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Elezioni e referendum
Il cd. Rosatellum-bis. Struttura e profili critici della legge n. 165 del 2017
Claudio Tancredi Palma


(tratto da www.treccani.it). 
Nel presente contributo sono analizzate le caratteristiche e la struttura dei sistemi per l’elezione delle assemblee legislative nazionali, recentemente novellati, sia dal punto di vista della loro aderenza alle pronunce della Corte costituzionale in materia elettorale che hanno segnato il percorso delle riforme nel corso della XVII legislatura, sia dal punto di vista degli obiettivi sistemici sottesi all’introduzione delle nuove norme legislative.

 

1.           La genesi del cd. Rosatellum-bis
2.           Cosa dovrebbe intendersi per “metodo delle riforme elettorali”
3.           Struttura e principali caratteristiche del nuovo sistema elettorale
4.           Le principali criticità del cd. Rosatellum-bis
4.1         Il voto unico o “fuso”
4.2         Il nodo costituzionale delle soglie di sbarramento al Senato
4.3         Il voto libero e diretto fra pluricandidature e fenomeno dello “slittamento” dei seggi
4.4         Il disegno dei collegi uninominali
4.5         L’indeterminatezza degli obiettivi sistemici (a proposito di metodo della riforma elettorale)

 

1.  La genesi del cd. Rosatellum-bis

La XVII legislatura è stata teatro di un’intensa attività sul piano delle riforme istituzionali. Da un lato, la riforma della II parte della Costituzione (comprendente la non diretta eleggibilità del Senato) respinta dal corpo elettorale nel referendum del 4 dicembre 2016; dall’altro, i plurimi tentativi del Parlamento di dotare il Paese di una nuova legge elettorale. Il primo di questi tentativi ha trovato sbocco nella legge n. 52 del 2015, il cd. Italicum, introdotto da una parte in previsione dell’approvazione della riforma costituzionale (il nuovo sistema di elezione riguardava infatti la sola Camera dei deputati), dall’altra alla luce della sentenza n. 1 del 2014 con la quale la Corte costituzionale aveva dichiarato la parziale illegittimità della legge n. 270 del 2005 (il cd. Porcellum).

Anche l’Italicum, tuttavia, prima ancora di trovare applicazione veniva dichiarato costituzionalmente illegittimo, proprio nelle sue parti fondamentali, con la sentenza n. 35 del 2015. Per effetto delle due pronunce, alle successive elezioni politiche previste entro il primo semestre del 2018 si sarebbe andati al voto con due sistemi elettorali diversi per la Camera e per il Senato, frutto della cd. “normativa di risulta”, ovverosia con le parti rimaste in vita, e immediatamente applicabili, delle leggi nn. 270/2005 e 52/2015 oggetto delle censure di costituzionalità. Com’è noto, la legge elettorale costituisce un elemento indefettibile dell’ordinamento; questo significa, in concreto, che né un referendum abrogativo né una pronuncia di illegittimità costituzionale possono travolgerne interamente l’impianto e determinare per questa via un vuoto normativo. Va però sottolineato che, a dispetto della immediata applicabilità delle due normative di risulta, si sarebbe reso comunque necessario un intervento di rango primario volto a uniformare alcuni aspetti delle discipline sopravvissute. Ed è anche per tali ragioni che il Presidente della Repubblica ha esercitato a più riprese la sua moral suasion affinché il Parlamento si assumesse la responsabilità di approvare una legge elettorale omogenea per i due rami del Parlamento e, soprattutto, non figlia del “ritaglio” operato dalle sentenze della Consulta.

Un tentativo concreto in tal senso era stato fatto tra la primavera e l’estate del 2017, dopo che la Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati aveva adottato come testo base la proposta a firma del capogruppo del Partito democratico Ettore Rosato (da cui Rosatellum). Il testo unificato veniva poi radicalmente modificato in seguito all’approvazione di due emendamenti a firma del relatore della proposta di legge, Emanuele Fiano, attorno ai quali si era concretizzato un accordo fra i tre principali attori del sistema parlamentare (Pd, M5S e Fi). Gli emendamenti frutto dell’intesa miravano a introdurre un sistema elettorale che, sia pure ribattezzato nel gergo giornalistico Germanellum, era solo vagamente ispirato al modello tedesco. Giunta all’esame dell’Aula, tuttavia, la proposta veniva quasi immediatamente rinviata in Commissione, e lì politicamente affossata, a causa dell’approvazione a scrutinio segreto di due emendamenti volti a superare la disciplina speciale per il Trentino-Alto Adige.

Con la ripresa dei lavori parlamentari, nel settembre del 2017, ha preso vita un nuovo accordo sulla riforma elettorale, sancito stavolta da tutti i principali attori del sistema a eccezione del Movimento 5 Stelle. Dopo una larga convergenza in sede referente, il testo è approdato all’esame dell’Aula e su tre dei suoi articoli il Governo ha posto la questione di fiducia. Anche al Senato la discussione sulla legge elettorale è stata troncata da plurimi voti di fiducia. La proposta di legge è stata approvata in via definitiva il 26 ottobre 2017, con una maggioranza pari al 67% dei senatori.

 

2.  Cosa dovrebbe intendersi per “metodo delle riforme elettorali”

Prima di analizzare gli elementi distintivi del Rosatellum-bis, appare utile richiamare alcuni aspetti teorici e metodologici che delimitano il perimetro di una riforma elettorale: cos’è, effettivamente, un sistema elettorale, e quale dovrebbe essere, quindi, il metodo più corretto per riformarlo. A tale riguardo, giova ricordare che il sistema elettorale può essere inteso sia in senso stretto sia in senso ampio. Con sistema elettorale “in senso stretto” [Lanchester, 1990], ci si riferisce comunemente al metodo di trasformazione dei voti in seggi, con particolare riguardo alla formula elettorale. È su quest’ultima che tende a catalizzarsi l’attenzione generale, considerati i riflessi immediati che la formula elettorale ha sulla conformazione del sistema partitico. Al contrario, minore attenzione viene prestata al sistema elettorale “in senso ampio”, che è costituito dal complesso delle norme che disciplinano la cosiddetta “fase preparatoria” delle elezioni [Ciaurro, 1989]: segnatamente, le norme che presiedono all’organizzazione amministrativa delle elezioni e quelle che disciplinano la propaganda e le spese in campagna elettorale, a loro volte identificate da una parte della dottrina con l’espressione “legislazione elettorale di contorno”. In un percorso riformatore coerente, i diversi “pezzi” della legislazione elettorale dovrebbero essere fra loro coordinati per evitare che la modifica di uno di questi produca effetti contraddittori sul piano sistemico.

Si prenda a esempio una riforma elettorale congegnata per ridurre la frammentazione partitica. Obiettivo di per sé legittimo, sia pure soggetto in alcuni ordinamenti a vincoli di natura costituzionale, che tradizionalmente viene perseguito dal legislatore utilizzando la leva delle soglie di sbarramento (implicite o esplicite). Sarebbe tuttavia ingenuo pensare che l’introduzione di soglie di accesso alla rappresentanza sia una condizione sufficiente per il raggiungimento dell’obiettivo prefissato. E ciò in quanto il processo elettorale, già nella fase preparatoria, è costellato di varie forme di soglie di sbarramento che necessitano di essere coordinate, o perlomeno analizzate nel loro agire simultaneo prima di procedere a una riforma: dalle soglie di accesso al finanziamento pubblico, ove questo esiste, a quelle connesse al numero di sottoscrizioni richieste per la presentazione di una lista, fino alle soglie, una volta concluso il procedimento elettorale, stabilite dai regolamenti parlamentari per la costituzione dei gruppi (v. par. 4.5).

In sostanza, il metodo di trasformazione dei voti in seggi costituisce la parte culminante di un procedimento pubblico più ampio, che si riassume nel concetto di processo elettorale, i cui diversi settori possono essere separati per esigenze analitiche ma sono fra di loro intimamente connessi [Rawlings, 1988]. Se, dunque, i diversi pezzi della legislazione elettorale devono considerarsi alla stregua di “vasi comunicanti” [Janda, 2005], ne consegue che ogni ipotesi di modifica del metodo di trasformazione dei voti in seggi richiede di essere accompagnato da una rigorosa valutazione della coerenza delle norme proposte per la vigenza con le altre norme del sistema ampiamente inteso, al fine di scongiurare la produzione di effetti contrari a quelli auspicati oppure contraddittori rispetto all’impianto complessivo. Ogni volta, dunque, che nel dibattito pubblico riprende centralità il tema del “metodo delle riforme istituzionali”, l’attenzione dovrebbe essere rivolta precisamente a questi aspetti, che hanno a che fare con l’organicità, la sistematicità, in ultima analisi con la visione di lungo periodo di una riforma elettorale.  

 

3.  Struttura e principali caratteristiche del nuovo sistema elettorale

A sua volta il sistema elettorale in senso stretto, osservato nella sua dimensione statica, si compone di tre elementi fondamentali: a) la scheda elettorale e il tipo di scelta dell’elettore (che può essere ordinale o categorica); b) il tipo e la dimensione dei collegi; c) la formula di trasformazione dei voti in seggi [Lanchester, 2004].

Rispetto al punto a), il sistema novellato prevede che l’elettore disponga di un unico voto, di tipo categorico, su un’unica scheda recante il nome del candidato del collegio uninominale e il contrassegno delle liste collegate al candidato corredate dei nomi dei candidati nel collegio plurinominale. L’elettore ha facoltà di votare per il candidato uninominale e per una delle liste che lo sostengono, oppure per il solo candidato uninominale o per una sola lista. I voti espressi esclusivamente in favore dei candidati uninominali sono ripartiti fra le liste collegate in proporzione ai voti ottenuti dalle liste stesse nel collegio plurinominale; viceversa, i voti espressi esclusivamente in favore delle liste sono da intendersi attribuiti anche al candidato collegato nel collegio uninominale. C’è, in sostanza, una traslazione, una trasmissione automatica del voto di collegio sul voto di lista, e viceversa. L’elettore, inoltre, non può effettuare il cosiddetto “voto disgiunto”, ovverosia votare per un candidato e contemporaneamente per una lista collegata a un candidato diverso. Il voto di lista è chiuso, non è quindi possibile esprimere preferenze. Ciascuna lista è composta da un numero di candidati non inferiore a due e non superiore a quattro, con obbligo di alternanza di genere. Sempre con riferimento alla parità di genere, la legge prevede che nel complesso delle candidature presentate nei collegi uninominali e plurinominali un genere non possa essere rappresentato oltre il 60%.

Rispetto al punto b), la nuova disciplina prevede tre suddivisioni territoriali. Anzitutto la suddivisione del territorio nazionale in 28 circoscrizioni che coincidono con il territorio regionale, fatta eccezione per le regioni Lombardia (4 circoscrizioni), Piemonte, Veneto, Sicilia, Lazio e Campania (2 circoscrizioni). Il territorio nazionale è diviso altresì in 232 collegi uninominali distribuiti proporzionalmente in base alla popolazione, fatta eccezione per quelli individuati ex lege: il collegio unico della Valle d’Aosta, i sei collegi del Trentino-Alto Adige, i due del Molise. Infine, ognuna delle 28 circoscrizioni è ripartita in collegi plurinominali “costituiti, di norma, dall’aggregazione del territorio di collegi uninominali contigui e tali che a ciascuno di essi sia assegnato, di norma un numero di seggi non inferiore a tre e non superiore a otto”.

Rispetto al punto c), il Rosatellum-bis opta per un sistema elettorale misto, dal momento che il 36 per cento dei seggi è attribuito con formula maggioritaria di tipo plurality (chi ottiene un voto in più è eletto) nei 232 collegi uninominali, il restante 66 per cento è attribuito con metodo proporzionale nell’ambito dei collegi plurinominali fra le liste che abbiano superato lo sbarramento del 3% a livello nazionale, fra le coalizioni che abbiano superato lo sbarramento del 10% a livello nazionale (ferma restando la soglia del 3% per le liste della coalizione), fra le liste delle minoranze linguistiche che abbiano superato nella circoscrizione di riferimento la soglia del 20% regionale oppure abbiano vinto in due collegi uninominali. La formula proporzionale adottata è quella, più inclusiva, del quoziente naturale e dei più alti resti. Per quanto riguarda le coalizioni, queste devono essere uniformi sul piano nazionale. Il requisito dell’omogeneità, tuttavia, opera soltanto quale limite negativo – i.e. una lista non può presentarsi nel collegio plurinominale x con una coalizione e nel collegio plurinominale y con un’altra coalizione – ma non si traduce in un obbligo di presentazione congiunta in tutti i collegi plurinominali. La legge, infatti, si limita a prescrivere a ciascuna lista, a pena di inammissibilità, l’obbligo di presentarsi in almeno due terzi dei collegi plurinominali della circoscrizione in cui intenda concorrere. L’intero impianto del Rosatellum-bis, del resto, appare orientato alla valorizzazione delle singole liste piuttosto che delle coalizioni: ne è prova il fatto che alle coalizioni è prescritto, logicamente, l’obbligo di presentare lo stesso candidato nei collegi uninominali, ma inopinatamente non anche quello di depositare un programma comune ovvero di indicare il nome del capo della coalizione, prescrizioni che invece valgono per le liste singolarmente intese e che non vengono meno in caso di loro apparentamento. Ai fini della verifica del superamento della soglia di sbarramento coalizionale del 10%, non concorrono i voti delle liste che ottengano meno dell’1%; i voti delle liste fra l’1% e il 3%, invece, concorrono al totale della coalizione ma non sono utili alle liste medesime, che restano in ogni caso escluse dal riparto dei seggi.

Le norme per l’elezione del Senato sono pressoché identiche. In base alle proporzioni, i collegi uninominali sono 109, oltre i 6 attribuiti ex lege al Trentino Alto Adige e al collegio unico della Valle d’Aosta. Costituisce collegio unico anche la regione Molise, mentre i restanti collegi uninominali sono ripartiti nelle regioni proporzionalmente alla popolazione; 194 seggi sono attribuiti alle liste con metodo proporzionale identico a quello utilizzato per la Camera dei deputati; 6 seggi infine sono attribuiti nell’ambito della circoscrizione Estero. Le soglie di sbarramento per l’accesso alla rappresentanza sono identiche a quelle previste della Camera dei deputati, e sono calcolate anch’esse a livello nazionale (v. infra).

 

4.  Le principali criticità del cd. Rosatellum-bis

 

4.1 Il voto unico o “fuso”

A un primo (superficiale) sguardo, il Rosatellum-bis s’inserisce a pieno titolo in una radicata tradizione elettorale italiana ed europea. Esso, infatti, pare riconducibile alla famiglia dei sistemi misti maggioritario-proporzionale [Chiaramonte, 2005], ponendosi a metà strada fra il sotto-insieme dei sistemi paralleli (o “sistemi della fossa” o grabensystem, nei quali le due formule elettorali corrono parallele, sono come “compartimenti stagni”) e il modello teorizzato nel 1902 dall’austriaco Siegfried Geyerhanh [Trucco, 2013], che al contrario prevede un collegamento fra la parte maggioritaria e quella proporzionale. Nel caso del Rosatellum-bis la parte maggioritaria e quella proporzionale sono rigidamente divise per quanto riguarda la fase di attribuzione dei seggi, ma risultano collegate dal punto di vista della modalità di espressione del voto. L’elettore, infatti, votando per il candidato preferito nel collegio uninominale automaticamente attribuisce il suo voto anche alla lista o alle liste che sostengono il medesimo candidato, e viceversa. Si può essere portati ad affermare che il voto unico o “fuso”, in un sistema basato su due distinte procedure di ripartizione di seggi, comprima oltremodo la libertà di voto.

A ben vedere, un tale ridimensionamento della libertà di scelta determinato dal voto unico ricorre storicamente nella legislazione elettorale italiana ed europea. Il sistema di elezione del Senato italiano introdotto dalla legge n. 29 del 1948 prevedeva che le somme dei voti attribuiti ai candidati presentatisi con lo stesso simbolo nei collegi uninominali (dichiarati eletti qualora avessero ottenuto un numero di suffragi pari al 65% dei votanti) costituissero altresì il totale dei voti delle liste collegate ai candidati medesimi, concorrenti a livello circoscrizionale. Anche in Germania, fra il 1949 e il 1953, prima che fosse introdotta la doppia scheda, l’elettore aveva a disposizione una sola scheda e un voto unico per la selezione degli eletti tanto nei collegi uninominali, tanto nelle liste concorrenti nelle circoscrizioni regionali. Varianti del voto unico in sistemi misti sono state adottate in alcuni ordinamenti dell’Est europeo nei primi anni novanta, ma sono conosciute anche nella storia italiana recente. Va ricordato che la legge n. 276 del 1993 (il cd. Mattarellum) prevedeva per l’elezione del Senato della Repubblica una sola scheda e un solo voto. Anche in quel sistema la cifra elettorale di lista era data dalla somma dei voti ottenuti dai candidati presentatisi con il medesimo contrassegno nei collegi uninominali di una regione. Deve essere allo stesso tempo sottolineato che il Mattarellum per il Senato prevedeva non soltanto un rapporto radicalmente diverso, rispetto al Rosatellum-bis, tra la parte maggioritaria (75% dei seggi) e quella proporzionale (25%), ma soprattutto si basava su un collegamento tra le due parti del sistema al momento della distribuzione dei seggi; si ricorderà, infatti, che dal totale dei voti di una lista erano interamente “scorporati” i voti dei candidati collegati a quella lista proclamati eletti nei collegi uninominali.

Se, da un lato, nella storia elettorale italiana – dall’elezione del Senato della Repubblica a quella dei Consigli provinciali di cui alla legge n. 962 del 1960 – è possibile rinvenire una serie di derivazioni del metodo Geyerhahn basate sul voto unico o “fuso”, dall’altro non si possono tacere le forti criticità che una tale modalità di espressione del voto presenta nell’impianto particolare del Rosatellum-bis. Qui, a differenza delle leggi elettorali cui si è fatto cenno, non esiste alcun collegamento fra la parte maggioritaria e la parte proporzionale in sede di distribuzione dei seggi: è già questo un elemento distintivo del sistema novellato che riduce fortemente il senso del voto unico. Il metodo teorizzato dallo studioso austriaco, infatti, mirava a realizzare il mito della cd. “proporzionale personalizzata”, cioè un sistema in grado di coniugare il pregio della distribuzione proporzionale dei seggi con quello della conoscibilità del candidato tipico dei sistemi maggioritari di collegio. Non è però questo il fine, né la meccanica del Rosatellum-bis, che si basa su due distribuzioni di seggi autonome e distinte (maggioritario nel collegio uninominale e proporzionale in liste bloccate corte), tenute insieme dal voto unico.

Occorre domandarsi, inoltre, se la compressione della libertà di voto operata dal voto unico sia “funzionalizzata” al raggiungimento di altri obiettivi che possono ritenersi desiderabili in un ordinamento democratico. La questione si pone regolarmente quando a essere compresso è il principio dell’eguaglianza del voto “in uscita”, inteso in termini di valore efficiente [Furlani, 1996]. In linea di principio, sia pure nei limiti stabiliti da una Costituzione, l’indebolimento del principio di eguaglianza del voto in uscita è tollerato se necessario per il perseguimento di obiettivi o interessi costituzionalmente rilevanti, quali ad esempio la formazione di una maggioranza parlamentare coesa. Nel Rosatellum-bis, tuttavia, non appare agevole rintracciare una finalità sistemica di portata tale da giustificare la limitazione della libertà dell’elettore insita nella forzatura del voto unico. Il cui effetto, inevitabilmente, è una maggiore concentrazione del voto, nonché un maggiore controllo dello stesso da parte dei soggetti politicamente rilevanti, ma si tratta di una finalità tutta interna al sistema dei partiti, perché la concentrazione del voto verso cui tende l’impianto della legge novellata appare comunque inidonea al raggiungimento di obiettivi sistemici in astratto desiderabili, quali la formazione di una maggioranza parlamentare. E allora, se non a quest’ultimo, a quale altro interesse costituzionalmente rilevante sarebbe “funzionalizzata” la limitazione della libertà di scelta dell’elettore? Ove non si riuscisse a dare risposta a tale interrogativo, ci si potrebbe legittimamente domandare se il voto unico nell’impianto del Rosatellum-bis risponda davvero a un criterio di ragionevolezza e se, data la sua inidoneità al perseguimento di altri obiettivi sistemici, possa resistere a un eventuale test di proporzionalità effettuato dalla Corte costituzionale.

 

4.2 Il nodo costituzionale delle soglie di sbarramento al Senato

La scelta del legislatore di estendere al Senato le soglie di sbarramento nazionali è di particolare rilievo. Giova ricordare, infatti, che durante la discussione che avrebbe portato all’approvazione della legge n. 270 del 2005, l’opzione di un premio di maggioranza e di soglie di sbarramento nazionali per l’elezione del Senato fu esclusa dal legislatore in quanto ritenuta non conforme al dettato dell’articolo 57 della Costituzione, il cui primo comma stabilisce che il Senato è eletto “su base regionale”. Si optò, quindi, per l’introduzione di premi e soglie di sbarramento regionali, una soluzione che la Corte costituzionale, sia pure con riferimento ai soli premi di maggioranza, avrebbe considerato del tutto irrazionale e, per questa via, illegittima nella nota sentenza n. 1 del 2014. Da una parte, dunque, il legislatore odierno opta per l’applicazione di soglie di sbarramento nazionali, superando i timori avanzati nel 2005; dall’altro, proprio in ossequio al citato art. 57 Cost., stabilisce che il totale dei seggi spettante a ciascuna lista/coalizione, una volta appurato dall’Ufficio centrale il superamento della soglia nazionale, debba essere calcolato a livello della circoscrizione regionale, con conseguente restituzione dei seggi ai collegi plurinominali che compongono le circoscrizioni stesse. Appare contraddittorio, tuttavia, affermare che la distribuzione dei seggi, per essere conforme al dettato costituzionale, debba necessariamente avvenire a livello di circoscrizione regionale, e contemporaneamente applicare una soglia di sbarramento, che su quella distribuzione incide in via prioritaria, travalicando i confini regionali.

 

4.3 Il voto libero e diretto fra pluricandidature e fenomeno dello “slittamento” dei seggi

Il Rosatellum-bis, in continuità con la legislazione elettorale precedente, consente ai candidati di presentarsi con una determinata lista in più collegi plurinominali (cinque), mentre la candidatura in più collegi uninominali non è ovviamente consentita, a pena di nullità. Si può essere candidati contemporaneamente in un collegio uninominale e nel collegio plurinominale in cui esso è inserito. In caso di elezione nel collegio uninominale e in uno o più collegi plurinominali, il candidato è proclamato eletto nell’uninominale; in caso di elezione in più collegi plurinominali, è proclamato eletto “nel collegio nel quale la lista cui appartiene ha ottenuto la minore cifra elettorale percentuale di collegio plurinominale”. Il legislatore, nel solco tracciato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 35 del 2017 relativa al cd. Italicum, si è fatto così carico di introdurre un criterio oggettivo idoneo a determinare la scelta del deputato/senatore eletto in più collegi, ponendo fine a quella possibilità arbitraria di scelta del collegio da parte del plurieletto che si traduceva in una menomazione del principio del voto libero e personale garantito dall’articolo 48 della Costituzione.

Pur essendo stato introdotto un criterio oggettivo per la scelta del collegio in caso di plurielezione, la nuova disciplina non manca di punti deboli sotto il profilo della libertà e della personalità del diritto di voto. Sono stati già evidenziati quelli derivanti dal voto unico nell’impianto peculiare del nuovo sistema elettorale, ma ulteriori riflessi sulla libertà di voto e sul principio dell’elezione diretta derivano dalla ripartizione dei seggi effettuata a più livelli: alla Camera dei deputati il totale dei seggi spettante a ciascuna lista è stabilito a livello nazionale, poi dal livello nazionale i seggi sono distribuiti fra le circoscrizioni, infine dalle circoscrizioni i seggi sono restituiti ai collegi plurinominali. Per ragioni matematiche, la restituzione di seggi da un livello a un altro espone il sistema al rischio dello “slittamento”, quel fenomeno per cui a una determinata circoscrizione può risultare assegnato un numero di seggi superiore o inferiore a quello ad essa spettante sulla base della popolazione. Più livelli di distribuzione di seggi esistono, più il sistema è esposto al rischio di slittamenti, con conseguenze non trascurabili sul piano della eguale rappresentanza dei territori (principio tutelato a fasi alterne e con accenti diversi dalla giurisprudenza costituzionale recente) nonché dell’eguaglianza del voto. Per i tecnici del diritto elettorale si tratta di un dilemma antico, quello che Giovanni Schepis, uno dei massimi studiosi della materia elettorale, definì il dilemma della “quadratura del circolo”, ovverosia l’impossibilità di assicurare per tutti i livelli di attribuzione “la perfetta concordanza tra seggi assegnati e seggi spettanti alle circoscrizioni stesse”, nonché l’impossibilità “di ottenere che i partiti in ogni singola circoscrizione abbiano una rappresentanza proporzionale ai voti ottenuti in quella circoscrizione” [Schepis, 1955].

Invero, grazie anche a sperimentazioni effettuate a livello regionale [Floridia, 2005], il legislatore ha trovato (già da tempo) alcune soluzioni per limitare il fenomeno degli slittamenti, posto che il problema potrebbe essere superato, alla radice, prevedendo che il riparto dei seggi avvenga direttamente a livello circoscrizionale oppure facendo ricorso a metodi di distribuzione proporzionale basati sul divisore anziché sui quozienti e relativi resti. Si tratta di opzioni tecniche, ma al tempo stesso ad alta valenza politica, che il legislatore è culturalmente restio ad adottare. La legge n. 270 del 2005, a dispetto dei suoi elementi più controversi (poi dichiarati costituzionalmente illegittimi), se non altro era riuscita nell’obiettivo di coniugare un sistema basato sulla restituzione dei seggi con un ridottissimo impatto degli slittamenti, che infatti sono stati soltanto cinque nelle tre consultazioni elettorali svolte sotto la sua vigenza [Tarli Barbieri, 2014]. La soluzione tecnica introdotta dal cd. Porcellum è stata mutuata dal legislatore prima nel cd. Italicum, poi anche nel cd. Rosatellum-bis. Ma tra questi sistemi esiste una differenza significativa: se nell’impianto della legge n. 270/2005 la restituzione avveniva esclusivamente dal livello nazionale a quello circoscrizionale, nell’Italicum e nel Rosatellum-bis i livelli di distribuzione dei seggi della Camera dei deputati sono tre (nazionale, circoscrizionale, di collegio plurinominale), ne deriva che i rischi di slittamento dei seggi da una circoscrizione all’altra, o da un collegio plurinominale a un altro, siano più forti.

Infine, ancora in tema di legame fra elettori ed eletti, non può non essere stigmatizzato l’effetto prodotto dal numero di collegi uninominali, pari a circa un terzo delle rispettive assemblee (232 per la Camera e 109 per il Senato), che automaticamente comporta il loro aumento dimensionale rispetto all’epoca del Mattarellum in cui i collegi erano, rispettivamente, 475 e 232 per Camera e Senato. Se oggi, quindi, la dimensione dei collegi della Camera dei deputati ricalca quantomeno quella dei collegi del Senato del 1993, la dimensione degli attuali collegi senatoriali è senza precedenti, accresciuta al punto da vanificare la ratio stessa del collegio uninominale che, lungi dall’essere identificato come una mera porzione di territorio più o meno ampia volta a esprimere l’elezione di un singolo rappresentante, non può che configurarsi come una cellula omogenea dal punto di vista economico-sociale e storico-culturale. Nel Regno Unito, com’è noto, il rapporto tra eletti ed elettori è storicamente radicato nelle constituencies, che a loro volta sono entrate in un rapporto “vitale” e di “intima funzionalità” con la più vasta dimensione della Constitution[Torre, 1995].

 

4.4 Il disegno dei collegi uninominali

Un altro aspetto su cui occorre soffermarsi riguarda la procedura di disegno dei collegi uninominali, dal cui raggruppamento sono ricavati i collegi plurinominali. La nuova disciplina prevede che tale opera di disegno dei collegi sia codificata in un decreto legislativo e svolta da una commissione tecnica nominata dal Governo e presieduta dal Presidente dell’Istituto nazionale di statistica. Una procedura analoga fu prevista dalle due leggi che portano il nome dell’attuale Presidente della Repubblica, le nn. 276 e 277 del 1993, per quanto riguarda il disegno dei collegi uninominali del cd. Mattarellum, con il quale si è votato nelle tornate del 1994, 1996 e 2001. Vi sono però due significative differenze tra la procedura delineata allora e quella introdotta dal Rosatellum-bis.

In primo luogo, la legge Mattarella prevedeva che la commissione tecnica fosse nominata dai Presidenti delle Camere, non dal Governo, con la chiara (e tutt’altro che retorica) finalità di escludere qualsiasi ingerenza del potere esecutivo in un’attività tanto sensibile e rilevante dal punto di vista democratico. Storicamente, infatti, il disegno dei collegi uninominali è esposto al rischio di manipolazioni di varia natura, dal disegno fraudolento per procurare vantaggio a un determinato candidato (gerrymandering) a quello, sempre di natura “dolosa”, volto a sovra-rappresentare territori meno popolosi rispetto ad altri (malapportionment). Più corretto sarebbe stato, a tutela delle minoranze, prevedere la nomina della commissione tecnica da parte dei Presidenti delle Camere, stante la loro natura di organi di garanzia. A nulla vale replicare che le garanzie per le minoranze siano assorbite dalla previsione del parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo recante il disegno dei collegi, dal momento che la funzione consultiva delle commissioni di merito sugli schemi di decreto costituisce un elemento indefettibile del processo di delegazione legislativa e si pone in ogni caso quale garanzia accessoria, a valle dell’operazione di ridisegno dei collegi e delle circoscrizioni.

In secondo luogo, le leggi del ’93 stabilivano che la popolazione di ciascun collegio potesse scostarsi dalla media della popolazione dei collegi della circoscrizione non oltre il 10%, per eccesso o per difetto. Nel Rosatellum-bis la percentuale di scostamento è stata innalzata al 20%, offrendo in questo modo copertura a un’opera di disegno dei collegi meno rigorosa e rispettosa di quel principio di tendenziale eguaglianza dimensionale delle circoscrizioni [Agosta, 1997], che a sua volta si pone al crocevia dei principi costituzionali posti a garanzia del diritto di voto.

4.5 L’indeterminatezza degli obiettivi sistemici (a proposito di metodo della riforma elettorale)

A livello teorico l’opzione per un determinato sistema elettorale è connessa con il soddisfacimento di alcuni obiettivi che possono ritenersi desiderabili in un ordinamento democratico ma che non necessariamente sono compatibili: a) intelligibilità del meccanismo elettorale; b) stretto legame fra eletti ed elettori; c) proporzionalità/eguaglianza sostanziale del voto; d) riduzione della frammentazione partitica; e) bipolarismo; f) governabilità; g) coesione infra-partitica. La scelta fra obiettivi tendenzialmente contradditori (per es. proporzionalità vs. riduzione della frammentazione; legame elettori/eletti vs. coesione partitica) dovrebbe essere il precipitato di una determinata concezione della democrazia rappresentativa e della funzione del voto elettivo [Geddis, 2003]. Non esistono opzioni tecniche filosoficamente neutrali. Ciascuna di esse, in teoria, mira a realizzare nell’ordinamento un determinato principio.

Sul piano degli obiettivi sistemici, il legislatore ha puntato senza dubbio a introdurre un sistema intelligibile, cioè di immediata comprensione per l’elettore. Non vi è dubbio che il tipo di scheda e il voto unico rispondano a tale esigenza, ma per le ragioni ampiamente indagate sopra resta il dubbio che si tratti di un’intelligibilità solo “di facciata”, dal momento che con il solo voto al candidato nel collegio uninominale l’elettore partecipa altresì – e non necessariamente in modo consapevole – alla distribuzione proporzionale dei restanti due terzi dei seggi fra le liste bloccate collegate al candidato medesimo. Quando si discute di “intelligibilità” del sistema elettorale, non si può fare riferimento, infatti, alla sola modalità di espressione del voto, ma anche alla comprensione collettiva del funzionamento di un procedimento elettorale nel suo complesso.

Quanto al legame fra eletti ed elettori, la nuova disciplina prevede che tutti i nomi dei candidati, anche quelli del collegio plurinominale, siano riportati sulla scheda, un aspetto senz’altro positivo. Concretamente, il legame fra eletti ed elettori sarà assicurato se non vi saranno slittamenti di seggi da un collegio plurinominale a un altro. Tanto minori saranno gli slittamenti, tanto più potrà dirsi conseguito l’obiettivo di rinsaldare il legame fra gli elettori e i propri rappresentanti in Parlamento.

Allo stesso tempo, non vi è dubbio che il sistema punti al rafforzamento della coesione infra-partitica. Collegi uninominali, liste corte bloccate e possibilità di candidatura in cinque collegi plurinominali assicurano ai partiti un controllo ferreo delle scelte: un aspetto che va nel senso di rafforzare la loro coesione interna. A un primo sguardo, l’obiettivo viene perseguito nel pieno rispetto della giurisprudenza costituzionale in materia, in quanto il Rosatellum-bis recupera il principio della individuabilità dei candidati che era stato calpestato dalla legge n. 270 del 2005. Ancora una volta, però, non possono essere sottaciuti gli effetti della connessione fra voto uninominale e lista corta, che in assenza di voto disgiunto esalta al massimo grado l’esigenza di coesione infrapartitica, ma allo stesso tempo irrigidisce la scelta già categorica dell’elettore, trasformandola di fatto in una scelta completamente bloccata.

Altro obiettivo dichiarato della riforma (ma anche del cd. Italicum e del cd. Germanellum) è la riduzione della frammentazione partitica, considerata da più parti un male per la stabilità degli esecutivi. Rispetto al Germanellum, la soglia di sbarramento è stata abbassata dal 5% al 3%. Al di là dell’efficacia della scelta, occorre nuovamente domandarsi se una soglia di sbarramento possa considerarsi strumento sufficiente a ridurre il numero di partiti in Parlamento. Per le ragioni esposte nel paragrafo 2, la risposta non può che essere negativa. E non può esserlo soprattutto nel contesto italiano, in cui le soglie di sbarramento esplicite vengono costantemente vanificate dalle soglie previste dai regolamenti per la costituzione dei gruppi. Appare utile allora osservare che nel modello tedesco esiste un coordinamento stretto fra le diverse soglie di sbarramento. Alla soglia del 5% stabilita per l’accesso alla rappresentanza nella Camera bassa fa eco quella del 5% necessaria per la costituzione di un gruppo all’interno del Bundestag. I gruppi parlamentari tedeschi, a loro volta, devono coincidere con la forza politica che si è presentata all’elettorato. In sostanza, la riduzione della frammentazione partitica che i tedeschi hanno ricercato dal secondo dopoguerra attraverso la Sperrklasuel, è salvaguardata dal regolamento dell’assemblea. Anche in Italia vi sarebbe oggi, finalmente, una corrispondenza fra soglia di sbarramento elettorale (3%) e soglia di sbarramento regolamentare (venti deputati e dieci senatori, pari al 3,2%), ma questa non è sufficiente ad arrestare la tradizionale proliferazione dei gruppi parlamentari. Per lungo tempo, un soggetto politico al di sotto della soglia di sbarramento regolamentare poteva comunque formare un gruppo, purché questo rappresentasse un partito organizzato nel Paese che avesse presentato proprie liste di candidati in almeno venti collegi, ottenuto almeno un quoziente circoscrizionale e raccolto 300 mila voti a livello nazionale. Inoltre, a differenza della Germania, l’ordinamento italiano non richiede né favorisce l’omogeneità politica fra liste e gruppi parlamentari. Solo a titolo di esempio, nella XVII legislatura è nato un gruppo parlamentare (Per l’Italia) formato da due soggetti politici non solo distinti, ma addirittura contrapposti: il Centro democratico, che alle elezioni del 2013 si presentò nella coalizione Italia Bene Comune, e Per l’Italia, composto da fuoriusciti del gruppo Scelta Civica, a sua volta presentatasi in una coalizione concorrente. Ad aggravare la frammentazione partitico-parlamentare è il fatto che a norme regolamentari di per sé flessibili, si sono progressivamente sommate linee interpretative di quelle norme talmente funzionali alle esigenze politiche contingenti da snaturarne il senso. È come se attraverso un ricorso costante alle “deroghe alle deroghe” si fosse proceduto a modificare i regolamenti parlamentari senza passare per il voto a maggioranza assoluta richiesto per la loro revisione. La conseguenza è stata il proliferare dei gruppi parlamentari, in totale “disallineamento” con i sistemi elettorali, e con conseguenze sistemiche di enorme rilievo: dall’alterazione dei rapporti maggioranza/opposizione nelle commissioni e negli organi parlamentari alla fruizione di benefici di legge quali ad esempio la drastica riduzione delle firme richieste per partecipare alle elezioni, in una sorta di circolo vizioso della frammentazione stessa.

Infine, dal punto di vista della governabilità, il Rosatellum-bis non appare in grado, quantomeno allo stato attuale in cui il sistema dei partiti si atteggia in modo sostanzialmente tripolare, di favorire la formazione di una maggioranza parlamentare. Troppo limitato, infatti, è il correttivo maggioritario (1/3 dei seggi), e vano in questo contesto è il ricorso al voto unico di cui si è discusso ampiamente nei paragrafi precedenti. L’impressione condivisa da una parte della dottrina è che il Rosatellum-bis, a causa delle sue manifeste incertezze sul piano degli obiettivi sistemici, sia una legge di transizione piuttosto che una riforma di lungo periodo, immaginata per traghettare il Paese in una chiara direzione politico-istituzionale.

 

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30/11/2017 21:55:46
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