Degli interventi di Benedetto Croce in
Parlamento rimarrà memorabile per la storia italiana quello pronunciato il 27 maggio 1929 (B.Croce, Discorsi Parlamentari, a c. di M.Maggi , 2002, pp. 173-77) al
Senato, col quale prendeva netta posizione contro i Patti Lateranensi , che poi
furono approvati, tramite appello nominale, con 317 voti favorevoli su 323
votanti.
Lo stesso Croce successivamente ricorda:
“Parlai solo io contro i Patti, ma anche allora dichiarai nettamente che non
combattevo l’idea della conciliazione
tra Stato e Chiesa”… la mia posizione si riferiva all’accordo “effettuato non con un’Italia libera, ma con un’Italia
serva e per mezzo dell’uomo che l’aveva
asservita …, che compiva quell’atto per trarne nuovo prestigio e rafforzare la
sua tirannia” (op.cit. p. 185).
La chiarezza è sempre stata riconosciuta
da tutti gli studiosi come una peculiarità della grande prosa di Croce: in effetti, più chiaro di così.
Mussolini reagì con violenza, perché era
certo che il voto sarebbe stato unanime, una macchia indelebile per lui quei 6
voti mancanti, definendo Croce “ un imboscato della storia”, e credendo di trovare una contraddizione tra l’affermazione
che la conciliazione si doveva fare e il rifiuto successivo : troppo
infaustamente pragmatico il duce, per coglierne il dantesco “e il modo ancor mi offende”.
Ricordiamo in cosa consistono i Patti
Lateranensi, i quali sono tre:
Il Trattato :
lo Stato Italiano e il Vaticano si riconoscono reciprocamente Stati sovrani. Il
cattolicesimo viene proclamato religione nazionale.
Il
Concordato: stabilisce le relazioni tra
Stato e Chiesa, concedendole privilegi in materia matrimoniale, giurisdizionale
ed educativa.
La
Convenzione finanziaria: lo Stato versa
al Vaticano un indennizzo enorme per la conquista di Roma del 1870, denaro col
quale il Vaticano si ricomprò gran parte degli immobili allora confiscati.
In realtà,
lo stesso Mussolini due settimane prima del voto, disse alla Camera che
l’accordo con la Chiesa non metteva in discussione “il volto totalitario dello
Stato fascista”. Immediata fu la replica
di papa Pio XI, il quale rimarcò le libertà oggettive garantite alla Chiesa.
Aveva
ragione Croce, ricordando che il Concordato andava contro la politica
ecclesiastica dell’Italia unita sostenuta nel corso del Risorgimento anche dal
“partito nazionale-liberale-cattolico”, (Manzoni, Rosmini) e concludendo: “quel
partito, giova rammentarlo, non venne respinto e condannato dai liberali, ma
dalla Chiesa”(op.cit. p. 174).
Il dissenso
di Croce stava “ unicamente nel modo in cui è stata attuata, nelle particolari
convenzioni che l’hanno accompagnata e che formano parte del disegno di legge” (
op.cit., p. 174). Rimproverò, infatti, coloro
che avevano “salutato lietamente l’avvenimento”, in quanto da esso sarebbero
emersi “insperati ottimi effetti per l’avvenire” (p. 176)., poiché, secondo lui,
era solo un modo per “sottrarsi al
fastidioso compito, e pieno di responsabilità, di ricercare e fare
semplicemente, nel presente, il proprio dovere» (p. 176).
In sostanza
Croce condivideva il Trattato, contestando invece il Concordato e la
Convenzione finanziaria. Di qui nasce la congruità del giudizio PARIGI VAL BENE
UNA MESSA (op.cit. p. 177), e Croce si
schiera dalla parte della Messa e non di Parigi., perché la Messa riguarda la
coscienza, Parigi la politica, e per Croce l’Etica sta sopra la politica.
Caspita, com’è attuale questa convinzione:
“il fine giustifica i mezzi” (penso alla tolleranza del nostro Stato verso i
mafiosi che gli consentono di eliminare i rifiuti nocivi, inquinando l’ambiente
in modo irreversibile, alla sentenza della Cassazione, vergognosa e insostenibile
anche sul piano giuridico, della prescrizione sul caso Eternit, della
prescrizione di fatto sui disastri della Montedison alla Fraschetta, denunciati
già nel 1982, sulla cappa che incombe a Sezzadio e a Predosa , sull’amianto
sparso dagli scavi del Terzo Valico ecc,) su cui si è incistato un equivoco
plurisecolare: Machiavelli constata la validità del giudizio nell’azione dei
politici spregiudicati, ma non lo condivide eticamente (basti pensare alla
“Mandragola”, la cui morale, neanche tanto implicita - il significato della
commedia non è l’inganno subito dal marito fesso, ma la corruzione di Lucrezia
- rovescia quella del “Principe”).
Secondo
Croce dunque con i Patti Lateranensi si sarebbe creato un danno alla laicità
delle Istituzioni: “ Per questa ragione un responsabile della cosa pubblica,
all’altezza dei suoi compiti, avrebbe avuto il dovere di mantenere il
separatismo liberale, giungendo a una conciliazione senza la pattuizione
concordataria.” (Menozzi 2016).
Mussolini, e gli avvenimenti successivi lo
hanno dimostrato, in caso di eventuali
contrasti ( si pensi alla fascistizzazione della gioventù italiana, che
comportò la cancellazione degli scout cattolici, e le limitazioni all’Azione
cattolica, confinata al solo ruolo “liturgico”) sostenne e applicò la
superiorità dello Stato sulla Chiesa. “Senza dubbio il duce aveva ribadito,
nelle convulse trattative che precedettero lo scambio delle ratifiche dei
Patti, quel nesso tra i due documenti che già all’indomani della firma dei
Patti aveva indicato come tratto essenziale dell’intesa: simul stabunt aut
simul cadent (insieme staranno o insieme cadranno)” (Menozzi).
Per Croce
invece, oltre a coloro che preferiscono Parigi alla Messa, ci sono anche gli
altri per i quali la Messa è un fatto di coscienza, cui non si può abdicare a
favore di Parigi (op, cit, p. 177). Ma
la colpa è anche della Chiesa, la quale, firmando i Patti Lateranensi, ha
rinunciato “alla superiorità che spetta alla religione e alla morale, discendendo
al livello di uno stato tra gli stati» e ritornando a operare sul piano
politico e con i mezzi tipici della politica come le «astuzie» e le «menzogne»
(Stato e Chiesa (a proposito dell’art. 7 ,«Risorgimento liberale», 21
marzo 1947, citato da Menozzi).
Inoltre
Mussolini, con la sua spregiudicatezza pragmatica, si servì a piene mani dei
Patti Lateranensi, per guadagnare al fascismo il favore dei cattolici moderati,
acquistando una specie di legittimazione religiosa: il mito dell’uomo della
Provvidenza.
l’11 marzo 1947 all’Assemblea Costituente, Croce affermò che “l’opera non è felicemente
riuscita» (op.cit.,p. 183)., osservando che i tre partiti al governo, invece di garantire a
tutti i cittadini italiani “la sicurezza del diritto e l’esercizio della
libertà” (p. 185), “ hanno messo capo ad un reciproco concedere ed ottenere,
appagando alla meglio o alla peggio le richieste di ciascuno” (p. 184). La «prova diretta» (p. 185), a suo
condivisibile parere, era l’inclusione dei Patti Lateranensi nell’ articolo 7
della Costituzione: un compromesso tra PCI e Democrazia cristiana, a causa della
contraddizione originaria: non vi poteva
essere nulla in comune tra la Costituzione di uno Stato e un trattato tra Stato
e Stato. Questo «scandalo giuridico» (p. 186) era poi aggravato dall’assunzione
da parte italiana di un obbligo unilaterale: l’impegno a non modificare l’articolo
in questione del testo costituzionale senza il consenso preventivo del Vaticano
(Menozzi).
Ci penserà
Craxi a peggiorarlo ulteriormente.
Per scrivere
questa “lezione scolastica”, mi sono basato sul saggio “Croce e il Concordato”,
scritto nel 2016 dal prof, DANIELE MENOZZI, allievo di Alberigo e di Miccoli,
ora docente alla Normale di Pisa.
Elvio bombonato