Cos'è che rende un uomo
disperato?
Credo la totale assenza di
una mano e di un cuore umani.
E che cos'è l'umano ?
Per me l'umano è
quell'essere che sa “essere toccato”, che sa “sentire” il dolore dell'altro,
che sa urlare e disperarsi quando vede la sopraffazione, la violenza,
l'assurdità di qualcuno che non vede nell'altro l'altra parte di sé che sta
soffrendo; per me l'umano è qualcuno che sa denunciare, che sa mostrare tutta
l'efferatezza dell'ignoranza.
Inutile dire l'importanza
della Cultura, nessuna parola meglio di quelle di Simon Weil: “la cultura è
cura dell'attenzione”. E l'attenzione è profondità. La nostra.
“Nebbia in agosto” si basa
sulla storia vera di Ernst Lossa, raccontata nel romanzo omonimo di Robert
Domes e portata sullo schermo da Kai Wessel.
E' lo sconcertante racconto
di quel che i tedeschi - e non parlo solo di nazisti tedeschi, ma di tutti i
tedeschi ( e non solo i tedeschi) – hanno permesso che succedesse nel folle
progetto di eutanasia per una razza pura.
Questo film fa vedere come,
sotto la supervisione del dottor Veithausen, seguendo un protocollo di
eutanasia voluto dal regime nazista, si possa uccidere, col sorriso,
l'innocente sorriso di un bambino, la sua fiduciosa fiducia nella cura “del
grande “ che, con tremenda assenza da sé stesso, porge un succo di lampone
avvelenato alle labbra di chi si appresta ad incontrarla la Vita, quella vita
che gli viene arrogantemente tolta da chi crede di poterne avere il “potere”.
Non c'è bisogno di riportare
al cuore “se questo è un uomo”, per rendersi conto che l'uomo è ancora molto
lontano da quel che potrebbe essere e non c'è bisogno di credere che sia il
passato a dimostrarlo; basta guardarci intorno, oggi, per vedere che
quell'ignoranza dell'uomo ancora persiste; anzi, s'è robustamente ingigantita,
grazie a una mancanza di nuove visioni liberatrici e ristoratrici.
La nostra scelta collettiva
di una concezione lineare, storica ed evolutiva del tempo ci ha portati ad una
prigionia dell'umano. La tecnologia offre mezzi per estrarre suoni e immagini
dal fluire del tempo, ma questa ricerca di memoria e di parziale immortalità ha
l'effetto opposto; in natura tutto ciò che è vivo muore e rinasce in
continuazione. Non c'è nulla di meno vitale dei mezzi di comunicazione di
massa, che accumulano una quantità di informazioni impossibile da assimilare,
informazioni subito dimenticate e stantie; viviamo in una cloaca digitale e non
ci rendiamo conto che ci sta sommergendo, insieme a tutti i rifiuti del nostro
folle consumismo.
Siamo in un ospedale
psichiatrico collettivo, dove medici e pazienti sono interscambiabili, dove il
valore dell'esperienza è stato sottratto allo spirito e alla carne della Parola
; abbiamo strozzato il canto orale del “cuore a cuore “ ; tutto è diventato
pensiero e immagine prefabbricati.
Nel nostro comune campo di
concentramento nessun mago della pioggia può più entrare per riportare la
felicità; nessuna capanna abbiamo lasciata indenne per “centrarci sul Tao”.
I bambini di “nebbia in agosto”
riuscivano a spaccare i muri e uscivano la notte a “ri - trovar
le stelle “.
Ritiriamoci in una vita che
sappia ancora creare contatti con ogni elemento vivo, una vita non mediata, in
un certo senso una vita “eterna”, così da poter rimanere in ascolto delle voci
che salgono dal pozzo buio dell'Anima e che ci parlano senza parole.
Ernst trova la sua Anima
nella piccola bionda Nandli, che nel film - scrive la critica – è l'unica
figura “inventata “. Inventata ? Direi l'unica figura “vera e reale “.
Soltanto la nostra capacità
di ritrovare questa voce interiore e di liberarla dall'imbecillità che ci
circonda quotidianamente ci riporterà alla salvezza.
Ernst ne è un esempio
vigoroso e appassionato, come sempre solo il cuore innocente di un bambino può
riportare la luce; una luce che abbiamo dentro, soffocata e violata dalla
paurosa arroganza dei grandi, e che tocca a noi, al nostro bambino interiore,
ogni giorno, disseppellire.
Ernst verrà ucciso con una
letale iniezione. Nel processo tutti si accuseranno a vicenda, non si saprà mai
chi veramente ha spinto il dito su quella siringa.
Ancora una volta la
consapevolezza dell'umano è lontana, prendere coscienza è la cosa più
difficile, si deve passare per un dolore indicibile. Non tutti ce la fanno.
Uomini come Ernst ci
indicano la via: solo se sentirai il dolore dell'altro “sarai” la differenza
tra un umano vero e uno virtuale.