Ormai la campagna elettorale sta entrando nel vivo e tutti sono schierati. E’ un buon momento, dunque, per tentare una prima valutazione degli approcci e delle strategie che si delineano.
Memore della mia professione originaria, ho ripreso in mano la matita rossa e blu e ho provato a scorrere i compiti fin qui svolti dai candidati. Solo i leader però, perché a rincorrere tutti gli altri c’è da perdersi e da far perdere la pazienza anche al più informato dei lettori.
Un breve giudizio, due voti: il primo, relativo alle strategie, alle alleanze, ai messaggi; il secondo, basato essenzialmente sulla qualità comunicativa del leader e sul suo modo di porsi di fronte all’elettorato. Quindi, una media, che fissa il livello raggiunto da ciascuno su una scala da 1 a 10.
Secondo me, naturalmente. Ma abbiamo avviato ormai la possibilità dei commenti. Quindi, potrete farmi sapere la vostra, in diretta. O quasi.
Berlusconi
Già i pasticci si vedono fin dall’inizio. Lui è il leader della coalizione e indica a premier Alfano. L’altro partner importante, Maroni, non eccepisce sul leader, ma fino a ieri candidava a premier Tremonti. Allora, Alfano o Tremonti? Perché a Palazzo Chigi c’è una sedia sola.
Capita anche di sentire che il nodo verrà sciolto dopo la vittoria, facendo finta di dimenticare tutto quello che specialmente Berlusconi ha detto sulla necessità di presentare agli elettori il nome del candidato premier fin dalla scheda. Per ora c’è lui. Poi si vedrà.
Con un simile inizio, non è stato difficile capire che Berlusconi avrebbe utilizzato tutte le armi offerte dal deprecato porcellum. Infatti, ha benedetto la miniscissione che ha dato vita ai “Fratelli d’Italia” di La Russa e Meloni, con la speranza che la loro lista risulti la più votata sotto il quorum di coalizione previsto per il Senato. Poi, dopo aver imbarcato la Lega Nord, ha imbarcato anche quel “Grande Sud” che sembra una versione meridionale e antitetica della Lega. Ora pare ci sia un po’ di maretta, ma il Cavaliere non si fa smontare da così poco.
Anzi. Ha riaperto il suo supermarket della politica e ha sciorinato tutti i pezzi più pregiati del suo repertorio. Via l’IMU, odiatissima tassa montiana che è stata stabilita dal suo governo. Ma non diteglielo; vi risponderà che la sua era un’imposta municipale e federalista, mai e poi mai applicata alla prima casa, vero amore degli Italiani. Via il bollo auto, imposta invisa anche ai Padani. Riduzione dell’Irpef, riduzione dell’Irap, alleggerimenti per le imprese, per le famiglie, per gli artigiani.
L’esposizione sullo scaffale è sfiziosa, l’eloquio è sempre sfavillante, ma Berlusconi fatica a sottrarsi a due domande perniciose: ancora tu. Ma non dovevamo vederci più? E ancora con la Lega? Siete sempre voi, quelli che in tanti anni di governo queste cose le hanno sempre promesse ma mai mantenute. E, qui, sotto il cerone, Berlusconi non riesce a nascondere le rughe. La vecchiaia avanza, sia per lui che per le sue posizioni.
Voti: 4 per la strategia, 6 e ½ per la comunicazione. Un 5+ complessivo. Ripassi a febbraio, Cavaliere.
Monti
Anche lui qualche pasticcetto l’ha combinato. Mi candido, non mi candido, mi candido, ci penserò… Alla fine, ne è uscita fuori una non candidatura, con patrocinio di una lista civica che porta il suo nome e che dovrebbe portare a palazzo il fior fiore del rinnovamento, dell’esperienza imprenditoriale e della pulizia morale. Peccato che, al suo fianco, viaggino due capitani di lungo corso come Fini e Casini, che la patente di novità proprio non possono esibirla.
Ma Monti non si scompone. Ha preso le redini della compagnia e sciorina in ogni angolo televisivo le sue ricette per rimettere a nuovo l’Italia. Non si preoccupa neanche delle pur evidenti contraddizioni tra il Monti premier e il Monti aspirante premier. Vuol rivedere l’IMU, vuol rivedere la legge Fornero sul lavoro, parla di riduzioni Irpef, di reddito di cittadinanza, di imprese, di lavoro.
Fin dall’inizio il piglio è stato barricadiero. Smesso l’abituale aplomb, ha cominciato a mordere gli altri candidati, specialmente Berlusconi, ribattendo battuta su battuta.
Ci dispiace Professore, non è il suo genere. Lasci perdere e torni agli adusati modi.
Voti: 6- per la strategia, 5 per la comunicazione. Un 5 e ½ complessivo, che fa ben sperare.
Bersani
Qui di pasticcetti se ne son visti veramente pochi. Tranne le piccole beghe per il listino, il resto si è svolto alla luce del sole. Persino la questione dei candidati “scomodi” è stata risolta in modo chiaro e Bersani può ben affermare che il PD fa le cose che dice. Bene.
Un tantino meno chiari alcuni punti programmatici. Siete tutti d’accordo sui diritti civili? Siete tutti d’accordo sul tipo e l’entità della patrimoniale? Siete tutti d’accordo sull’atteggiamento da tenere nei confronti di Monti?
Ogni tanto Vendola sbanda. Gli era già capitato a Milano, dopo la grande vittoria di Pisapia, gli è capitato qualche giorno fa con gli imprenditori. Li ha mandati all’inferno, mentre Bersani candidava banchieri e confindustriali.
Ma Bersani deve stare attento anche alla comunicazione, Non può lasciarsi riprendere in fase di relax, stanchissimo dopo ore di viaggi e di parole. Non può accontentarsi del riassuntino del cronista alle sue kermesse. Sempre interviste o dichiarazioni personali. Dirette. Non può neanche indulgere in quel vezzo che si porta dietro da tempo, di non concludere le frasi o di esagerare nelle allusioni. Non tutti capiscono il bersanese. Concetti semplici, piglio deciso, frasi chiare e ben scandite.
Voti: 7 per la strategia, 5 e ½ per la comunicazione. Un’ampia sufficienza, lusinghiera.
Ingroia
E’ appena arrivato e perciò è più difficile darne un quadro veritiero. Quel che risalta subito è la sua provenienza. Di qualunque cosa si parli, lui deve tradurla secondo il suo modo d’essere magistrato. A volte va bene, a volte no. Ci sono temi in cui l’aspetto prevalente è quello della pulizia, della trasparenza, della legalità, come l’evasione fiscale, la corruzione, la malpolitica, i dissesti del ventennio. Ci sono temi, invece, dove conta la competenza. Qui, Ingroia si rifugia troppo in fretta nei clichés della sinistra radicale. D’altronde, se ne porta dietro una buona fetta e non so se questo poi gli giovi.
Anche lui, comunque, come e più di Bersani, deve stare attento alla qualità della sua comunicazione. Non può cedere il passo ai tanti squali che cercano di sopraffarlo nel contradditorio. Eviti di perdersi in borbottii che a casa nessuno riesce a decifrare. Non sorrida troppo. Resti lucido, concentrato, secco e grintoso.
Voti: 6- per la strategia, 4 e ½ per la comunicazione. Ma è agli inizi. Può soltanto migliorare.
Grillo
Qui vale tutto e il contrario di tutto. Beppe Grillo è uno showman e quando sale su un palco, in piazza, riuscirebbe a smuovere anche le panchine. Monologhi lunghi quanto quelli del Cavaliere, ma ben più sapidi e ficcanti. Un genio nel capire l’umore di chi lo sta ad ascoltare e nel trovare i giusti accenti per strappare un applauso, una risata, un’inquadratura in più da fotografi e televisioni.
Non altrettanto la strategia, che si riduce esclusivamente all’obiettivo di entrare in Parlamento “per aprirlo come una scatola di sardine”. Niente apparentamenti, niente alleanze, niente colloqui privati o pubblici. Grillo manda i suoi all’assalto come i bolscevichi fecero col palazzo d’inverno. Niente patti. Con nessuno.
Non ci dovesse ripensare, i rischi che corrono i 5stelle sono gravi. I palazzi romani hanno ingoiato tanta di quella gente partita così, che se n’è perso il conto. Guardate la Lega Nord, sbarcata coi forconi a Roma e costretta alla ritirata - strategica per carità, strategica – nel ridotto del Lombardo-Veneto.
Voti: 4 per la strategia, 8 per la comunicazione. Ma qui è impossibile fare una media, perché il 4 potrebbe rendere vano l’8, checché faccia Grillo sul web e in palcoscenico.