Religiosità di Nietzsche. Il vangelo di Zarathustra
Il nuovo libro di Francesco
Roat - Mimesis/Filosofie
Tutti parlano, nessuno mi
sente cantare:
Oh, se imparaste da me il
silenzio !”
Chi può dichiarare al mondo
intero che Dio è morto, se non colui che Dio l'ha incontrato, vissuto e patito
nel profondo delle proprie viscere ?
E per parlare de “La
religiosità di Nietzsche. Il vangelo di Zarathustra”, il libro appena uscito
per Mimesis/Filosofie di Francesco Roat, mi tornano alla mente le parole di un
uomo che ha pagato con la propria vita questa “religiosità”, il giudice Rosario
Livatino, che aveva scritto nel suo diario:
“Alla fine della nostra
vita non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili”.
E chi è più credibile di chi
chiamiamo pazzo? Chi è più credibile di chi osa “delirare”, uscire da quella
linea di protezione ( la lira) oltre la quale l'ignoto ci precipita addosso
senza possibilità di indulgenza: o saprai stargli a fronte o sarai fagocitato
dalla prepotenza della forza della numinosità.
E perchè no, proprio dalla
prepotenza di quel Dio che proclamiamo morto?
Sappiamo bene che Abraxas -
il dio che contiene bene e male - apparirà in quegli anni nelle visioni e negli
scritti di altri due “pazzi “: Jung e Hesse, rivendicando nel dio la
compresenza di bene e male e l'affidamento all'umano, non della impossibile
pace dell'unità, ma della perpetua danza di un passo prima di tutto in noi
pacificato.
Francesco Roat ci ha offerto
nei suoi libri proprio questo, il coraggio di un passo inedito, dalle elegie di
Rilke ”tra angeli e finitudine” al cantore folle Holderlin, con le sue”
Poesie della torre”, dalle tracce mistiche di Robert Walser, al “Desiderare
invano “: il mito di Faust in Goethe e altrove.
E oggi ci aiuta a ritrovare
le tracce di quel Nietzsche assai poco praticato nel suo afflato religioso,
dove Roat fa emergere una spiritualità analoga a quella dei mistici d'ogni
tempo e d'ogni luogo.
Ed è soprattutto nello
Zarathustra che questa prospettiva – che condivido pienamente – si mette in
luce, dove ciò che Nietzsche profetizza morto è quel che noi oggi siamo
diventati e contemporaneamente siamo chiamati a liberare dalla schiavitù di una
parola vana.
Se lo sguardo non diviene
poetico, non sarà. Perchè lo sguardo poetico appartiene alla luce
dell'invisibile, a quello che vive e si crea solo in una relazione nascente
ogni volta che ci riscopriamo “vuoto”.
L'eccedenza di parola vana è
la casa di un io chiamato all'appello da un dio mai morto, da un dio capace di
sentirsi parte costitutiva della realtà sapendo che anche la sua essenza è
sempre nuova.
E' questo che temiamo, lasciare il Grund per l'Abgrund
: la stabilità per l'abisso.
Ed è questo che la dimensione
umana della mistica ha la facoltà di farci vedere.
Le cose sono vuote
perchè non hanno realtà autonoma, tutto esiste in funzione di, rispetto a,
dalla prospettiva di, qualcos'altro. La fisica quantistica tocca gli stessi
punti della mistica, quei punti indicibili che Nietzsche e i pazzi come lui hanno toccato; alcuni
perdendosi in quella inter-in-dipendenza di infinite connessioni in cui tutto
dipende da tutto e, pur potendo esplorare analizzare, studiare, non troverà- né
troveremo mai - il sostrato ultimo.
Non mi addentro nei molti
meandri in cui Roat ci accompagna con la sua profonda conoscenza dei testi, dei
pretesti e dei contesti in cui Nietzsche e Zarathustra hanno abitato la vita e
camminato la via; molti sono gli esempi che ci porta, molti gli sguardi che si
riallacciano, molte le domande che è bene non abbiano risposta, ma aprano a
nuova domanda, proprio come la vita ci chiede, impietosamente e
quotidianamente.
“Chi manca di religiosità
è povero di Eros e diviene vittima più di altri del bisogno
di potere e volontà di
potenza”, così scriveva la Von Franz,
allieva e collega di Jung.
Questo potrebbe contraddire
tutto quello che sino ad ora abbiamo detto, visto la strabiliante volontà di
potenza nietzschiana, mentre – a parer mio - ne convalida la robustezza di
religiosità bene illuminata nella tesi di Roat.
L'Eros di Nietzsche è
talmente infuocato e tanto feconda la sua religiosità, da non poter essere
sostenute da un umano ancora tanto umano.
E' questo che il Poeta ci
lascia come eredità e promessa, cristicamente e ormai anacronisticamente,
sacrificandosi.
Ma non possiamo rimanere
insensibili alla sua e alle voce dei tanti che in quell'abisso si sono perduti,
donandoci insostituibili e immortali tracce per il cammino verso l'umano.
Il mithos che ci
conteneva - panikkarianamente parlando - è perduto, morto con quel dio che
Nietzsche ha deposto davanti a noi tutti.
Ma gli dei non sono morti.
Morti i monoteismi e i
dualismi, si apre l'era cosmoteandrica, il dinamismo della trinità liberata da
dogmi e dottrine; il ritmo dell'Essere ci ri-suscita la Vita.
In fondo è questo che tutti i
personaggi raccontati da Francesco Roat ci testimoniano:
la terribile bellezza
dell'essere partecipanti all'avventura della Vita.