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Chiacchierata ambientalista dal Salento
Gianni Ferraris
Chiacchierata con Ferdinando Boero, docente di biologia marina all’Unisalento di Lecce, collabora con alcuni quotidiani (La Stampa, Il Secolo XIX, Nuovo Quotidiano di Lecce) e altre testate scientifiche e non. Personaggio eclettico, scienziato che è difficilissimo trovare a casa perché chiamato in ogni parte del mondo a parlare della sua specializzazione.
Oltre che lo studio delle meduse, delle quali è uno dei massimi esperti a livello mondiale, e della biologia marina in genere, uno dei suoi amori più grandi è stato da sempre Frank Zappa, e una medusa da lui scoperta ne porta il nome.
Genovese trapiantato in Salento, ogni tanto ci si incontra, si scambiano otto parole e quattro battute e battutacce sulla vita, il lavoro, la politica, il succo di melograno e altre amenità.  Siccome il prof. Boero ha un curriculum esageratamente impegnativo da riportare, rimando alla sua scheda nel sito dell’Università del Salento.
 
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Per iniziare  in leggerezza, due parole su Frank Zappa
 
Il primo concerto è stato The Beatles, nel 1965. Avevo 14 anni. L’anno dopo The Rolling Stones. Stava cambiando il mondo, e ho avuto la fortuna di essere lì, di vederlo cambiare. All’inizio dei 70 un mio amico mi fa sentire un disco di Zappa e resto fulminato. Cominciavo a capire l’inglese e quel tale parlava di cose “strane”, la sua musica era “strana” e in quella stranezza, diversa da tutti gli altri, mi trovavo a mio agio. Nessuno come lui. Così, nel 1983, durante un soggiorno di studio in California, gli scrissi che avevo scoperto nuove specie di meduse, e che avrei voluto dedicargliene una. Mi rispose “non c’è niente al mondo che mi piacerebbe di più che avere una medusa col mio nome”. Lo andai a trovare a casa sua, a Los Angeles, e diventammo amici. Un’amicizia che durò dieci anni, fino alla sua morte, nel 1993. Un privilegio raro, conoscere gente di quel calibro.
 
A Lecce sei arrivato nel 1987, l’intenzione era di stabilirti qui o doveva essere un passaggio?
 
Non sapevo. Ci fu un concorso nazionale ad associato. Io ero ricercatore. Partecipai. Non c’erano posti a Genova. Vinsero i pupilli dei membri della commissione ma avanzò qualche posto, e fui promosso anche io. I pupilli restarono nell’Università di provenienza mentre io, che non avevo un posto a casa, fui mandato nel posto dove non voleva andare nessuno: Lecce. Feci armi e bagagli e quando arrivai qui non sapevo quanto ci sarei restato, ma cominciai a lavorare come se avessi dovuto restarci per sempre. E in effetti, dopo 27 anni, sono ancora qui. Sono stato molto fortunato, e sono molto contento che Lecce fosse percepita come un posto “di scarto”. Ora sanno cosa si sono persi.
 
Qui in Salento c’è uno dei mari più belli, l’ecosistema marino è rispettato come dovrebbe o molto è lasciato al caso e all’incuria?
 
Appena arrivato qui mi accorsi che tutti, ma proprio tutti, mangiavano le linguine con i datteri di mare. I fondali rocciosi erano devastati. E non importava a nessuno. Le coste sabbiose erano anch’esse devastate dall’abusivismo edilizio. Un disastro. Piano piano, con l’aiuto di molti amici e colleghi, lavorammo per aumentare la percezione dell’importanza del mare. Quando arrivò il decreto che istituiva l’Area Marina Protetta di Porto Cesareo mi volevano linciare, assieme a Cosimo Durante. Un “locale” che capì al volo e che mi restò vicino sempre. Oggi i sindaci mi chiamano per sapere come istituire Aree Marine Protette dove ancora non ce ne sono. Il Salento è un paradiso per chi ama il mare. Ma siamo ancora a un bivio. Per qualcuno il mare è migliaia di persone accalcate su una spiaggia a ballare danze tribali sotto l’influsso di alcolici e di musiche martellanti, per altri il mare è natura e paesaggio, fuori e dentro l’acqua. Dobbiamo riuscire a far capire che il modello Rimini è fallimentare, se si ha a disposizione la bellezza del Salento. A Porto Cesareo, per promuovere il territorio, hanno fatto un monumento a Manuela Arcuri, e hanno un parco nazionale...
 
Facciamo il punto della situazione, si parla moltissimo di TAP si e TAP no, molti ti additano come complice di TAP nonostante tu difenda l’ambiente, non è una contraddizione in termini la tua?
 
Non mi piace l’ambientalismo a corrente alternata. Non mi piacciono i sindaci che contestano i piani paesaggistici, che frenano lo sviluppo, e che hanno contribuito a cementificare e asfaltare tutto, e che poi si svegliano all’improvviso con la fregola ambientalista a senso unico. Non mi piace che un territorio sia devastato da tutto questo, che si lasci avvelenare dai rifiuti sepolti sotto gli occhi di tutti, e che poi si individui in una sola cosa il male assoluto. Ho denunciato questo falso ambientalismo e, ovviamente, mi hanno detto di essere un venduto. Ho dato vita al primo spinoff universitario dell’Università del Salento. Serve per fornire consulenze ambientali. Se TAP ci chiedesse di fare uno studio per valutare lo stato dell’ambiente prima e dopo il suo passaggio, ovviamente lo faremmo. E diremmo quel che risulterà dagli studi. Questi studi sono pagati, è ovvio, e vanno fatti. Ma il fatto che siano pagati significa che chi li commissiona ha comprato il parere di chi li ha fatti? Chi pensa così forse pensa che tutti si comportino come si comporterebbe lui.
Mi sorprende anche che nessuno si sia mobilitato per un altro gasdotto che dovrebbe approdare a Otranto. Mi pare stranissimo che persone senza una storia di militanza ambientalista, all’improvviso, su un solo argomento, diventino delle Giovanne D’Arco. TAP è un tubo di 90 cm di diametro e porta il gas in Italia. Se il governo lo ritiene strategico, come pare, è giusto valutarne l’impatto. Tutt’altro discorso le trivellazioni. Anche se il governo le ritiene strategiche per me il prezzo da pagare, a fronte dei vantaggi, è troppo alto. Lì sono in prima fila. Ma spero di non trovarmi circondato da ambientalisti a corrente alternata.
 
Tu sei genovese ultimamente c’è stata l’ennesima gravissima alluvione, è saltato il Bisagno con un solo morto per fortuna. I conti non tornano però, da decenni Genova ha questo problema e da decenni nessuno ha fatto nulla. Non è che la politica sia latitante in attesa dei prossimi morti?  Soprattutto, secondo te esiste una “cura” per Genova o i genovesi debbono rassegnarsi? Si dice da più parti che la prevenzione sia molto meno costosa della riparazione dei danni.
 
Negli anni 50 e 60 Genova ha abbandonato il suo magnifico centro storico, una parte è stata addirittura demolita perché “fatiscente”, e si è costruito sulle colline attorno. Una immane colata di cemento, senza alberi, con case una sopra l’altra, arrampicate sulle colline. Sotto il fascismo Mussolini immaginò la Grande Genova, e promosse la copertura del Bisagno, il torrente che attraversa Genova, e fece costruire grandi palazzi, e viali e una grande piazza: Piazza della Vittoria. Certamente molto meglio del disastro del dopoguerra, ma comunque un disastro. Le alluvioni vengono da queste scelte. Allora non si sapeva che “tombare” i torrenti, coprendoli di cemento e incanalandoli in grandi tubi, avrebbe portato ai disastri che oggi ci martoriano. Ma l’Italia intera è stata devastata. Le “bonifiche” hanno eradicato le zone paludose e hanno causato il dissesto idrogeologico che flagella l’intero paese. Tutte le periferie sono orrende. Tutte. Io sono radicale in questo. Per me bisogna dare impulso all’edilizia con un piano di demolizioni che riporti alla normalità la Natura compressa dalla follia umana. Come bisogna demolire gli scempi sulle dune del Salento, così bisogna demolire le case di Genova, quelle costruite dove non si deve. In una di quelle case sono nato, e ho passato un’infanzia e un’adolescenza che non cambierei con niente altro al mondo, lì ci sono le mie radici. Mi piangerà il cuore quando, se sarò ancora vivo, vedrò buttar giù casa mia. La casa dove mio padre è morto nel suo letto e dove ancora vive mia madre, che guarda il mare e la Lanterna, e il porto dal suo terrazzino. Ma non ci sono alternative. O le buttiamo giù noi, quelle case, o sarà la Natura a farlo. Genova negli anni 70 arrivò a un milione di abitanti. Ora sono seicentomila. Va bene così. Il centro storico di Genova è il più grande d’Europa, ed è bellissimo. I genovesi devono ritornare a vivere lì. La cura dimagrante delle città, che devono tornare a stringersi nei loro centri storici, è la sfida architettonica del futuro. Gli architetti devono realizzarla. Gli ecologi dovranno guidare la rinaturalizzazione di quello che le città hanno distrutto. E gli agronomi dovranno promuovere un’agricoltura meno inquinante e di migliore qualità. Abbiamo tutte le carte in regola per farlo, ma ci vuole una “visione” che ancora stenta a venire. Nel mio piccolissimo cerco di remare in questa direzione. Contro la visione dei più, in modo ostinato. In direzione ostinata e contraria, diceva De Andrè. E Zappa diceva: senza deviazione dalla norma il progresso non è possibile.
Non mi illudo di avere successo, è una missione impossibile nell’arco della mia vita. Ma non mi importa. C’è sempre più gente che “capisce” e un giorno saranno la maggioranza. Sarà la Natura a convincerci, con le sue sventole mortali. E se invece non capiremo, ci spazzerà via.
 
29/11/2014 14:01:55
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