Giornata della memoria. Quale “preghiera” nei Lager?
Rivolgo
questa domanda a coloro per i quali la Giornata della Memoria non è solo un
impegno istituzionale, ma anche a coloro per i quali lo è.
Intanto
ricordo che il 27 gennaio 1945 non si sono aperti i cancelli di tutti i Lager
ma solo quelli di Auschwitz, e che la gran parte
dei
poveri dannati di questo Lager continuarono a morire nelle “marce della morte”
o nel nuovi Lager raggiunti dopo tante sofferenze.
L'ultimo
Lager liberato, infatti, è stato Mauthausen, 5 maggio 1945.
Ho
voluto ricordare le date, per sottolineare il lungo periodo in cui una
conoscenza superficiale dei fatti può far pensare tutto come finito a gennaio,
invece il 25 aprile, giorno felice della Liberazione dell'Italia, moltissimi
deportati e deportate italiani-e continuavano a essere schiavi-e e a morire,
anche dopo il 5 maggio, per le conseguenze della terribile prigionia.
Va
bene, ora sarete voi a domandarmi: che c'entra la premessa col titolo? Niente,
non c'entra niente, o forse sì, forse voglio farvi considerare i tempi, i mesi,
gli anni precedenti, insomma, diciamo che intendo dilatare la Giornata, quanto
decidete voi, naturalmente in rapporto alla molta vita altra che occupa e deve
occupare il vostro tempo, e anche il mio.
Può
succedere, però, che per coinvolgimento, per interesse, per vacanza o lavoro,
passiate da lì, e vi accada di visitare uno di questi Lager.
Sono
molti visitabili sugli ex territori del Reich, e in ognuno di essi, tutti
luoghi in cui ogni granello di polvere è sacro, esiste un cuore, un luogo più
coinvolgente, quello in cui ci si deve fermare in silenzio, raccogliere ogni
emozione e poggiarla piano, sul muro, sulla teca, sulla lapide di marmo inciso,
sul camino, sul cumulo di ceneri, sull'evocazione di una grande graticola-fossa
comune, e magari senza sentirvi ancora assolti, la mente che preme nel voler
dire qualcosa, a voce alta, in coro se non si è soli, e quasi sempre non si è
soli.
Ecco,
ecco dunque la mia risposta alla domanda, quella che mi ha dettato l'esperienza
di innumerevoli visite, ma soprattutto il racconto di mia mamma e mio papà, dei
loro raccoglimenti accanto al crematorio di Gusen, insieme ai compagni che ne
sono scampati, come mio papà, ma soprattutto a quelli che ha inghiottito, come
mio zio Vittorio, fratello di mamma.
Con
loro c'era sempre Quinto, che ha scritto in versi la storia del suo calvario, e
lì ne recitavano in coro alcuni, occhi lucidi e veri singhiozzi, pochi luoghi
al mondo così intensi.
Ho
copiato da loro, nessun dio in quei luoghi, chi ci crede preghi pure il suo, ma
per favore in silenzio, si fatica lassù a pensarne uno buono, eppure una
“preghiera” è necessaria, direi doverosa, e allora ecco la poesia di Quinto, da
leggere là, ma anche, se volete, in coro, alla fine di ogni evento della
Giornata della memoria, ovunque esso si svolga.
Fumo e aria
Quante volte
ti ho guardato,
sempre uguale,
sempre fumante,
nelle notti
buie, in quelle chiare,
nei giorni bui
senza fine.
Come ti ho
odiato
camino
maledetto,
quante madri
hanno aspettato invano,
quante vedove
hai fatto,
quanti orfani
hai lasciato.
E tu lassù
troneggiavi sul Campo
lugubre.
mostruoso,
nero segno
della barbarie nazista.
Fumavi, fumavi
ininterrottamente,
il fumo usciva
denso, grigio
saliva verso
il cielo,
sempre più in
alto.
Il calvario
era finito, compagni,
l'aria era il
vostro nuovo mondo
la vostra
nuova patria.
Da allora io
amo l'aria,
adoro l'aria,
parlo
all'aria,
accarezzo
l'aria,
bacio l'aria.
Quinto Osano
Quinto Osano è nato a
Torino nel 1925, alla Barriera di Nizza. cresciuto in ambiente antifascista è
rimasto orfano in giovanissima età ma è vissuto nel ricordo e
nell'insegnamento del padre. Arrestato nel marzo del 1944 in valle di Lanzo,
dove era entrato nelle formazioni partigiane, fu deportato a Mauthausen, poi a
Gusen I
(trasporto 34).
Io
di solito nei miei viaggi visito più Campi, e allora non leggiamo solo Fumo e
aria, ma anche altre poesie, ve ne cito alcune:
Olocausto dimenticato
Silenzio, desolazione, notte
oscura
il cielo è cupo, pesante di silenzio!
Aleggia nell’aria le nenia
della morte!
Da queste pietre, grigie pietre,
da ogni cornice, dalle cornici infrante,
esala disperazione di sangue e lacrime.
Il mio spirito s’impiglia nel
filo spinato.
E la mia anima s’aggrappa alle sbarre,
prigioniera in casa nemica!
Chi sono?
Nessuno! Solo ombre,
nebbia! Nebbia che per abitudine è rimasta
prigioniera della più grande infamia
della storia dell’uomo.
(Paola Schopf)
Voi che sapete
O voi che
sapete
sapevate
che la fame fa luccicare gli occhi
che la
sete li offusca
O voi che
sapete
sapevate
che si può vedere sua madre morta
e restare
senza lacrime
O voi che
sapete
sapevate
che al mattino si vuole morire
che alla sera si ha paura
O voi che sapete
sapevate che un giorno è più di un anno
un minuto più di una vita
O voi che sapete
sapevate che le gambe sono più vulnerabili degli occhi
i nervi più duri delle ossa
il cuore più solido dell’acciaio
sapevate che le pietre del camino non piangono
che c’è una sola parola per lo spavento
una sola parola per l’angoscia
sapevate che la sofferenza non ha limiti
l’orrore non ha frontiere
Lo sapevate
voi che sapete
(in: Charlotte Delbo, Aucun de
nous ne reviendra, Paris, Les Éditions de Minuit, 1970)
MAUTHAUSEN – GUSEN, febbraio 1945
Qui spesso mi domando
se al
mondo esistano ancora
giardini
fioriti,
bambini
paffuti e frutti canditi,
lampadari
di cristallo,
carretti
di arance e feste da ballo.
Se ancora
ci siano
profumi e
sapori,
belle
ragazze e film a colori.
Suoni di
campane,
vestiti
di seta e musiche lontane…
Se
esistano ancora
castelli
incantati,
camini
accesi e campi sconfinati…
O se
abbiano diviso tutta la terra
in tanti
quadrati,
circondati
da reticolati,
dove
uomini incolonnati
camminano
disperati
con gli
zoccoli e lo sguardo nel fango!
LODOVICO BARBIANO DI BELGIOJOSO
CANTO DEI MORTI INVANO
Sedete e contrattate
A vostra voglia, vecchie volpi argentate.
Vi mureremo in un palazzo splendido
Con cibo, vino, buoni letti e buon fuoco
Purché trattiate e contrattiate
Le vite dei vostri figli e le vostre.
Che tutta la sapienza del creato
Converga a benedire le vostre menti
E vi guidi nel labirinto.
Ma fuori al freddo vi aspetteremo noi,
L'esercito dei morti invano,
Noi della Marna e di Montecassino
Di Treblinka, di Dresda e di Hiroshima:
E saranno con noi
I lebbrosi e i tracomatosi,
Gli scomparsi di Buenos Aires,
I morti di Cambogia e i morituri d'Etiopia,
I patteggiati di Praga,
Gli esangui di Calcutta,
Gl'innocenti straziati a Bologna.
Guai a voi se uscirete discordi:
Sarete stretti dal nostro abbraccio.
Siamo invincibili perché siamo i vinti.
Invulnerabili perché già spenti:
Noi ridiamo dei vostri missili.
Sedete e contrattate
Finché la lingua vi si secchi:
Se dureranno il danno e la vergogna
Vi annegheremo nella nostra putredine.
Primo Levi 14 gennaio 1985
@ primarosa pia
21 febbraio 2017