Scritta nel 1964, appartiene
al primo De Andrè, dalla ballata dell’eroe alla canzone di Marinella, Città
vecchia, chiude con Geordie. Pure questa
è una ballata, narrativa perché racconta, come provato dalla musica, un ritmato
popolare, cadenzato, solo chitarra col crescendo e diminuendo della voce, il
timbro, inconfondibile, profondo e insieme caldo, di Fabrizio si impenna nel
parlato (i tre monologhi interiori di Piero).
I testi di Fabrizio sono
scritti con la musica non per la musica, si dividono in autonomia (Roberto
Cotroneo).
Il narratore sceglie il
presente storico come tempo dominante: si tratta del presente indicativo usato
per descrivere avvenimenti del passato (adoperato per es. da Primo Levi per i suoi
due primi romanzi: Mengaldo); il narratore avverte Piero e lo consiglia in tono
concitato ; a metà, poco prima
dell’incontro col soldato “nemico”, e nell’ultima parte, compare il passato
remoto, tempo ineluttabile, di un fatto avvenuto nel passato, ormai finito. La strofa finale è uguale a
quella iniziale: si tratta dunque di un’analessi chiusa. L’ascoltatore sa fin
da subito che Piero e morto, soldato. La
prima guerra mondiale? Fabrizio non
precisa, come ne “La ballata dell’eroe”.
Piero diventa l’ emblema pacifista -antimilitarista dell’assurdità della
guerra.
I versi sono
endecasillabi; la strofa scelta, il
distico raddoppiato in quartine; rima
dominante quella baciata AA BB (come Pascoli ne “La cavalla storna”), con le sole eccezioni della seconda strofa a
rima incrociata CDDC e del secondo monologo interiore Sintassi piena, che usa ipotassi e paratassi
(subordinate e coordinate).
Dormi sepolto in un campo di
grano
non è la rosa non è il
tulipano
che ti fan veglia dall'ombra
dei fossi
ma son mille papaveri rossi.
"Lungo le sponde del mio
torrente
voglio che scendano i lucci
argentati
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla
corrente."
Così dicevi ed era inverno
e come gli altri verso
l'inferno
te ne vai triste come chi deve
il vento ti sputa in faccia la
neve.
Fermati Piero, fermati adesso
lascia che il vento ti passi
un po' addosso
dei morti in battaglia ti
porti la voce
"Chi diede la vita ebbe
in cambio una croce"...
Ma tu non lo udisti e il tempo
passava
con le stagioni a passo di
giava
ed arrivasti a varcar la
frontiera
in un bel giorno di primavera.
E mentre marciavi con l'anima
in spalle
vedesti un uomo in fondo alla
valle
che aveva il tuo stesso
identico umore
ma la divisa di un altro
colore.
Sparagli Piero, sparagli ora
e dopo un colpo sparagli
ancora
fino a che tu non lo vedrai
esangue
cadere in terra e coprire il
suo sangue.
"E se gli sparo in fronte
o nel cuore
soltanto il tempo avrà per
morire
ma il tempo a me resterà per
vedere
vedere gli occhi di un uomo
che muore".
E mentre gli usi questa
premura
quello si volta, ti vede e ha
paura
ed imbracciata l'artiglieria
non ti ricambia la cortesia.
Cadesti in terra senza un
lamento
e ti accorgesti in un solo
momento
che il tempo non ti sarebbe
bastato
a chiedere perdono per ogni
peccato.
Cadesti in terra senza un
lamento
e ti accorgesti in un solo
momento
che la tua vita finiva quel
giorno
e non ci sarebbe stato un
ritorno.
"Ninetta mia crepare di
maggio
ci vuole tanto troppo coraggio
Ninetta bella dritto
all'inferno
avrei preferito andarci in
inverno."
E mentre il grano ti stava a
sentire
dentro alle mani stringevi un
fucile
dentro alla bocca stringevi
parole
troppo gelate per sciogliersi
al sole.
Dormi sepolto in un campo di
grano
non è la rosa non è il
tulipano
che ti fan veglia dall'ombra
dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.
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Dormi: “Dormono sulla collina” : Spoon River
Antology; anche il sonetto di Rimbaud “Chi dorme nella valle”.
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Non: anafora per sottolineare.
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Papaveri rossi: fiori umili ed effimeri, però cangianti; mille:
iperbole.
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Lucci/cadaveri: antitesi, sottolineata dall’agg. qualificativo
argentati, in rima con soldati.
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Portati in braccio
dalla corrente: analogia, metafora
forte.
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L’inferno: metafora usuale per indicare la guerra.
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Sputa la neve: verbo semanticamente rilevato, per annunciare
l’orrore che sta arrivando.
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Fermati Piero: imperativo, comando del narratore a Piero,
affinché non rischi la vita, ribadito dall’anafora. Allitterazione insistita della sibilante s,
per sonorizzare.
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Passava: imperfetto durativo, esprime il passato nel
suo svolgimento.
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Passo di giava: ballo in voga negli anni ’20; paragone a
forma di similitudine breve implicita.
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Frontiera/primavera: rima in antitesi.
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Con l’anima in
spalle: analogia, l’anima dentro lo
zaino, correlativo oggettivo della sua alienazione.
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Stesso identico: raddoppiamento, per sottolineare.
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Sparagli
Piero: nuovamente il narratore comanda e
gli ordina di sparare per primo. Ancora ribadito dall’anafora. Verbo onomatopeico (esprime un suono),
grammaticale.
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Esangue/sangue: rima perfetta sia sul piano metrico sia del
significato.
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E se gli
sparo: la dubitativa esprime la perplessità
di Piero, alieno rispetto alla violenza; monologo interiore di Piero.
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Premura/paura;
artiglieria/cortesia: rime in antitesi. Il “nemico” spara perché preso dal panico.
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Quello si volta,
ti vede, ha paura: l’asindeto (le
virgole) per velocizzare l’azione, anche con la scelta dei monosillabi e dei
bisillabi.
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Cadesti: anafora a distanza, di due versi, per
indicare la simultaneità dell’atto e dei pensieri (monologo interiore).
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Ninetta: la
ragazza dell’alpino, alcune canti della
prima guerra mondiale.
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Tanto,
troppo: dittologia (2 parole al posto di
una) sinonimica.
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Crepare…inferno: parole forti, attutite da maggio e bella, di
segno positivo; anacoluto dovuto alla sintesi sintattica propria del monologo
interiore, e anche al momento che precede la morte.
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Il grano ti stava
a sentire: metafora, per spostamento di
campo semantico, dall’agricolo al sentimento di Piero morente.
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Dentro…stringevi: anafora per ribadire.
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I due distici
prima della ripresa finale, sono marchiati dall’allitterazione delle dentali t
(sorda) e d (sonora), per ottenere un ritmo serrato.
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Parole gelate…sole: sinestesia a tre sensi: udito tatto vista.
E’ opportuno rilevare come nelle quartine spesso troviamo una consonante
dominante che ne orienta il timbro. Del
ritornello già detto; la prima strofa ha di nuovo la dentale, per un effetto di
martellamento (vedi Ungaretti: “Veglia” , “Fratelli”, “Sono una creatura”);
nella seconda la costrittiva labiodentale sonora la v, e sorda la f producono
un clima di inquitante attesa ; nella terza la sibilante costrittiva alveolare
spirante sorda s un sottofondo sonoro prolungato, quasi un Leitmotiv; nella
quarta lo stesso; nell’ottava l’ occlusiva nasale m collabora a rendere
l’affanno; nella nona lo stesso; nella decima l’occlusiva alveolare sonora n
procura l’ affannoso martellamento dell’agonia;
nell’undicesima lo stesso; nella dodicesima il digramma tr sottolinea la
sgradevolezza insensata della morte di Piero
Questa non è una canzonetta, come dicevano sprezzanti i nostri avi, e
anche l’autoironico Bennato e pure Guccini quando afferma perentorio “a canzoni
non si fan rivoluzioni”. Questa è una
poesia, degna di essere annoverata tra le grandi del nostro Novecento.
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Elvio
bombonato
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