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Storia
La vigilanza poliziesca sui “funerali rossi” ad Alessandria durante il ventennio fascista
Donato D’Urso
Due settimane fa, pubblicavamo un interessante saggio breve di Donato D’urso  su “I Prefetti della Liberazione in Piemonte”, apparso per la prima volta sul Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino. Stavolta D’Urso ci regala un testo, apparso per la prima volta sugli Studi Piemontesi, che è ancora più ghiotto perché parla di Alessandria e del suo passato antifascista. Giusto giusto per celebrare degnamente il 70° Anniversario della Liberazione. (ndr)
 
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Durante il ventennio fascista il controllo poliziesco riguardò ogni aspetto della vita sociale, con particolare attenzione alla condotta degli oppositori politici, intendendo non solo i maggiori esponenti ma anche le figure minori. Tale vigilanza si intensificava nelle tradizionali ricorrenze del 1° maggio, della rivoluzione bolscevica, del 1° agosto (data scelta dal partito comunista per manifestazioni contro la guerra, dunque di spiccato carattere antimilitarista).
 
L’assunto inderogabile di reprimere qualsiasi manifestazione eterodossa, rivelatrice di dissenso, comportava anche la censura di ricordi, immagini, simboli non graditi al regime e così, nella ricorrenza del 2 novembre, la polizia controllava che nei cimiteri non fossero deposti fiori rossi sulle tombe di noti antifascisti.
 
I controlli scattavano capillari in occasione di esequie.
L’intreccio tra pubblico e privato rendeva, però, il “funerale rosso” diverso da una manifestazione politica di opposizione al regime. Il culto dei morti e il rispetto dei defunti appartiene al comune sentire e trascende l’appartenenza politica o di classe, dunque, anche nel ventennio fascista, si agì in questo ambito usando qualche cautela, per non urtare troppo il sentimento popolare e provocare reazioni sgradite e, in definitiva, controproducenti.
 
Le leggi in vigore consentivano all’autorità di intervenire con ampia discrezionalità, utilizzando l’articolo 27 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza: «Il Questore può vietare che il trasporto funebre avvenga in forma solenne ovvero può determinare speciali cautele a tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini». Tale facoltà di per sé non è abnorme, tanto che viene ancora oggi utilizzata per evitare che sia “solennizzato” il trasporto al cimitero di noti boss della camorra e della mafia. Sotto il fascismo la norma fu applicata, conformemente alla volontà di chi l’aveva voluta, come strumento di controllo politico.
 
Alla morte di un “sovversivo”, la polizia agiva in diverse direzioni: sorvegliava chi andava a rendere omaggio alla salma in casa o in ospedale, controllava la posta indirizzata alla famiglia dell’estinto, se del caso imponeva al corteo funebre percorsi abbreviati o periferici, consentiva la partecipazione ai soli familiari e parenti, sceglieva per il funerale ore antelucane e, persino, ordinava senza preavviso di anticipare la cerimonia, così da impedire di fatto la partecipazione di estranei.
 
Tale “controllo della morte” era più attento in occasione di funerali non religiosi, né valeva più di tanto che il defunto avesse abbandonato l’attività politica. Si vietava ovviamente l’uso di cuscini e mazzi di fiori rossi. Prevaleva su tutto la valutazione della notorietà della persona scomparsa e il timore di manifestazioni implicite di opposizione al regime 1.
 
Ecco il polemico racconto delle onoranze funebri svoltesi nel 1933 in un piccolo comune piemontese:
Si approfitta della morte di qualche ex capoccia per trasformare il funerale civile in una manifestazione di partito. Si comincia dai manifesti affissi con grande diffusione, nei quali le vecchie cariche coperte dal defunto sono messe in particolare evidenza. Al corteo non manca mai la musica del Dopolavoro. Il carro funebre viene spogliato da ogni simbolo religioso in presenza del pubblico che commenta. Tutti gli schedati sono al corteo… non ne manca uno. Al cimitero i discorsi non mancano mai (anche 4 in una volta). Dopo il funerale, distribuzione di pane e di vino ai poveri e qui non vi sarebbe nulla di male se non ci fosse da osservare che è appunto tradizione comunista distribuire vino e pane ai poveri in dette occasioni 2.
 
La storiografia ha narrato con ampiezza le vicende dell’accompagnamento alla sepoltura di personaggi come Antonio Gramsci, Anna Kuliscioff, Errico Malatesta. Le polverose carte d’archivio consentono di rievocare altri episodi solo apparentemente minori, che dimostrano quanto l’oliata macchina repressiva fosse sempre e comunque attiva ed efficiente. Intendo qui ricordare le esequie degli ex-deputati socialisti Carlo Zanzi ed Ernesto Pistoia, eletti in Piemonte nel primo dopoguerra.
 
Carlo Zanzi era nato a Palermo il 31 marzo 1868. Diplomatosi maestro, insegnò nel ferrarese dove fu segretario della Camera del lavoro e consigliere comunale di Copparo. Dopo essere stato a San Remo e Tortona, nel 1907 arrivò in Alessandria vincitore del concorso a direttore delle scuole elementari e dell’infanzia, occupando l’incarico a lungo svolto da Antonio Bobbio cattolico liberale. Zanzi s’impegnò con passione in molteplici settori: scuola popolare rivolta principalmente ai ragazzi-lavoratori, scuola professionale femminile esempio tra i primi a livello nazionale, corsi popolari rurali, patronato scolastico con refezione per gli alunni bisognosi, colonia marina di Loano, rinnovamento dell’edilizia scolastica, asili infantili 3. Fu apprezzato autore di pubblicazioni didattico pedagogiche 4, conferenziere all’università popolare, direttore del periodico socialista di Valenza “La Scure”, convinto pacifista e antimilitarista.
 
Nell’estate 1919, quando un po’ in tutta Italia scoppiarono agitazioni per il caro-viveri, Zanzi non mancò dalla scena. Nel pomeriggio del 5 luglio in Alessandria molti operai si astennero dal lavoro per presenziare ad un comizio tenuto dal sindaco Ernesto Pistoia, dall’avv. Ambrogio Belloni 5, da Zanzi e dal cappellaio Cesare Orecchia 6. Per quegli oratori e le loro idee manifestò indignata disapprovazione il citato Antonio Bobbio (nonno di Norberto), decisamente ostile ai socialisti:
Con parole roventi gettarono la colpa dello stato di malcontento, di esasperazione sul Governo inetto, passivo e sull’ingordigia sfrenata dei produttori, di grossisti e incitarono la turba acclamante a far quella giustizia, per cui lo Stato si dimostrò impotente. L’ultimo più scalmanato tribuno esclamò: Andate, entrate nei negozi e fate da padroni e da legislatori: viva Lenin e il bolscevismo. Fu il razzo caduto in una massa di esplosivi [...]. Fra i mestatori di piazza, gli aizzatori di turbe vanno segnalati due energumeni: un Assessore alla Pubblica Istruzione 7 e un Direttore generale delle scuole alessandrine 8, dei quali l’uno eccitava le masse a compiere i più criminosi atti vandalici e rivoluzionari come si fece in Russia, l’altro eccitava le plebi, insegnava a dare lo sfratto a tutte le norme della vecchia scuola e ad instaurare nella scuola quelle del bolscevismo. Fu ed è quest’ultimo un formidabile disfattista 9.
 
Zanzi fu anche presidente del consiglio di amministrazione della Casa e Teatro del Popolo, iniziativa originale e pressoché unica 10. Non stupisce che nel novembre 1919 egli riuscisse eletto deputato, insieme con altri cinque compagni, grazie al voto proporzionale e al clamoroso successo del partito socialista che ottenne nella circoscrizione il 44,85% dei voti 11. Nel maggio 1921 Zanzi fu confermato alla Camera ma il consenso del partito, in conseguenza della scissione di Livorno, scese al 29,85% 12. L’impegno parlamentare fu rivolto principalmente ai problemi della scuola, in particolare a quella popolare e alla condizione economica dei maestri. Nel biennio 1921-1922 anche in Piemonte si ribaltarono però gli equilibri politici, a causa dell’azione devastante dello squadrismo fascista.
 
I rapporti tra Zanzi e le scuole alessandrine terminano con la vittoria del fascismo. L’intellettuale capisce che deve rinunciare al ruolo di direttore didattico e chiede di essere collocato in pensione, adducendo motivi di salute e politici per l’impegno in Parlamento. Il nuovo sindaco, lo squadrista Raimondo Sala, acconsente alla richiesta 13. Zanzi nella lettera di commiato usò toni formalmente cortesi verso Sala, che aveva contribuito a distruggere con la violenza la ventennale esperienza amministrativa socialista e la rete delle organizzazioni popolari.
Affido a questa mia l’incarico di portarle i miei saluti, e i più vivi ringraziamenti pel modo benevolo col quale ella trattò la pratica del mio collocamento a riposo; tali sentimenti esprimo anche nei confronti dell’egregio assessore avv. Ravazzi. Duolemi invero che le vicende politiche mi abbiano indotto, spontaneamente, a lasciare la direzione di coteste scuole e i miei colleghi maestri cui ero molto affezionato 14.
 
Il 6 aprile 1924, quando si votò con la legge Acerbo, il partito socialista unitario non riuscì a far eleggere nella circoscrizione nessun deputato, compreso Zanzi. In conseguenza delle “leggi fascistissime” del novembre 1926, egli fu tra i primi socialisti presi di mira per l’assegnazione al confino di polizia. Inizialmente si rese irreperibile ma, arrestato nel settembre 1927, fu tradotto a Ustica per scontare la misura di prevenzione disposta per la durata massima di cinque anni. Già in dicembre venne però liberato condizionalmente per motivi di salute e diffidato 15. Morì dopo lunga malattia, all’età di 63 anni, il 5 marzo 1931. Il podestà Luigi Vaccari espresse al figlio del defunto le condoglianze dell’amministrazione comunale in riconoscimento dell’attività educativa e intellettuale di Carlo Zanzi.
 
Il funerale svoltosi il 7 marzo provocò importanti e, forse, inattese reazioni. Con qualche giorno di ritardo l’Ufficio politico investigativo della IV legione della Milizia compilò un rapporto, a firma del console Carlo Uggè, con oggetto “Funerale del sovversivo Carlo Zanzi”, indirizzato a prefettura,
questura e segretario federale 16. Premesso che il deceduto era stato «uno dei socialisti intellettuali più accaniti durante il periodo sovversivo, assessore di amministrazioni rosse ed oppositore durante il periodo quartarellista 17», Uggè sottolineò che le onoranze funebri avevano dimostrato che «i vecchi elementi intellettuali sovversivi si mantengono sempre uniti, anche se qualcuno è in possesso della tessera del P.N.F.». Molti professori e maestri avevano accompagnato la salma al cimitero, in particolare: Pisani Giovanni, direttore centrale delle scuole elementari del Comune di Alessandria, già socialista propagandista e conferenziere; Basile Nicola, maestro del Comune, già accanito propagandista, legnato tre o quattro volte dagli squadristi per la sua insistente attività, direttore dell’ex-giornale “La riscossa magistrale” organo della lega dei maestri ed instancabile organizzatore sindacale rosso 18; Burzi Giuseppe, maestro del Comune, esponente ed organizzatore del sindacato magistrale rosso, nonché propagandista comunista che, fra l’altro, insegnava il canto di “bandiera rossa” agli scolari 19; Aracco Teresa, maestra del Comune ed ex propagandista comunista irriducibile 20; Piacentini Rosa, maestra del Comune, accanita propagandista alla quale, dagli squadristi, per la sua attività fu fatta ingerire una buona dose di olio di ricino, le furono tagliati i capelli e fu pitturata con colori ad olio in tricolore 21; Belloni Giuseppina, maestra del Comune, attiva esponente del sindacato magistrale rosso, moglie dell’ex-confinato comunista 22.
 
L’ex-sindaco e parlamentare socialista Pistoia reggeva con altri i cordoni del feretro. Era al seguito anche il prof. Vittorio Nicola, fascista, che rappresentava le Scuole serali di Commercio 23. Come se non bastasse, Margherita Ciravegna, delegata provinciale dei fasci femminili, aveva chiesto di far parte di una rappresentanza scolastica ma la prefettura aveva opposto il veto; la Ciravegna mandò egualmente fiori in ospedale e, secondo il console Uggè, «lavorò in sordina per la migliore riuscita del funerale». Conclusione del rapporto:
Questo funerale che ha servito di parata per tutti i vecchi ed irriducibili elementi socialistoidi e nella quasi totalità maestri del Comune di Alessandria, serve molto chiaramente a lumeggiare quali siano le persone che ancora oggi impartiscono l’Educazione Nazionale alle nuove generazioni, che della vecchia mentalità nulla dovrebbero acquisire 24.
 
La questura, diretta da Emilio D’Agostino, si limitò a controllare la situazione e fornì il resoconto ufficiale. Il corteo funebre aveva seguito il consueto itinerario cittadino e non erano stati consentiti artificiosi allungamenti. I partecipanti erano circa 500 ma sembravano di più perché le strade a quell’ora erano affollate da operai che rientravano dal lavoro.
Seguivano il carro funebre rappresentanze di scolaresche con tre bandiere tricolori. La polizia spiegava la presenza di tanti insegnanti sia con la notorietà di Zanzi nell’ambiente della scuola, sia per sentimento di solidarietà verso la figlia docente di francese. C’erano anche molti commercianti poiché il figlio del defunto lavorava nel settore delle rappresentanze. Gli agenti di polizia avevano annotato i nomi degli ex-deputati comunisti Belloni e Remondino 25, degli ex-sindaci socialisti Pistoia e Torre e, tra gli altri, del prof. Stellio Lozza 26 e dell’anarchico Giovanni Ciappolino. Tra i fascisti presente anche l’avv. Sesto Brezzi podestà in un comune della provincia. Il rapporto del questore si concludeva così:
I funerali non assunsero né importanza politica né carattere di manifestazione sovversiva. L’elemento operaio era del tutto assente e l’elemento sovversivo come già è stato detto non numeroso. Tra i partecipanti vi erano fascisti iscritti alla Milizia e persone di incensurabile condotta politica. A quanto risulta, dalle Gerarchie Fasciste non venne dato alcun preventivo avviso di non intervento e tanto meno dalla Milizia. La Questura fece togliere dal manifesto funerario la qualifica di “onorevole” perché non più spettante al defunto Zanzi che da diversi anni non era più deputato 27.
 
Questa la cronaca dei fatti. La netta impressione è che le autorità fossero state colte di sorpresa. Di fronte al fatto compiuto non era rimasto che fare buon viso a cattivo gioco. Politicamente l’avvenimento rappresentava uno smacco per il regime e presto arrivarono tuoni e fulmini. Dal Gabinetto del ministro dell’Interno, che era Mussolini con Leandro Arpinati sottosegretario, fu indirizzata al prefetto di Alessandria un’urgente richiesta di notizie. La risposta, che reca la data del 25 marzo 1931, denota un evidente imbarazzo.
Effettivamente, nel pomeriggio del giorno 7 corrente, ebbero luogo in questa città, con largo intervento di pubblico di ogni ceto e di ogni professione, i funerali dell’ex Deputato socialista Carlo Zanzi [...]. È però da escludersi che il funerale sia stata una organizzata manifestazione politica da parte degli elementi notoriamente contrari al Regime o abbia, comunque, voluto significare atto ostile all’attuale Governo. Pur riconoscendo come lo Zanzi abbia avuto durante il periodo sovversivo grande popolarità e seguito, e come lo stesso non abbia mai inteso modificare i propri sentimenti che lo portarono anche al confino di polizia, devesi rilevare che egli da tempo, specie in questi ultimi anni, aveva cessato di svolgere attività comunque contraria al Regime. Il fatto di una notevole partecipazione di pubblico (nel quale erano rappresentati i vari ceti sociali con prevalenza di elementi della scuola), trova la sua giustificazione nel fatto che lo Zanzi fu, per oltre un ventennio, Direttore di queste scuole elementari e che la figlia è attualmente insegnante di lingua presso l’Istituto Tecnico. Il che ha determinato un notevole sviluppo di relazioni familiari al di sopra e al di fuori di ogni concezione o tendenza politica. Occorre, infine, tener presente che la morte dello Zanzi ebbe luogo dopo un lungo periodo di degenza in ospedale, di gravi sofferenze e di successive dolorose operazioni chirurgiche per carcinoma alla bocca, il che certo servì a produrre nei suoi molti conoscenti, già allievi e colleghi, quel senso di umana pietà che ebbe naturale sbocco nelle onoranze funebri, le quali, ripeto, si svolsero senza alcun particolare carattere di parata e senza incidenti 28.
 
Dopo qualche giorno arrivò da Roma un telegramma a firma di Mussolini, che sicuramente gelò il prefetto Milani 29:
«Ulteriori informazioni in contrasto con quelle troppo evasive V.E. confermano carattere nettamente antifascista funerali Zanzi per cui provvedimenti adeguati si impongono» 30.
Aggiungo che, proprio nel marzo 1931, erano stati arrestati dalla polizia tutti i principali componenti della federazione comunista clandestina di Alessandria, successivamente processati dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Ciò dimostrava che l’opposizione covava sotto la cenere dell’apparente consenso plebiscitario al regime.
 
Il 9 aprile 1931 il prefetto comunicò al capo del governo:
Ottemperando ordine ricevuto assicuro V.E. che in pari data ho denunziato al ministero della Pubblica Istruzione 31 per provvedimenti di sua competenza Ispettori scolastici. Ho invitato Podestà ad adottare provvedimenti disciplina at carico Direttore centrale scuole elementari. Ho interessato Segretario Federale provocare provvedimenti disciplinari carico fascisti che parteciparono funerali 32.
 
Dopo l’inchiesta condotta da un ispettore, il fascista prof. Vittorio Nicola subì un «severo richiamo» e diffida «per l’avvenire, a chiedere ed ottenere il preventivo assenso dei suoi superiori diretti, prima di prendere parte ufficiale in cortei del genere 33.
 
Andò peggio al prefetto Milani. Già l’anno precedente aveva avuto problemi a causa di una visita di Farinacci in Alessandria nella veste di avvocato. A quei tempi il gerarca cremonese era sottoposto a controlli assillanti ma il prefetto aveva sottovalutato quella venuta, non aveva informato Roma con tempestività e completezza, dovendo poi spiegare e giustificarsi 34. Per i funerali di Zanzi arrivò a Milani il rimprovero scritto e personale del capo del governo. Non ci fu prova d’appello: il prefetto fu trasferito a Como e inutilmente andò a Roma per incontrare Arpinati. L’anno dopo fu allontanato dal ruolo con assegnazione alla Corte dei Conti che, soprattutto in epoca fascista, insieme col Consiglio di Stato era refugium peccatorum.
 
Nel 1932 morì Ernesto Pistoia ma i funerali dell’ex deputato e sindaco socialista ebbero strascichi meno clamorosi perché le autorità, in base all’esperienza maturata, adottarono misure più efficaci e pesantemente dissuasive nei confronti di chi avrebbe voluto partecipare pubblicamente al lutto. Prefetto era all’epoca Eolo Rebua 35, questore ancora Emilio D’Agostino.
 
Ernesto Pistoia, nato nel 1857 a Isola Dovarese, in provincia di Cremona, commerciante di mobili, pubblicista e autore di testi teatrali, massone, militò dapprima nel partito repubblicano, poi aderì a quello socialista. Fu a capo dell’amministrazione comunale di Alessandria negli anni 1909-1910 e 1914-1919 36. Il programma di opere pubbliche, le iniziative sociali a favore dei ceti popolari, la politica di laicizzazione delle opere pie ospedaliere e della scuola distinsero la duratura esperienza delle amministrazioni socialiste (la prima s’insediò nel 1899 e mai, prima di allora, un capoluogo di provincia in Italia era stato governato dalla sinistra).
 
Allo scoppio della guerra mondiale, il sindaco Pistoia si schierò decisamente su posizioni neutraliste tanto da polemizzare col prefetto circa le onoranze a Cesare Battisti, interventista e amico del “rinnegato” Mussolini. In campo sociale il comune non mancò d’impegnarsi in molteplici iniziative assistenziali a favore di profughi e famiglie dei richiamati: allestì un forno e spacci per calmierare i prezzi dei prodotti di prima necessità, aprì nuovi asili municipali per agevolare le lavoratrici assunte nelle officine industriali e nei servizi, assicurò la refezione gratuita agli alunni bisognosi 37. Finita la guerra, il municipio volle ospitare bambini viennesi in spirito di amicizia internazionalista.
 
Nonostante l’ala massimalista del partito contestasse il presunto “moderatismo” del sindaco Pistoia, nel marzo 1918 il prefetto Paolino Taddei di Torino indirizzò a quello di Alessandria la seguente nota riservatissima: «Mi viene riferito che il sindaco ed il prosindaco di codesto capoluogo favorirebbero la diserzione. Non so quale fondamento possa avere la affermazione; ad ogni modo ne informo la S. V. Ill. ma per conoscenza». Pronta la risposta del prefetto Michele Darbesio: «Posso assolutamente escludere che il sindaco ed il prosindaco di questa Città favoriscano la diserzione. Il sindaco Pistoia da più di 4 mesi è ammalato ed è ritornato ora sono pochi giorni da San Remo ove ha passato l’inverno. Il prosindaco è l’assessore Torre che è persona proba ed incapace di commettere il reato di cui verrebbe incolpato» 38.
 
Alle elezioni politiche svoltesi nel novembre 1919 Pistoia fu uno dei sei deputati socialisti eletti nella circoscrizione, unitamente a Zanzi, il citato Belloni, Paolo De Michelis orefice e segretario della Camera del lavoro, Umberto Recalcati operaio incisore, Francesco Tassinari agricoltore. Nella carica di sindaco Pistoia fu di conseguenza avvicendato dal compagno di partito Ernesto Torre 39. Nel 1921 Pistoia tornò alla Camera con Zanzi, Tassinari e Giovan Battista De Martini contadino e sindacalista 40. Per due anni ricoprì anche la carica di presidente della Provincia. Con lo scatenarsi dello squadrismo fascista, subì in città un’aggressione con lesioni permanenti, dopo che alla Camera aveva contestato l’onorevole Edoardo Torre, esponente fascista di primo piano del Piemonte meridionale.
 
Nelle elezioni politiche dell’aprile 1924, svoltesi in un clima di intimidazioni e violenze, localmente socialisti e comunisti non riuscirono a portare deputati alla Camera 41. Ormai non c’era più agibilità per le forze che s’opponevano al governo Mussolini e ai suoi fiancheggiatori e Pistoia dovette allontanarsi temporaneamente da Alessandria per sottrarsi a minacce di morte. Un rapporto prefettizio del 1931 riferiva che l’ex-sindaco «pur mantenendo fede ai suoi principi politici e frequentando i suoi vecchi compagni, da tempo non esplica alcuna attività politica» 42.
 
Quando egli morì (19 giugno 1932), la polizia adottò subito e con energia una serie di misure di rigore: la casa del defunto fu presidiata, i frequentatori accuratamente registrati, la posta in arrivo controllata (il telegramma di condoglianze dell’ex-deputato Recalcati fu bloccato e non recapitato) 43, tanti amici e conoscenti che intendevano seguire la bara furono allontanati senza molti complimenti. Nell’occasione, gli agenti notarono la presenza degli insegnanti Nicola Basile e Arturo Piccinini. Quest’ultimo subì il trasferimento d’autorità a Macerata «dopo una fitta corrispondenza tra diversi istituti fascisti, compreso il Ministero dell’educazione nazionale. Probabilmente non fu secondario il ricordo della politica laica in campo scolastico sostenuta dall’amministrazione Pistoia» 44.
 
Chi allora manifestò coraggiosamente di volere partecipare ai funerali di Ernesto Pistoia testimoniò non solo stima per il defunto ma anche una fede. Da Roma non furono mossi rilievi all’operato delle autorità locali, evidentemente giudicato adeguato e conforme ai desiderata di Mussolini. In tutti gli anni successivi, la regola costante fu di mantenere massima vigilanza sui “funerali rossi”.
 
Nel dicembre del 1933 morì Lorenzo Pollarolo, ex-cappellaio. Il questore di Alessandria, dando le disposizioni del caso, scrisse:
Fino al 1922 fu uno degli esponenti del sovversivismo di questa Provincia e della Camera del lavoro. Allo scopo di impedire nel modo più assoluto che gli elementi sovversivi, tra i quali il Pollarolo contava numerosi amici, possano comunque speculare sull’occasione per una manifestazione sovversiva, si dispone, in seguito anche agli accordi intervenuti con i familiari del defunto, che ai funerali partecipino soltanto i familiari ed i parenti intimi. Occorrerà fare attenzione alle corone, ai nastri delle stesse, dovendosi assolutamente proibire corone composte unicamente di fiori rossi e di nastri di colore rosso. Il funzionario curerà che il servizio venga effettuato in modo non troppo appariscente 45.
 
Anche il 24 febbraio 1934 l’apparato di polizia si attivò, per le esequie dell’ex-comunista ed ardito del popolo Vittorio Vallegro. La questura adottò le consuete misure: divieto agli elementi sovversivi o comunque politicamente sospetti di seguire il corteo funebre, proibizione di nastri e corone di colore rosso, servizio “discreto” 46.
Ancora nel 1939 attenti controlli furono disposti per le onoranze funebri rese a Luciano Oliva che era stato amministratore della Casa e del Teatro del Popolo, l’una e l’altro dati alle fiamme dai fascisti il 3 agosto 1922. Sebbene Oliva fosse stato socialista e massone, il funerale fu religioso ma la questura non fece eccezioni: consentita la partecipazione «solo ai familiari, ai parenti e alle poche persone di sicura condotta politica, che con il defunto furono notoriamente in rapporti di affari o di stretta amicizia». Ben 18 carabinieri e agenti vigilarono sulla cerimonia e il giorno 12 agosto anche quella pratica poté essere archiviata 47.
 
Note
 
1 Sul tema: Dianella Gagliani, Funerali di sovversivi, in “Rivista di storia contemporanea”, XIII, 1 (1984), pp. 119-141.
2 Archivio di Stato di Alessandria, fondo Gabinetto della Prefettura, II versamento (d’ora in avanti ASAL, Gab. Pref., II), b. 491.
3 Il complesso delle attività di Zanzi è descritto nel volume di Alberto Ballerino, L’idea e la ciminiera: riformismo, cultura e futurismo ad Alessandria 1899-1922, Recco, Le Mani-Isral, 2010, pp. 28-89. Per la sua biografia: Il movimento operaio italiano: dizionario biografico 1853-1943, voce curata da Roberta Gilardenghi, V, Roma, Editori Riuniti, 1978, pp. 288-290.
4 Piccolo mondo infantile, Mantova, Tip. Mondovi, 1899; Il dovere dei maestri, Copparo, Tip. Mura, 1901; Il fatto dell’educazione, Ascoli Piceno, Tip. Gardi, 1903; L’istruzione primaria e il Comune di Tortona, San Remo, Tip. Ligure, 1906; Casa dei fanciulli: istituto di educazione infantile, San Remo, Tip. Ligure, 1909; Ordinamento della scuola popolare italiana, Alessandria, Tip. Cooperativa, 1910; La compagnia niagara: letture per le scuole serali, Firenze, Bemporad, 1912; Il problema dell’autonomia scolastica comunale, Alessandria, Tip. Cooperativa, 1914; Programmi particolareggiati con relative istruzioni per le scuole elementari di Alessandria, Alessandria, Tip. Cooperativa, 1915; Le case dei bambini della Montessori, Città di Castello, Soc. Ed. Dante Alighieri, 1918; Come si educano gli uomini, Alessandria, Tip. Cooperativa, 1918.
5 Ambrogio Belloni anche per l’aspetto fisico e la fluente barba sembrava sempre pronto «a far la rivolussione in piassa», invece era «innocuo come acqua di fonte» (Nicola Basile, Il socialismo in Alessandria, Alessandria, Federazione del PSI, 1964, p. 16). Figlio di un magistrato, esercitò l’avvocatura. Nel 1892 fu tra i fondatori del PSI e fece parte della direzione nazionale. Sempre attivo militante nelle frazioni di sinistra del partito, componente del collegio di difesa degli operai arrestati a Torino durante i moti dell’estate 1917, aderì nel 1921 al partito comunista e fu membro del comitato centrale. Eletto deputato nella XXV e XXVI legislatura, subì aggressioni e il carcere. Nel 1926 fu tra i primi antifascisti ad essere inviato al confino, a Viggiano e poi a Lipari. Era incluso nell’elenco delle persone da arrestare in determinate circostanze. Dopo l’8 settembre 1943 prese parte alla Resistenza. Morì nel luglio 1950 all’età di 86 anni, vittima di un incidente stradale insieme con la moglie Giuseppina Fracchia mentre si recava a tenere un comizio.
6 Cesare Orecchia morì nel 1933 «quasi cieco per le ripetute bastonature » (Nicola Basile, Il socialismo, cit., p. 59).
7 Ambrogio Belloni.
8 Carlo Zanzi.
9 Antonio Bobbio, Memorie, Alessandria, Il Piccolo, 1994, pp. 170-171. Sui fatti: Donato D’Urso, La Guardia Rossa ad Alessandria, in “Rassegna economica della provincia di Alessandria”, 1 (2004), pp. 50-53.
10 Nel 1920 un comitato civico, promosso dalle organizzazioni di sinistra, allora allo zenit del successo, promosse la costituzione di una società cooperativa presieduta da Carlo Zanzi la quale, con il sostegno anche finanziario del Comune, acquistò per £ 177.500, con pagamento diluito in dieci anni, il Teatro Verdi che divenne Teatro del Popolo. In una casa adiacente fu allestita una biblioteca con “Scuola di cultura”. Il programma di spettacoli del teatro proponeva opere liriche, prosa, operette, concerti, con biglietto unico a modico prezzo. Memorabile l’esibizione, il 1° novembre 1920, di Arturo Toscanini con l’orchestra italiana dei giovani (Lucio Bassi, Teatri e teatro in Alessandria, Alessandria, Comune, s.d., pp. 122-129).
11 I socialisti riformisti e quelli autonomi ottennero a loro volta il 6,45% e il 4,25%.
12 Il blocco giolittiano ottenne nella circoscrizione il 30,83%, il partito popolare arrivò al 25,02%, il neonato partito comunista raggiunse il 14,30% dei voti.
13 Alberto Ballerino, L’idea e la ciminiera, cit., p. 79.
14 Archivio di Stato di Alessandria, fondo Ascal, serie III, b. 1837.
15 Antifascisti nel casellario politico centrale, Quaderno n. 19, Roma, Anppia,1995, p. 267.
16 All’epoca era segretario federale Natale Cerruti che negli anni 1939-1940, all’epoca di Ettore Muti, fu vice segretario del partito nazionale fascista.
17 Il riferimento è al periodo del delitto Matteotti, il cui cadavere fu rinvenuto il 16 agosto 1924 nella macchia della Quartarella, lungo la via Flaminia, a Riano.
18 Nicola Basile, che era anche corrispondente del quotidiano “Avanti!”, in un libro di ricordi cita solo l’aggressione del 2 dicembre 1922 avvenuta mentre usciva da scuola. Forse, il rapporto dell’Upi millantava ulteriori gesti squadristici a maggior “merito” dei picchiatori. Nel secondo dopoguerra Basile fu apprezzato sindaco socialista di Alessandria dal 1947 al 1964.
19 Giuseppe Burzi era nato nel 1905 e, secondo le informazioni della polizia, tenne sempre un contegno poco favorevole al regime fascista.
20 Teresa Aracco nata nel 1884, socialista dall’anteguerra, neutralista, attivista della Camera del lavoro, nel 1921 fece parte del primo esecutivo della federazione provinciale comunista alessandrina schierata sulle posizioni di Bordiga. Ospitò nell’abitazione la redazione de “L’Idea Comunista” e fu arrestata nel febbraio 1923 con l’accusa di associazione a delinquere ed eccitamento all’insurrezione contro i poteri dello Stato, ma assolta per inesistenza del reato. Negli anni successivi subì ripetuti fermi e diffide (Antifascisti nel casellario politico centrale, Quaderno n. 1, Roma, Anppia, 1988, p. 265).
21 Rosa Rivera coniugata Piacentini era nata nel 1878. L’indegno episodio, purtroppo vero, avvenne nel 1923 e fu odioso anche perché l’aggressione della maestra avvenne in classe, alla presenza delle scolare atterrite e le trecce recise furono portate in trionfo per le vie cittadine, in cima ad un bastone (Nicola Basile, Il socialismo, cit., p. 59).
22 Giuseppina Fracchia coniugata Belloni, nata nel 1877, prese parte attiva alla vita politica, costituì un gruppo femminile socialista ed ebbe notevole influenza negli ambienti di sinistra (ASAL, Gab. Pref., II, b. 453).
23 Vittorio Nicola, laureato in scienze economiche e commerciali, interventista, grande invalido di guerra nel 1917, decorato di croce di guerra e medaglia di bronzo, fu tra i fondatori del fascio alessandrino, amministratore dell’Istituto case popolari e della Cassa di risparmio di Alessandria, fiduciario dei dottori commercialisti, podestà di Alessandria negli anni 1944-1945. Arrestato dopo il 25 aprile 1945, fu assolto dalla Corte d’assise straordinaria “perché i fatti non costituivano reato”. È morto nel 1966.
24 ASAL, Gab. Pref., II, b. 78.
25 Curiosamente, Duilio Remondino (1881-1971) proveniva dall’esperienza del futurismo.
26 Stellio Lozza (1906-1975) dopo il 25 aprile 1945 fu nominato Provveditore agli studi di Alessandria e l’anno dopo eletto all’Assemblea costituente per il partito comunista. Confermato nella I e II legislatura, secondo i resoconti parlamentari presentò 69 progetti di legge e intervenne 360 volte.
27 ASAL, Gab. Pref., II, b. 78.
28 Ibid.
29 Domenico Milani era nato in provincia di Frosinone nel 1875. Entrato in carriera per concorso a 23 anni, prestò servizio ad Alba, Terni, Velletri, Roma-ministero, L’Aquila, Cittaducale, Formia. Iscritto al Pnf dal febbraio 1923, fu promosso prefetto nel febbraio 1925 quando era addetto al Gabinetto del ministro dell’Interno Federzoni. Resse l’importante ufficio del personale al ministero, poi da commissario l’amministrazione comunale di Benevento. Fu prefetto di Alessandria dal maggio 1929 al maggio 1931 e svolse un’opera particolarmente attiva come presidente del Consiglio provinciale dell’economia.
30 ASAL, Gab. Pref., II, b. 78.
31 Curioso lapsus di un funzionario vecchia maniera: il nuovo nome era ministero dell’Educazione nazionale.
32 ASAL, Gab. Pref., II, b. 78.
33 Ibid.
34 Donato D’Urso, Farinacci sorvegliato speciale, in “Nuova storia
contemporanea”, XVII, 2 (2013), pp. 97-102.
35 Eolo Rebua era nato a Porto Longone (poi Porto Azzurro) nel 1878. Entrò in carriera per concorso nel 1903. Sedi di servizio: Sondrio, Ivrea, Pontremoli, Pavia, Pisa, Novara, Penne, Pistoia, Sondrio, Forlì. Nominato prefetto nel maggio 1926, svolse le funzioni a Parma, Alessandria e infine Trieste.
36 Sulle prime giunte di sinistra ad Alessandria: Guido Barberis, Il primo Comune socialista in Italia: Alessandria, in Storia del movimento operaio, del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte, II, Bari, De Donato, 1979; Pietro Gallo, La nuova Alessandria tra socialismo e liberalismo: cronaca e storia dal 1890 al 1914, Alessandria, Il Piccolo, 1991.
37 L’opera dell’amministrazione comunale socialista in Alessandria dal luglio 1914 al luglio 1920, Alessandria,Comune, 1920.
38 ASAL, Gab. Pref., II, b. 420.
39 Ernesto Torre fu l’ultimo sindaco di Alessandria prima del ventennio fascista e il primo dopo il 25 aprile 1945. Apparteneva a famiglia israelita e prima come assessore, poi come sindaco si distinse per la politica di laicizzazione, a cominciare dal contestatissimo allontanamento delle suore
dall’ospedale, per cui ricevette aspre critiche innanzitutto dagli ambienti cattolici. Nell’aprile 1922 subì una violenta aggressione da parte dei fascisti e dopo pochi mesi fu costretto a dimettersi.
40 Sui più importanti esponenti del movimento operaio alessandrino (Ambrogio Belloni, Luigi Ceriana, Paolo De Michelis, Ercole Ferraris, Ernesto Pistoia, Umberto Recalcati, Duilio Remondino, Paolo Sacco, Francesco Tassinari, Carlo Zanzi) richiamo le voci biografiche pubblicate nell’opera in più volumi Il movimento operaio italiano, cit.
41 I socialisti unitari ottennero il 7,03% dei voti, i massimalisti il 5,71%, i comunisti il 5,21%. Fatta eccezione per il “listone” – che riuniva fascisti, ex-combattenti e liberali non giolittiani – solo il partito dei contadini ottenne in ambito provinciale un seggio con Giacomo Scotti.
42 Documento citato nel saggio di Gagliani di cui alla nota 1.
43 Umberto Recalcati orfano di padre era cresciuto nei “Martinitt”. Andato a lavorare ad Alessandria come incisore, aveva aderito al partito socialista e, nel 1919, era stato eletto deputato. Dopo l’avvento del fascismo fu licenziato dall’azienda nella quale lavorava, si mise in proprio ma fu costretto a lasciare Alessandria per sottrarsi a persecuzioni e violenze degli squadristi. Alla caduta di Mussolini rappresentò il PSI nella Camera del lavoro milanese. Dopo l’8 settembre 1943 fu arrestato e deportato a Fossoli; di lì tradotto a Mauthausen dove morì nel dicembre 1944.
44 Daniella Gagliani, Funerali di sovversivi, cit., p. 134.
45 ASAL, Gab. Pref., II, b. 491.
46 ASAL, Gab. Pref., II, b. 317.
47 ASAL, Gab. Pref. II, b. 41.
 
19/04/2015 15:31:17
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