Non
solo di nome era Angelica, del tutto paragonabile nell’aspetto all’iconografia popolare dove gli
angeli, sempre biondi, i lunghi capelli ondulati… e gli occhi cerulei rapiti
nella visione celeste, offrono ai mortali la consolazione d’una speranza ultraterrena.
Delicata
e gentile, di famiglia dignitosa ma modesta, era stata data in sposa ad un uomo
più anziano, dalla solida posizione sociale, che viveva in una bella casa al
limitare d’un piccolo bosco, una buona sistemazione per una ragazza che portava
in dote solo la bellezza. Presto però s’era cominciato a mormorare dei
maltrattamenti che il marito violento le infliggeva.
Ciò
nonostante, mai un lamento o una critica uscivano dalla bocca soave di Angelica.
Non tralasciava di mantenere linda la
casa, di dimostrare la sua abilità di cuoca, di servire in tutto, giorno e
notte, quel tiranno che non mancava di metterla alla prova: rimproveri, accuse
ed anche percosse... ma lei ritrovava il filo di se stessa nella solitudine del
bosco dove raccogliere le erbe, per preparare
efficaci pozioni, le restituiva il maltolto.
Tutti
i giorni si recava ad assistere anziani e ammalati che non potevano permettersi
altre cure, sottraendo da casa anche il cibo per i poveri. Mentre il tempo
trascorreva, la sua serenità disarmante era divenuta contagiosa al punto da sconfiggere anche il
mostro che si ammalò di rancore e cattiveria, implose nella sua anima sbagliata.
Questo diceva la gente incontrandolo per strada pallido, smagrito e incerto nel
passo. I medici consultati, non riuscendo a comprendere la natura del suo male,
si arresero ad Angelica che pareva la sola in grado di calmarlo con le sue
misteriose tisane servite con amorevole assiduità.
Mentre
il tiranno si rassegnava sempre più a lei, ne accresceva la santificazione agli
occhi dei compaesani cui la moglie non aveva sospeso le buone opere, occupando
con ciò il poco tempo libero senza prendere mai riposo.
“E’ una
santa” si cominciò a mormorare, “la
Santa del Boschetto” e poco mancava che s’inginocchiassero al suo passaggio
con la cavagna al braccio poiché le fatiche, anziché sciuparla, pareva l’illuminassero
d’una bellezza soprannaturale.
Trascorse
più di un anno prima che il tiranno s’involasse toccato dal ravvedimento
dell’ultimo istante, lasciando Angelica vedova devota agli occhi di tutti, tanto
da essere collocata in “odor di santità”…
per l’ausilio discreto dell’acqua di
colonia che lei si concedeva quando si recava in città.
Di questo lieto fine, tramandato come vero,
rimane la certezza che non sempre il progresso soccorre l’umanità: i troppo
sofisticati strumenti d’indagine, dovuti
all’accelerazione della ricerca scientifica, ben sappiamo quanto rendano impraticabile
un sì bell’atto di giustizia .