Valentino Parlato e il MANIFESTO. Il valore dell'eresia
Valentino Parlato ci
ha lasciati; lo ha fatto con la riservatezza e con la umiltà che aveva
contraddistinto il suo modo di fare politica e giornalismo e di ‘abitare’ la
scena pubblica. Molti ora scriveranno necrologi più o meno lunghi,
frettolosamente ripercorreranno la sua vita di impegnato militante comunista,
della sua passione per la carta stampata e per le polemiche garbate ma
nondimeno acute e anticonformiste.
Poi calerà anche su
di lui rapidamente l’ oblio, come è stato per tanti altri ed è stato per un
altro grande del Manifesto, Lucio Magri, e la dimenticanza, anche interessata
oltre che distratta, seppelirà una esperienza umana e politica senza il
beneficio di una riflessione più attenta, di una interrogazione sulla eredità
lasciata, sul senso di quella militanza comunista, se essa può superare il
tribunale della storia o se merita solo una condanna senza appello.
Chi scrive, al
contrario pensa che uomini come Magri e Parlato, Notarianni e Natoli, Rossanda
e Pintor, meritino un qualcosa che vada oltre al saluto e al tributo dovuto al
collega, il ricordo al compagno di tante battaglie.
Non è solo bava di
lumaca ciò che resta, l’ impronta dei passi nella neve. C’è una eredità da
cogliere, c’è il senso di una vicenda politica che è stata percorsa scegliendo
la rinuncia per le posizioni facili, per rendere servizio ad un ideale e alla
verità che in esso si esprimeva e permaneva, malgrado le vicende e le delusioni
che la storia dimostrava.
La storia del
Manifesto è la storia di comunisti eretici, fattisi tali non per moda, e
nemmeno per non guardare in faccia alla realtà, anzi, semmai per vedere meglio
la realtà, sia quella del capitale che del socialismo sovietico. Si trattava,
con la deviazione eretica che si posava accanto alla Chiesa appena lasciata, di
rendere evidente la gemma di verità contenuta nella realizzazione reale del
socialismo, tale realizzazione essendo importante sul piano dei rapporti di
forza quanto deludente e priva di possibili evoluzioni e sbocchi futuri.
L’ eresia era l’
atteggiamento che consentiva di non arrendersi alla situazione maturata, non a
quella del socialismo imperante e nemmeno alla società liberale, così
rispettosa solo della libertà della grande proprietà privata. Per questo gli
eretici del Manifesto non hanno abiurato alla caduta del Muro, ma hanno
continuato ad analizzare l’ evoluzione sociale cercando una via nuova per
liberare il nocciolo di questioni racchiuse nella rivoluzione di Ottobre e che,
ancora, non avevano trovato tutte le risposte adeguate.
L’ eretico è infatti
colui che ha cura della casa, che ne salvaguarda le possibilità di evoluzione e
di ristrutturazione, modifica e taglia le parti inservibili, ricostruisce su
nuovi terreni se necessario, aggiunge nuove cose che arricchiscono la vecchia
abitazione. Ma sopratutto l’ eretico innova e rifonda, ma non abbandona l’ idea
della casa originaria quando tutti ormai la condannano all’ oblio. L’ eretico
resta in ricerca costante, mai fermo e mai domo.
Luciana Castellina,
nel ricordare nel 2009 la nascita del gruppo politico appena radiato dal PCI,
affermo’ significativamente: “ Venivamo da una esperienza, meno ‘lineare’ della
nuova sinistra, a cavallo fra movimento operaio tradizionale e nuovi movimenti.
La nostra anomalia è stata lo sforzo a capire la complessità, il nuovo
capitalismo maturo e le sue miserie, la critica alla modernità, per un’ idea di
libertà con radici più profonde dell’ individualismo radicale.”
E quelle radici più
profonde, basate su un altro concetto della libertà, rispetto a quella
liberale, servivano a ricostruire la casa comune con fondamenta più solide, al
fine di reggere il corpo pericolante soprastante. Nelle tesi per il comunismo
del 1970 è chiaro l’ intento di non rifugiarsi nella mera utopia, ma di leggere
quella necessità storica del comunismo, della presenza delle condizioni
strutturali perchè esso crescesse, ma al tempo stesso l’ impossibile garanzia
che esso potesse manifestarsi per deterministico e fatale svolgimento degli eventi.
Senza costruzione di un nuovo progetto politico la miseria del presente, del
capitale, avrebbe vinto ad ovest e ad est. E così è stato.
Alcuni sacerdoti del
tempio, altrimenti, hanno accettato la società senza più cercare di cambiarla,
hanno avallato l’ alleanza con l’ impero costantiniano, non potendo più
conservare lo spirito della Chiesa originaria; altri, vedendo tutte le speranze
della discesa della città di Dio in terra deluse, hanno preferito l’
eremitaggio e l’ abbandono, cercando la verità in sè stessi, oppure la
restaurazione della setta che si muove nelle prime catacombe, cercando di
raggiungere una primigenia purezza, come se questo fosse possibile ed
auspicabile.
Gli eretici alla
Magri e Parlato, più prosaicamente, hanno rifiutato l’ adagiarsi alle cose
date, l’ abbraccio fra altare e corona, per vedere meglio il frutto originale
che era contenuto nella prima ispirazione comunitaria, perchè esso fosse
salvato e continuasse ad agire nella realtà, anche come estrema minoranza, ma
con semi buoni e capaci di dare di nuovo frutto.
L’ eresia è sempre
temuta e disprezzata, ma quando essa salva una verità preziosa che i più
sembrano ormai dimenticare, una verità che non può essere spezzata dal realismo
del potere e dalla voglia di accettare il mondo giustificandolo come esso è e
si è formato, allora c’è una eredità che è lasciata sul terreno e va raccolta.
La realtà non va
accettata per come è, se essa continua a portare in sè stessa l’ ingiustizia e
se la contraddizione scava incessantemente determinando nuove disastrose crisi,
e aprendo congiunture inaspettate.
L’ eretico è il
riformista di una chiesa malata e adagiata sulla necessità. Inoltre, l’ eretico
ha dimostrato più lungimiranza quando ha sostenuto che le ragioni del
cambiamento si sarebbero dimostrate capaci di lasciare un seme pur in mezzo
alle sconfitte e all’ opportunismo dei chierici. La Chiesa di Costantino è
ricca ma vuota, gli eretici hanno la ricchezza del futuro perchè hanno colto il
nucleo di verità in una storia fatta di slanci importanti e sacrifici, come di
errori e sconfitte.
Abbiamo bisogno di
rileggere la lezione politica e umana di chi ha dato vita alla esperienza del
Manifesto. E’ una eredità indispensabile per la rinascita della sinistra nel
nostro paese.
02/05/2017 Filippo Orlando