli scandali generati da comportamenti gravi ed immorali, pur sempre imputabili a singoli, sebbene questi tentino di proteggersi sotto una bandiera.

Mascalzoni.

Questi reiterati attacchi hanno quale scopo quale scopo la delegittimazione del Sindacato.

Nel contempo vorrebbero essere anche una sorta di maggior legittimazione dell’intervento governativo e parlamentare sulla legislazione sul lavoro.

Al momento ottengono soltanto un malaugurato effetto negativo sul delicato equilibrio tra legge, autonomia delle rappresentanze dei lavoratori e contratti collettivi.

Brutta storia.

Che comunque andrebbe raccontata.

Come pure dovrebbero essere oggetto di narrazione i risultati concreti e positivi ottenuti dal Sindacato.

Una comunicazione efficace predilige la narrazione dei successi ottenuti nelle aziende, negli uffici pubblici, sul territorio e si contrappone all’aridità dei comunicati stampa, che hanno pur sempre il sapore stantio della giustificazione da parte di chi esercita il potere.

Molto meglio il fascino della memoria consolidata di quanti operano per difendere i più deboli, in particolare quelli che il potere vorrebbe gestire.

Si odono poche grida d’allarme.

Ancora nessun grido di dolore.

Assenze che pesano molto, perché sono il pericoloso, anzi pericolosissimo segnale che il ceto medio, non possedendo una propria capacità aggregativa, una coscienza collettiva se si preferisce, si ripiega sulle resistenze dei singoli.

I singoli resistono in modo solitario ed ogni tanto qualcuno cade, avvolto nel silenzio e presto nell’oblio.

Lo stato sociale, questa la domanda inquietante, è il frutto di una inevitabile tendenza intrinseca al capitalismo che si espande nel regolare ogni aspetto della vita, ovvero il risultato di una spinta rivendicativa generata dalla mobilitazione di massa nelle forme, partiti politici e Sindacati, organizzate dalla classi subalterne?

La risposta emerge chiaramente in questo frangente di crisi, dove dopo un originario consolidamento dei diritti dei lavoratori, oltre alla nascita delle forme di sostegno sociale intestate al volontariato d’ogni genere, si assiste non soltanto a scellerate azioni di smantellamento mercé l’insostenibilità dei costi, ma anche ad un contemporaneo sfilacciamento delle compagini impegnate nel sociale.

Non tanto per la crisi delle vocazioni o dell’avanzare di culture differenti in merito al concetto di condivisione delle esistenze.

Piuttosto si tratta dell’infoltimento delle schiere di quelli che un tempo appartenevano al ceto medio, quindi avevano sicurezze economiche e serenità d’animo e tempo liberato da dedicare agli altri, ed ora invece vengono ascritti al rango di bisognosi.

Il ceto medio si dissolve soprattutto in questo modo.

Ai due estremi s’ingrossano sia le file di quelli che hanno soprattutto bisogno d’aiuto, sia quella del ceto medio-alto che in ragione, reale o millantata o sedicente, delle competenza d’alto profilo nei settori economico-finanziari, avanza esose pretese di riconoscimento economico, pressoché sempre accolte pur se raramente giustificabili.

In una società basata sulla circolazione delle merci e sul loro consumo, questa situazione potrebbe evolvere solamente in un disastro.

Il ceto medio assottigliato va riducendo il tempo da dedicare al consumo e nel contempo anche le risorse.

Al contrario, i componenti del ceto medio-alto stanno vivendo un contrasto fortemente legato alla precarietà della loro condizione ed al tremore delle loro aspirazioni (ansia perenne), quindi a fronte di una grande capacità di spesa non corrisponde la quantità di tempo necessaria per goderne.

Senza sottacere della debolezza umana che a ciascuno mostra con chiarezza chi vive una condizione sociale migliore, mentre lo sguardo s’appanna quando, non sempre volontariamente, ci si volge verso gli ultimi, anzi già a quelli che stanno soltanto un poco peggio di noi.

Questa è una sfida, molto calda, per il Sindacato.

Che oggi si gioca sui decreti dei tentativi di riforma del lavoro, costruiti senza il necessario confronto con la rappresentanza dei lavoratori; sulla volontà del Governo di legiferare in tema di rappresentanza sindacale e sciopero; sul mancato accordo in merito al progetto di riforma degli assetti contrattuali, nonché sulle regole della contrattazione utile a frenare inopportuni interventi normativi sulle relazioni industriali.

Occorre avere consapevolezza del passato, per poter costruire il futuro e vivere in modo dignitoso per tutti il presente.

Nel Secolo scorso, la tecnologia ha trasformato i lavoratori in ingranaggi specializzati nella complessa macchina produttiva, attori cruciali e insostituibili nell’economia della catena di montaggio anche se non qualificati.

Nell’attuale rivoluzione tecnologica, i lavoratori non qualificati hanno perso il loro ruolo, facilmente sostituiti da lavoratori immigrati, in special modo clandestini, e macchine ovvero sistemi informatizzati.

Il mercato del lavoro ha dato preferenza ai lavoratori qualificati, facendo crescere al tempo stesso la frammentazione del sistema lavoro.

La società si va costringendo fra lavoro a distanza con l’illusione della gestione personale del tempo e lavoro apparentemente autonomo che in realtà è funzione delegata che legalmente si sovrappone al rapporto di dipendenza diretta.

Per il Sindacato, il risultato è stato quello di perdere efficacia nella rappresentanza e nella contrattazione collettiva, con la dispersione nei mille rivoli della miriade dei contratti nazionali e no.

Il ceto medio cominciò così a scivolar via, stante la stretta relazione tra appartenenza sindacale e disuguaglianza di reddito.

Il declino del Sindacato è stato accelerato anche dal declino del lavoro, ma non solo, facendo emergere il terribile quesito sulla necessità della loro esistenza.

Sono necessari i Sindacati?

Debbono forse stare in recinti ben definiti?

Nel caso in cui l’obiettivo sia quello di rafforzare il ceto medio, utile per sostenere il sistema di tassazione e quello dei consumi e quello della solidarietà, allora i Sindacati sono il giusto strumento per concentrare energie.

I lavoratori hanno dato ai Sindacati il potere di contrattazione per ottenere non soltanto diritti, ma anche una congrua immissione dei guadagni nel sistema sociale, offrendo così oltre ai miglioramenti salariali e delle condizioni di lavoro, anche per i non iscritti, effettivo sostegno ai sistemi indipendenti, non governativi, di solidarietà.

Indebolire l’appartenenza sindacale significa ridurre il potere contrattuale dei lavoratori del ceto medio, favorendo la loro scomparsa.

Le conseguenze saranno terribili, soprattutto per i poveri.

Allora, come possiamo rafforzare i Sindacati?

Innanzitutto non facendoci ingannare dal cosiddetto “diritto al lavoro” tanto sbandierato dalla politica.

Le pratiche di consumo generano necessità, ma ad esempio i lavoratori in proprio nel settore dei servizi sono costretti a salari bassi ed hanno scarse probabilità di ottenere gli stessi diritti assicurativi, previdenziali, salariali dei lavoratori dipendenti.

Sempre meglio avere un Sindacato in grado di contrattare per loro conto, se vogliono ottenere autentiche possibilità di crescita sociale, quale positivo auspicio per gli appartenenti al ceto medio che intendono elevare il loro status, trascinando con le loro legittime aspirazioni l’intero sistema sociale.

Altrimenti il risultato sarà quello di ottenere un livello di disuguaglianza per tutti, frustrati da desideri irrinunciabili quanto irraggiungibili e doveri sempre più onerosi e non pienamente giustificati.

Le merci, beni e servizi, ormai funzionano come una sorta di linguaggio universale che riflette sul senso della nostra contemporaneità, in cui gli errori sintattici sono rappresentati da rinunce e concessioni capaci di inquinare le spese comuni e le scelte di investimento, sia questo denaro o il tempo.

Queste storie del presente, rafforzate dalla memoria di come sono stati ottenuti i diritti fondamentali, sono di certo una bella sfida che il Sindacato ha la possibilità ed il dovere di raccontare (storytelling), per meglio affrontare il futuro e la necessaria difesa del ceto medio che gli insensati vorrebbero far scomparire.

 

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