I sindacati CGIL, CISL e UIL, hanno indetto un referendum con il quale chiedevano ai dipendenti Alitalia (circa 11.000) di approvare o respingere il pre-accordo che prevedeva la riduzione degli esuberi del personale di terra di 980 unità e la riduzione degli stipendi del personale navigante dell’8%. I lavoratori hanno respinto l’accordo.

L’intesa era stata raggiunta dopo una lunga trattativa e costituiva la pre-condizione per la ricapitalizzazione di 2 miliardi di euro che gli azionisti di maggioranza Unicredit e Banca Intesa Sanpolo insieme a Etihad (che detiene il 49%.), avevano garantito in cambio di un SI dei lavoratori e di una garanzia statale di 300 milioni di euro tramite Invitalia, garantita dal Ministero del Tesoro.

Il NO espresso dal referendum fa saltare ogni ipotesi di accordo e apre la strada alla procedura di commissariamento e alla successiva messa in liquidazione della compagnia aerea di bandiera.

Resta l’interrogativo: era giusto ricorrere al referendum mettendo nelle mani dei 11.000 dipendenti dell’Alitalia il destino di un’azienda che serve un’utenza di oltre 23 milioni di persone l’anno, con un’importanza strategica per i collegamenti interni ed internazionali e per le ricadute che detti collegamenti determinano sul nostro turismo e sulla nostra economia?

Ci sono scelte strategiche d’importanza nazionale che non possono essere subordinate alla volontà di gruppi ristretti anche se direttamente interessati. In questi casi, per supplire ad eventuali disagi si deve ricorrere agli ammortizzatori sociali, ma non portare al fallimento un’azienda di quelle dimensioni e di quell’importanza.

Su questo aspetto i sindacati devono dimostrare maggiore responsabilità. Di fronte alle grandi trasformazioni economiche ed organizzative in atto a livello internazionale, non basta invocare la partecipazione democratica della base! Bisogna delineare una strategia credibile che risulti anche vincente a livello operativo e consideri in primo luogo l’interesse generale. La scelta fatta dai sindacati di sottoporre a referendum l’intesa raggiunta, forse con la riserva mentale di puntare alla nazionalizzazione della società, è risultata purtroppo perdente per loro, per i lavoratori e per il paese.

                                                                          Alfio Brina