Lampedusa, un ricordo ....
…Ricordo anche i
compagni Giovanni Nicolini e Martello, padri di due nostri sindaci,
rispettivamente di Giusy Nicolini e di Totò Martello… Oggi, Giusy e Totò vivono
i loro ruoli importanti in maniera contrapposta, ma in passato, insieme, hanno
fatto grandi cose… Capirete, perciò, che a me fa male assistere a questo
scontro duro fra due nostri "ragazzi" della Fgci di Lampedusa, in
gran parte dovuto a una diversità di vedute sulla questione dell’accoglienza
agli immigrati!...
1... Ogni qual volta che leggo o sento il
nome “Lampedusa” in me ritornano lontani ricordi e immagini di quest’isoletta
sperduta nel Mediterraneo, più vicina all’Africa che all’Europa.
Si era verso la fine degli anni ’60 del
secolo trascorso. Lampedusa era povera e negletta e anche un po’ diffamata.
Era un’isola remota, spoglia; dall’alto appariva come una “pietra” arida e
piatta affiorata (o gettata) nel Mediterraneo, dove nessuno voleva andare.
Nemmeno i dirigenti della federazione comunista di Agrigento cui l’isola si
riferiva per appartenenza territoriale.
Bisognava fare un viaggio disagevole, talvolta perfino avventuroso, sopra una
vecchia nave che spesso non partiva "causa maltempo”.
E poi a Lampedusa, per noi, c’erano
soltanto quattro voti presidiati da quattro eroici compagni, veramente devoti
alla Causa, i quali, senza mezzi e senza nemmeno i “conforti” politici (stavo
scrivendo “religiosi”) della federazione, dovevano contrastare il predominio
assoluto di una DC arrogante, clientelare al massimo che nell’isola faceva il
bello e il cattivo tempo e raccoglieva percentuali bulgare, senza essere
“partito unico”.
Attenzione. Per centinaia di pescatori lampedusani l'andamento del tempo era
importantissimo. “Bel tempo”erano due paroline magiche.
Volevano dire, infatti, potere uscire in mare, riempire la barca di pescato e
tornare sani e salvi dalla famiglia. E non è cosa da poco!
Il “tempo bello” era talmente desiderato che i nostri dirigenti locali lo
promettevano perfino nei manifesti elettorali. In un comizio (forse del 1968),
il compagno Totò Geraci, segretario di sezione, presentandomi a quei pochi che
si erano avvicinati, concluse con uno slogan da lui ideato: “Se volete tempo bello, votate falce e
martello”. Un esempio felice di rima baciata che, però, non intenerì i cuori
dei votanti.
2... È passato tanto tempo (oltre mezzo
secolo) ma alcuni nomi li ricordo ancora. In primis, il detto compagno Geraci
il quale, una volta, addirittura, mi accolse al molo di sbarco con un'impavida
“Bandiera rossa” intonata da una striminzita banda musicale di cui era
compo-nente. Tre compagni davanti e quattro musici dietro, era questo il nostro
corteo. Una scena bizzarra, stravagante, felliniana. Ora che ci penso:
bellissima!
Tanta era la gioia di potere accogliere, finalmente, un compagno della
Federazione! Una gradita rarità che loro ricompensavano con grande senso di
fraternità, con tanta generosità. Con quel poco che c’era, naturalmente.
Ricordo anche i compagni Giovanni
Nicolini e Martello, padri di due nostri sindaci, rispettivamente di Giusy
Nicolini e di Totò Martello.
Più di una volta, andai in casa del primo a gustare gli ottimi piatti preparati
dalla sua cara moglie (e nostra altera compagna) e dal secondo,
nell’alberghetto vicino al porto, dove pernottavo (talvolta gratuitamente) e da
lui ascoltavo lunghi racconti sulla di vita di mare.
Capirete, perciò, che a me, senza entrare nel merito delle ragioni dell’una
o dell’altro, che per altro non conosco appieno, fa male assistere a questo
scontro duro fra due nostri "ragazzi" della Fgci di Lampedusa, in
gran parte dovuto a una diversità di vedute sulla questione dell’accoglienza
agli immigrati!
Oggi, Giusy e Totò vivono i loro ruoli
importanti in maniera contrapposta, ma in passato, insieme, hanno fatto grandi
cose. Ovviamente, con il concorso di tanti altri compagni, fra i quali
ricordo il professor Giovanni Fragapane, uomo di raffinata cultura e
indimenticato sindaco dell’isola.
A quel tempo, vedemmo nascere un gruppo affiatato di “vecchi” e di giovani
compagni che portarono sull’isola il vento del cambiamento ispirato dal partito
di Berlinguer, delle grandi riforme sociali e morali, il senso di un’Italia
nuova che si apriva ai diritti (nell’isola quasi del tutto sconosciuti o
conculcati) dei lavoratori, degli studenti e, in generale, delle popolazioni
meridionali.
Rifondarono il partito, ampliarono la
sua base sociale e crearono una seria forza elettorale che ci consentì, in
pochi anni, di conquistare, e mantenere (fino ad oggi), il Municipio ossia la
fortezza inespugnabile della DC.
3... Tempi difficili, quelli. Allora,
nessuno andava a Lampedusa, tranne pochi turisti durante l’estate. Per il resto
dell’anno l’isola era quasi spopolata. I giovani “emigravano” per motivi di
studio, mentre la gran parte degli adulti, provetti marinai, s’imbarcavano su
navi mercantili per mesi e mesi. La loro vita si svolgeva fra l’isola e i mari
del mondo.
Io andavo, con piacere, a Lampedusa e
anche in altri posti politicamente “disagiati”, difficili. Desideravo confrontarmi
con le difficoltà, in nome del Partito. Così come, tempo dopo, partivo per le
capitali dei Paesi arabi del c.d. “fronte del rifiuto” (Damasco, Baghdad,
Algeri e Tripoli) inviato dai dirigenti della sezione esteri del Pci che,
forse, volevano evitare incontri
diretti, “compromettenti”con gli esponenti radicali di quei Paesi che avevano
rifiutato gli accordi israelo - egiziani. Io capivo e ci andavo lo stesso. E
così ebbi l’opportunità di conoscere realtà sociali e culturali di enorme
interesse politico e d’incontrare, salutare i loro prestigiosi leader.
Chiudo la parentesi araba e rientro a Lampedusa dove andavo soprattutto
d’inverno o in primavera (per le campagne elettorali) e mi godevo l’amabilità
dei compagni e delle loro famiglie e…il vento incessante che scuoteva la quiete
irreale di quel pezzo di roccia emersa dal mare.
Oggi, Lampedusa è divenuta “appetibile”. D’estate vi arrivano (in aereo) tanti
turisti milanesi; durante tutto l’anno, sfidando le tempeste e le brutali
pretese dei vari “caronte”, vi giungono migliaia d’immigrati dai paesi più
poveri dell’Africa e dell’Asia, a bordo di “carrette” che già alla partenza
dalle coste maghrebine sembrano segnate dal teschio fatale.
Più volte, da parlamentare, mi occupai dei problemi dei lampedusani. Presentai
interrogazioni, interpellanze ai governi per tutelare i diritti degli isolani.
Soprattutto, dopo il “lancio” (vero o presunto?) dei due missili di Gheddafi.
Visitai l’Isola trasformata in presidio per il controllo delle comunicazioni
militari nel Mediterra-neo.
Il nostro “sogno” era la pace, la
cooperazione, economica culturale e reciprocamente vantaggiosa, fra l’Italia e
i Paesi rivieraschi del Mediterraneo, anche per dare un futuro di progresso al
Sud italiano, alla Sicilia, a Lampedusa.
Anche oggi, nel vivo di questa infinita “emergenza” migratoria, penso che il
futuro di quest’isola diletta è affidato al rafforzamento delle relazioni
pacifiche, alla cooperazione fra tutti i Paesi del Mediterraneo. E al “tempo
bello”…
4... Purtroppo, nelle acque del
Mediterraneo continua a svolgersi la tragica avventura di decine di migliaia di
disperati che rischiano la vita (molti la perdono) pur di raggiungere la costa
siciliana.
Nell’immaginario degli immigrati Lampedusa è divenuta l’approdo verso la salvezza
e la possibilità di un lavoro, anche a nero.
Per questo suo ruolo la piccola isola
delle Pelagie è divenuta famosa nel mondo. Soprattutto nei Paesi e nelle città
africane e asiatiche di partenza. Sicuramente, gli immigrati se ne ricorderanno
per la vita come di un luogo magico dell’approdo, in senso lato, dove si esce
dal tunnel della miseria e si spera di entrare in Europa, nell’agognato
mondo della prosperità mal distribuita. Alcuni restano in questa Sicilia
dolente, sbeffeggiata dalla mala politica e angariata dalla criminalità. In
questa realtà cercheranno, tenteranno d’inserirsi pur sapendo che trattasi di
una condizione socio-economica difficile, molto al di sotto degli standard medi
europei.
Forse, loro non sanno che anche la nuova
Europa che abbiamo sognato si ferma a Latina. Per giungere, per attraversare il
Mezzogiorno, l’U.E. deve superare una serie di posti di blocco e pagare esosi
pedaggi alle forze della conservazione affaristica e parassitaria.
In Sicilia, addirittura, vi giunge
sfinita e con lo spirito infranto, seppure carica di finanziamenti che
raramente producono nuova ricchezza e posti di lavoro e per lo più vanno ad
alimentare un sistema di potere soffocante e retrogrado.
Com’è noto, buona parte di questi stanziamenti resta inutilizzato e/o si perde
nei tortuosi meandri dell’ignavia governativa e di una burocrazia elefantiaca e
inconcludente.
Anche la classe dirigente del Paese sembra ignorare il dramma secolare che
avvolge la Sicilia. L’importante
che continui a fornire braccia e intelligenze per far girare il meccanismo
economico del centro-nord e voti moderati per bloccare e/o neutralizzare le
riforme più innovative.
Per premio hanno promesso lo zuccherino di opere e operette inutili e talvolta
immorali.
In realtà, la Sicilia
sta soffocando non per carenza di finanziamenti, ma per mancanza
d’infrastrutture veramente utili e di libertà d’impresa e di mercato che
inducono l’imprenditoria sana a scappare o a non venire… (Continua)
(dal mio libro, in corso di stampa, “Immigrazione, la moderna schiavitù” http://ilmiolibro.kataweb.it/…/immigrazione-la-moderna-sch…/)