Da qualche anno ormai in gruppo
leggiamo “la Commedia “ di Dante.
Siamo accompagnati da uno
scrittore – Gianni Vacchelli - che molto cibo ci offre ogni volta, così che
ogni volta qualche etto in più ce lo mettiamo su!
Nell'ultimo nostro incontro mi
ha profondamente toccato ( e lo dico senza retorica ) il tema su cui abbiamo
posto attenzione, quello della lingua, della sua forma e del suo cambiamento.
Le parole di Gianni a questo
proposito, parole che ho sentito uscire dalle sue viscere, profondamente vive e
sincere, parole sollecitate dalla difficile comprensione della sua scrittura (
per molti, ma non per tutti naturalmente ), denunciano - a mio avviso - uno dei
punti cruciali del nostro tempo: l'esilio dell'etica.
Gianni ha detto, in un tono che
conteneva e contiene tutto il dolore del non essere compreso nel giusto modo (
per una scrittura per i più difficile) e tutta la convinzione che comunque
quella è la strada: sì, la mia è una scelta politica.
E su queste parole mi sono
soffermata, parole che aprono al nostro tempo domande inquietanti ma
necessarie: quanto il nostro pensiero e la nostra azione contengono questa
dimensione dell'essere che siamo, dimensione che grazie a Dante possiamo
riprendere e riaccendere di quel fuoco sacro necessario a rimettere al centro
il centro della vita?.
E non è certo a caso che
stamane, sulle pagine della Lettura, mi sono soffermata su un breve testo (una
colonna, pagina 16) di Demetrio Paolin che titola: i dimenticati degli
anni 90.
Il tema è proprio la lingua e
la sua forma e prende l'avvio con l'annuncio dell'uscita in questi giorni per
Enaudi di un piccolo libro di Dario Voltolini dal titolo Pacific
Palisades, complice lo spettacolo che verrà portato in scena da
Alessandro Baricco. Il libro ha avuto un ottimo riscontro sui giornali e questo
denuncia quanto si continua a pubblicizzare quel e chi fa già parte
dell'immagine collettiva( l'immaginario è ben altra cosa ), tralasciando invece
le cose di interesse che, invece della firma, hanno nome. E qui ci sarebbe da
aprire un'altra riflessione, che ora tralasciamo proseguendo nel nostro
discorso sullo scrivere.
Come mai, si chiede l'autore
dell'articolo, sono stati completamente dimenticati alcuni importanti scrittori
degli anni 90, tra cui Voltolini è uno dei maggiori, dimenticanza che
comprende anche Marco Drago o Giulio Mozzi ? Autori tutti, questi, che
hanno portato innovazioni negli anni 90, dal punto di vista narrativo forme e
strutture nuove, un immaginario diverso che poi si è standardizzato non
portando più in luce novità così sostanziali.
L'ipotesi di Paolin è "che
la dimenticanza verso certi autori sia imputabile alla loro natura di scrittori
più legati alla lingua e alla forma, che non alla storia e alla trama. Questa
tensione a concentrare tutto nel rapporto lingua-forma, è un segnale
disturbante e fastidioso. Perchè sostenere che ogni scrittura "è
forma" equivale a ribadire che ogni problema di lingua è un problema
etico. E poichè la scrittura è l'attività etica per eccellenza, il piccolo
mondo moralista delle patrie lettere ( avevo scritto false lettere al posto di
patrie lettere ! meraviglioso lapsus freudiano ) ha preferito l'estromissione
temporanea dal canone di alcuni dei nostri maggiori scrittori,
dimenticandosi però che"la lingua, come l'anguilla montaliana" risale
in profondo, sotto la piena avversa" e infine ritorna e " accende il
guizzo in pozze d'acquamorta".
Ecco che ritorna anche
nell'articolo il Montale di cui abbiamo parlato attraverso Dante, illuminando i
due rami in cui la scrittura e la sua forma hanno trovato casa; chi seguendo
Dante-( come Montale -con una scrittura di carne, di "cosa" e
il ramo che ha seguito la forma di Petrarca, come Ungaretti per esempio,
scrittura meno carnale, più immaginativa.
La colonnina di questo articolo
è nel bel mezzo delle due pagine di Alessandro Piperno che si chiede: Che cosa
distingue i romanzi di Bellow dai suoi saggi? NULLA, è la sua risposta.
Risposta che condivido e che
riscontro anche negli scritti di Gianni, romanzi o saggi che siano, dove quello
che emerge e che anche Bellow suggerirebbe ad un giovane scrittore è
l'entusiasmo: ENTUSIASMATI ! I grandi romanzi sono figli di grandi
entusiasmi, così come chi scrive vorrebbe essere letto da tutti !
Smetterla con la solfa
dell'artista pensoso gravato dal male del vivere ( che anche c'è in ognuno ) ma
quel che riaccende il fuoco di cui ogni cosa ha bisogno è la passione,
l'entusiasmo è "saper godere del tuo giardino" scoprendo in questa
passione anche diverse cose in comune con i criminali.
Cosa ad esempio ?: forse-
scrive Piperno e condivido entusiasmaticamente - l'insofferenza verso ogni tipo
di filisteismo borghese .