Lo “spillover” che ci preoccupa di più…

Lo ammetto. Nelle giornate immediatamente precedenti l’inizio delle scuole (di ogni ordine e grado) ero convinto del progressivo zero tendenziale COVID19 prossimo venturo. Un decimale vicino allo zero che ci avrebbe fatto tornare tutti nella fase “ante quem”.  Un fondo di silenzio che sarebbe stato benefico per le nostre attività, i nostri svaghi, le nostre scelte culturali e familiari. Quasi che la “pandemia”, dopo le punte registrate in inizio primavera, se ne andasse alla chetichella salutando dal fondo del palco… Non è andata così, proprio in concomitanza con il ritorno a mille di tutte le attività e, soprattutto, con l’apertura delle scuole, la diffusione del virus è tornata, forse più pericolosa di prima. E, di nuovo a farsi le solite domande …. Come mai siamo in questa situazione?, Di chi è la colpa? Come finirà questa storia? E la domanda delle domande…”Andrà tutto bene”? Proviamo a rifare, all’indietro un po’ di strada, per capire dove stiamo andando. Sin dal primo focolaio di CoViD-19 a Wuhan, l’ipotesi più credibile sulla comparsa di questo nuovo coronavirus è stata quella del salto di specie (in termini scientifici, spillover). Si tratta di  un evento comune in natura, già alla base di altre pandemie (ad esempio l’AIDS).  In un primo momento, lo ricordo giusto a titolo informativo, a supporto delle teorie sull’artificialità del virus ci sono state le parole di Luc Montagnier (Nobel per la Medicina 2008), che ha ipotizzato una manipolazione umana per via della presenza di sequenze genetiche del virus dell’HIV-1 nel genoma del SARS-CoV-2. Tesi, come si vedrà tra poco, assolutamente fuorviante. Una questione ricorrente, d’altra parte, poichè le dichiarazioni della virologa cinese Lee-Ming Yan che, nel suo cosidetto Yan Report di metà settembre, discute di come il virus potrebbe essere stato prodotto in laboratorio partendo da due coronavirus di pipistrello (ZC45 e ZXC21), da lei identificati come i parenti più vicini del SARS-CoV-2. Anche questa forzatura è stata smontata così come sono stati clamorosamente smentiti  tutti i tentativi di accreditare un origine non naturale al  SARS-CoV-2.  Posizioni, a volte supportate anche da studiosi del settore, che presentano il COVID19 come il risultato di una manipolazione genetica da parte dell’uomo, addirittura ideato come arma batteriologica o fuoriuscito per errore da un laboratorio. Non è così.

Le sequenze genetiche del SARS-CoV-2 sono pubbliche e disponibili grazie agli studi e ai protocolli di diffusione della comunità scientifica mondiale, perciò possono essere facilmente analizzate. Questo ha permesso di verificare che nessuna sequenza di HIV-1 è presente nel SARS-CoV-2, e che le regioni genomiche a cui ci si riferisce sono molto piccole e condivise con centinaia di specie viventi (Xiao et al., 2020) (1)

Inoltre, ulteriori analisi filogenetiche hanno dimostrato che sono presenti in natura virus evolutivamente molti più vicini al SARS-CoV-2 rispetto a ZC45 e ZXC21 (Andersen et al., 2020)  (2)

Ciò significa che alcune caratteristiche etichettate nello Yan Report come frutto dell’ingegneria genetica, sono già presenti in virus che circolano in natura. Il virus più simile al SARS-CoV-2 finora identificato è un coronavirus di pipistrello chiamato RaTG13, il quale presenta una sequenza genica identica a quella di SARS-CoV-2 per il 96,2% (Zhou et al., 2020) (3)

Tale similarità indica che è probabilmente uno dei suoi precursori: tuttavia, il 3,8% di differenza suggerisce che non ne è il diretto progenitore. Il SARS-CoV-2 è stato sicuramente trasmesso agli esseri umani attraverso una o più specie intermedie in cui sarebbe evoluto ulteriormente.

Quindi, niente manipolazione “forzata”, niente “incidente”, solo un banale “passaggio di specie” come se ne sono verificati molti nella storia dell’Umanità che, questa volta ha portato morte e distruzione. Diretta e indiretta, se pensiamo agli scossoni al nostro equilibrio psichico e agli enormi danni causati al sistema economico tradizionale. Con alcune chicche in più che è giusto ricordare, tanto per sapere con chi abbiamo a che fare e, soprattutto, con chi saremo obbligati a convivere per i prossimi – sembra – due anni.

Un venticinquenne del Nevada (USA), dopo aver contratto il Covid19 a fine marzo ed essere risultato negativo al tampone durante tutto il mese di maggio, il 5 giugno è risultato nuovamente positivo, sviluppando sintomi più gravi della prima infezione e venendo ricoverato per difficoltà respiratorie. Il suo caso è stato analizzato in uno studio pubblicato su Lancet (4)se è vero che già in precedenza si era parlato di casi (reali o presunti) di reinfezione, questa è la prima volta in cui un paziente contrae una forma più grave della malattia dopo averla già avuta. Gli esperti (quelli che sono davvero “esperti”)  escludono che si tratti della stessa infezione, rimasta dormiente e poi riemersa con il manifestare di nuovi sintomi. Analizzando il codice genetico dei due SARS-CoV-2, emerge una netta differenza tra quello che ha infettato il paziente a fine marzo e quello di inizio giugno. “Ciò che abbiamo scoperto dimostra che non è detto che una prima infezione protegga da infezioni future”, afferma Mark Pandori, uno degli autori dello studio. “Per questo è importante che, una volta guariti, gli infetti continuino a rispettare le norme anti-Covid19”.   Una conferma di quanto ci resti ancora da investigare e quanto siano lontane le scorciatoie offerte da trattamenti miracolosi, vaccini compresi. Sarà un lavoro lungo, difficile, da svolgere con competenza e nelle giuste condizioni di sicurezza e riservatezza. Un percorso che dovrà dimostrare tre cose, fondamentalmente: il livello di ricerca che sarà possibile raggiungere con risultati tangibili compresi, l’attitudine dei vari centri di indagine a mettere in comune i dati raccolti, a vivificarli e, soprattutto la centralità della Scienza (con P maiuscola) a fronte degli interessi delle multinazionali dei farmaci con tutto il rispetto per le attività svolte da queste ultime. Dovrà essere garantito, anche, un altissimo livello di selezione delle attitudini migliori, quelle che contribuiranno sul serio alla risoluzione delle innumerevoli domande oggi sul tappeto. Non virologi contro altri virologi, non esperti contro altri esperti ma, semplicemente, persone – scientificamente preparate – che “provando e riprovando” otterranno complessivamente i risultati sperati. Di lì non potranno sorgere polemiche, non ci saranno “tesi contrapposte” o idee più o meno strampalate che, all’improvviso, si presenteranno. Ci saranno i dati scientifici, nella loro crudezza , anche nella loro limitatezza. Ma dovranno essere veri, trasparenti e non interpretabili ad libitum.  Altrimenti continuerà l’andazzo di questi ultimi mesi con un incremento del cialtronismo e un (drammatico) silenzio di chi le cose le sa.

.1. https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/22221751.2020.1727299

.2. https://www.nature.com/articles/s41591-020-0820-9

.3. https://www.nature.com/articles/s41586-020-2012-7

.4. https://www.thelancet.com/journals/laninf/article/PIIS1473-3099(20)30764-7/fulltext

2 Commenti

  1. Bell’articolo . Chiaro e conciso e che entra a far parte di un giornalismo di alto profilo, veramente informativo e utile che è stato a disposizione durante tutta la pandemia, ma è stato travolto e nascosto dalla valanga di “cialtronerie” che ci hanno resi ciechi e per questo più deboli. Ci vorrebbe più informazione di questo tipo, ammesso che la si voglia stare a sentire

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