Dieci buone ragioni ( più una ) per votare NO al referendum costituzionale.
Da semplice cittadino che cerca di
raccogliere notizie e informazioni dagli
specialisti ( in primis giudizi costituzionalisti e professori di diritto costituzionale , ma non solo) ho
maturato la mia personale convinzione per cui voterò No alla proposta di Riforma costituzionale Boschi domenica 4
dicembre, e vado sinteticamente ad formularla
in dieci punti o ragioni, più una , quella forse decisiva, che si trova
nella «candida» dichiarazione introduttiva della firmataria, il ministro
Boschi.
Premessa
della Riforma costituzionale Boschi:
«Lo spostamento del baricentro decisionale
connesso alla forte accelerazione del processo d’integrazione europea e in
particolare l’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alla recente
evoluzione della governance economica europea da cui sono discesi tra
l’altro l’introduzione del semestre europeo e la riforma del
patto di stabilità e crescita, e alle relative stringenti regole di
bilancio, quali le nuove regole del debito e della spesa, le sfide derivanti
dall’internalizzazione delle economie e dal mutato contesto della competizione
globale e l’esigenza di coniugare quest’ultima con le rinnovate esigenze di
governo unitario della finanza pubblica connesse anche ad impegni
internazionali, il complesso di questi fattori ha dato luogo a interventi di revisione costituzionale».
Sulla motivazione contenuta in questo
preambolo alla riforma ritornerò in conclusione
del ragionamento che vado sinteticamente ad articolare negli altri dieci
punti:
1) Voterò no innanzitutto per una
questione di metodo: la Costituzione è un testo troppo importante per cambiarlo
senza il contributo della minoranza parlamentare, unicamente a colpi di
maggioranza . L’allontanamento dei dissenzienti nelle commissioni parlamentari
non è stato un segnale in questa direzione.
2)Voterò no perché la riforma non pone fine
al bicameralismo paritario. Al contrario inizia un bicameralismo pasticciato, ibrido
che non significa velocità nel produrre leggi. Sarebbe stato meglio eliminare
del tutto il Senato. Come sostenevano del resto personaggi della sinistra come
Pietro Ingrao, che voleva mantenere però la centralità del Parlamento.
3)Voterò
no perché la riforma propone il rafforzamento del Governo a scapito dei
poteri del Parlamento e degli istituti di controllo e garanzia. La Repubblica
si regge sul delicato equilibrio dei poteri. Se ne viene privilegiato uno a
danno degli altri, si crea uno scompenso che può indebolire la democrazia. In
presenza poi dell’attuale legge elettorale Italicum votata con la fiducia (gli unici precedenti sono la legge Acerbo durante il
fascismo e la legge truffa degli anni 50), la maggioranza ottiene uno
strapotere che si manifesta anche nell’elezione del presidente della Repubblica
e dei rappresentanti della Corte Costituzionale e del Consiglio superiore della
magistratura.
4) Voterò no perché non è
una questione di governabilità. Questa dipende dalla capacità e
coesione delle forze politiche, non dai regolamenti o dall’iter legislativo. Né
tantomeno dal “ping pong” tra le due
Camere. Il passaggio dei decreti leggi
tra Camera e Senato avviene infatti solo nel 20-25% dei casi. Se mai il
problema è che il governo non riesce ad
attuare le leggi che emana (l’80% di quelle votate dalle Camere sono di matrice
governativa). Prendiamo la Buona scuola: è stata approvata oltre un anno
fa, ma ancora mancano dieci (10) leggi delega affidate per l’appunto al
governo.
5) Voterò no perché il nuovo Senato non rappresenterebbe le
autonomie locali.
Non si costituirà un nuovo senato tipo il Bundesratt
tedesco( come si è sbandierato) ma si
creerà un ibrido a cui partecipano senatori (consiglieri regionali e sindaci)
eletti in modo diverso e in tempi diversi
Tutti tra l’altro con l’immunità parlamentare. I senatori sarebbero
eletti (ancora non si sa come) dai consigli regionali. La frase che il comitato
del Sì sbandiera per dire che l’elezione, dopo l’approvazione della riforma,
sarà diretta è questa: “in conformità alle scelte espresse dagli elettori”.
Questa frase, presa così, non significa nulla. Se avessero voluto
l’elezione diretta avrebbero potuto scrivere a chiare lettere, per esempio:
“Durante le elezioni regionali i cittadini hanno anche la possibilità di
scegliere i senatori”. Perché non l’hanno fatto e hanno solo inserito questa
frase criptica?
6)Voterò no perché i poteri delle autonomie locali sono ridotti senza risolvere i
problemi. La riforma costituzionale del Titolo V del 2001,
votata anch’essa a colpi di maggioranza ( del governo Amato dimissionario ma
poi fatta propria e rafforzata dal
successivo governo Berlusconi) è stata effettivamente un obbrobrio, creando numerosi contenziosi tra Stato e Regioni in
materia di legislazione concorrente, oltre che sprechi a non finire e il
proliferare della corruzione. Ma non si risolve tutto riportando il potere al
centro: gli enti e le comunità locali non avrebbero più voce in capitolo su
questioni importanti per il destino delle stesse comunità.
7)Voterò no perché i
contenziosi Stato-Regioni continueranno. Seppure le
disposizioni generali e comuni in materia di istruzione, salute, beni
culturali, turismo ecc. tornerebbero in capo allo Stato, alle Regioni
rimarrebbero competenze rilevanti. Paradigmatica in tal senso è la sanità . La
programmazione e l’organizzazione dei servizi sanitari spetteranno ancora alle
Regioni. Oppure prendiamo i beni culturali. La promozione sarà a carico ancora
delle Regioni mentre la tutela e la valorizzazione a carico dello Stato. Vi
immaginate quanti contenziosi dovranno
nuovamente essere considerati dalla
Corte Costituzionale?
8) Voterò no perché non è stato risolto il problema dell’equità
sociale. Lo si vede a proposito della sanità. È un punto messo
bene in evidenza dall’avvocata Anna Falcone, vicepresidente del Comitato del
No. Nella revisione non si tocca mai il tema dell’equità, a proposito di
federalismo fiscale per cui le Regioni che si trovano con meno risorse,
continueranno ad esserlo anche in futuro. E allora: va bene far pagare la
stessa siringa in modo uguale da Milano a Palermo, ma se mi lasci le cose come
sono e il cosiddetto fondo perequativo (per aiutare gli enti locali più deboli)
non me lo tocchi, allora rimarrà ancora una disuguaglianza in Italia dal punto
di vista della salute.
9) Voterò no perché la riforma è scritta male ed è confusa. E
non semplifica. Esemplare in tal senso l’articolo 70, quello
dell’iter di formazione delle leggi. L’articolo è costituito da 432 parole, due
pagine, sette commi. Dentro ci sono descritti almeno dieci tipi di procedure
legislative. Non è solo un testo oscuro – che per i giuristi costituisce un vulnus
perché impedisce l’osservanza della legge – ma è proprio l’opposto della
semplificazione, altro concetto sbandierato durante la campagna referendaria.
10) Voterò no perché non avvicina
i cittadini alla partecipazione politica. È vero che il
quorum dei referendum si abbassa (sulla base della maggioranza dei votanti alle
ultime elezioni) ma si può indire solo se si raccolgono 800mila firme. Quindi
solo soggetti forti e strutturati se lo possono permettere, altro
che potenziamento della democrazia diretta! Stesso discorso per le leggi
di iniziativa popolare: occorrono 150mila firme (invece delle attuali 50mila)
anche se si prevede il “contentino” della discussione in aula, resa possibile,
però, solo dai regolamenti parlamentari, tutti da fare… Ancora: nel nuovo
articolo 71 sono previsti referendum propositivi e di indirizzo, una bella
cosa, perché sarebbero davvero un tentativo di democrazia diretta. Peccato che
per essere attuati occorre una legge di entrambe le Camere.
11) Infine voterò no perché il «cappello
introduttivo» della Riforma costituzionale Boschi si avvicina nello
spirito e nella lettera «singolarmente»
al documento stilato dalla JP Morgan, una delle più grandi banche
mondiali di affari, nel 2013:
«I sistemi politici e costituzionali del
sud Europa presentano tipicamente le seguenti caratteristiche:1) esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti;
2) governi centrali deboli nei confronti delle regioni ; 3) tutele
costituzionali dei diritti dei lavoratori ; 4) tecniche di costruzione del
consenso fondate sul clientelismo; 5) la licenza di protestare se vengono
sgradite proposte di modificazione dello
status quo». L’invito della banca d’affari rivolta a quegli Stati è di
conseguenza quello di rimuovere «quegli inutili orpelli » costituiti dalle
carte costituzionali di spirito«eccessivamente socialista e antifascista».
La premessa Boschi e il documento della JP
Morgan sono solo due indizi, e come diceva Ercole Poirot «due indizi sono solo
due coincidenze e non costituiscono una prova » ma non vorrei dover aspettare
l’indomani della vittoria del si per dover avere la prova provata del terzo
indizio : il Cui prodest ?