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Scuola e Università
La Ministra Giannini propone una revisione (al rialzo) delle tasse universitarie...
Redazione
 C'è poco da stupirsi se, nella frenesia di far presto (e bene'?,), scappa qualcosa... Da' pero' molto fastidio se questo "qualcosa" è basato su presupposti discutibili e su interpretazioni dei dati a dir poco curiose... Ne è un esempio la recente presa di posizione della nostra Ministra Giannini che, con semplicità, ha dichiarato essere del tutto insufficienti le quote versate in media dalle famiglie italiane per far studiare i propri figli alle Università di casa nostra. La realtà è ben diversa e viene documentata con dovizia da un'indagine della redazione di "Valigia Blu" poi ripresa dal sito di "Le Scienze". 

È probabile che il ministro Giannini, nella sua stima, abbia preso in considerazione soltanto le spese di iscrizione, cioè le tasse, ma anche così il costo di un'automobile sarebbe un riferimento poco utile e obiettivo.

Più razionale sarebbe confrontare le tasse universitarie in Italia con quelle degli altri paesi europei. È quello che si può fare leggendo il rapporto dell'Unione Europea National Student Fee and Support Systems in 
European Higher Education, che illustra un'analisi comparata dei sistemi di tassazione e di sostegno allo studio nelle università pubbliche in Europa.

L'università in Italia: più tasse, meno investimentiIl grafico mostra il livello di tassazione universitaria più diffuso, in euro (fonte: National StudentFee and Support Systems in European Higher Education)

I dati riportati nel rapporto mostrano che è il Regno Unito lo stato europeo dove studiare all'università costa di più. I valori sono differenti nei diversi paesi del Regno, ma in Inghilterra le tasse raggiungono i 12000 euro. All'estremo opposto ci sono i paesi dove l'università è di fatto gratuita. In Nord Europa (Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia) gli studenti a tempo pieno non pagano tasse per iscriversi all'università e in Danimarca e Svezia l'esenzione viene estesa anche ai cittadini dell'Unione Europea. In altri paesi le tasse sono al di sotto dei 100 euro, come in Germania, dove c'è solo una tassa amministrativa di circa 50 euro, in media. Mentre in Francia ammontano, nella maggior parte degli atenei, a 184 e 256 euro all'anno, per il primo e secondo ciclo di studi rispettivamente. E l'Italia? Il rapporto afferma che il nostro paese è tra quelli con tasse "relativamente alte", da circa 200 a poco più di 2000 euro all'anno, con un valore medio di circa 1220 euro.

Ma il livello di tassazione è solo un particolare della fotografia. Oltre a questo il rapporto analizza anche il sostegno economico allo studio nei diversi paesi. Ed è qui che la differenza dell'Italia rispetto al resto del continente si accentua, in negativo.

L'università in Italia: più tasse, meno investimentiIl grafico mostra la percentuale di studenti beneficiari di borse di studio (fonte: National StudentFee and Support Systems in European Higher Education)

In Spagna le tasse universitarie sono mediamente di poco inferiori a quelle italiane, per il primo ciclo (1110 euro) e superiori per il secondo (2020) ma il 29% degli studenti riceve una borsa di studio. In Italia solo l'8%. Una delle percentuali più basse in Europa. Anche in stati dove le tasse universitarie sono relativamente alte, come l'Irlanda, il 46% degli studenti ha una borsa. In Francia il 35%. E in Germania il 25% degli studenti gode di una qualche forma di sostegno allo studio. Nei paesi del Nord Europa, nonostante non si paghino tasse di iscrizione, la percentuale di studenti con borsa di studio è molto alta (51-57% in Norvegia, 77% in Svezia, 88% in Danimarca).

Dai dati contenuti nel rapporto sembra difficile concludere che l'università italiana costi poco, rispetto a quella di altri paesi europei. Soprattutto, sembra che in Italia si sia ancora lontani dal riuscire a garantire un effettivo diritto allo studio. Ne è una dimostrazione la diminuzione delle iscrizioni all'università che l'anagrafe degli studenti del Ministero registra da alcuni anni, soprattutto negli atenei del Sud. Questo in un paese in fondo alle classifiche europee anche per la percentuale di laureati nella popolazione, meno del 14%, a dispetto dei persistenti miti sui "troppi laureati". Del resto, se mancano le risorse per il diritto allo studio è perché, in generale, manca un adeguato investimento pubblico nell'università, e anche nel sistema della ricerca, che potrebbe costituire uno sbocco professionale per molti laureati in diverse discipline. Anzi, formazione universitaria e ricerca, come ricorda il giornalista scientifico Pietro Greco, sono tra i settori pubblici che negli ultimi anni hanno subito i maggiori tagli di spesa.

Perché, alla fine, tutto si tiene. Meno investimenti, meno diritto allo studio, meno laureati, più tasse e più spese per chi si iscrive. Se a questo si aggiunge il problema di "un sistema universitario che invecchia in maniera preoccupante", come afferma il Consiglio Universitario Nazionale commentando i provvedimenti dell'ultima legge di stabilità, si comprende come in queste condizioni sarà sempre più difficile per il sistema universitario italiano assolvere alla sua funzione principale: trasmettere e produrre conoscenza. E, in una società della conoscenza, essere il motore dello sviluppo sociale ed economico non è solo importante, è fondamentale.

14/11/2015 16:01:33
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