“A me se cu m’nan fa *…”

A me se cu m’nan fa *…”

… esclamava un Saggio di mia conoscenza, interpretando alla perfezione il carattere degli Alessandrini che pare abbiano storicamente dimostrato il loro distacco di fronte ad eventi che coinvolgevano, con diversa partecipazione, il resto degli Italiani.

Sarebbe ingiusto asserire che i miei concittadini siano insensibili o refrattari agli stimoli che comunemente agitano altri contesti, in ognuno dei quali si reagisce in relazione all’ambiente e alle vicende che ne hanno tratteggiato le abitudini, il linguaggio ed i comportamenti.

Non sono passionali ma dotati di quel disincanto utile a prendere le distanze con quel pizzico d’ironia come ancora di salvataggio. Non a caso per trovare santi ed eroi bisogna risalire a San Baudolino, sepolto a Villa del Foro e patrono della città, e all’astuto Gagliaudo: il primo nonostante i suoi meriti cui Umberto Eco rese giustizia, è qui ricordato per il modesto miracolo delle oche che avevano infestato la zona; il secondo per avere gabbato il Barbarossa con l’inganno della mucca foraggiata di grano, segno d’abbondanza da fargli rinunciare all’assedio… ma quando la Storia l’ha richiesto sono stati capaci di atti di coraggio.

Prima città socialista, ha dimostrato di essere poco sensibile alla fascinazione dei capi: qui da noi le folle deliranti non hanno avuto storia. Mussolini venne una sola volta, e di malavoglia, perché gli Alessandrini non gli piacevano. Si narra che per riempire di popolo la piazza dovettero trasportarvi gli alunni delle scuole. Mi duole, al contrario, ricordare la mortificazione che provai molti anni dopo durante la visita di due giorni del Presidente Ciampi che avrebbe meritato ben altra accoglienza .

Ricordo quel mattino di domenica quando il corteo presidenziale, dovendo attraversare il centro diretto al Teatro Comunale, sarebbe passato da Piazza Garibaldi. Mentre mi avviavo ero stupita per l’assenza di rumori forse dovuto ad una folla rispettosa in attesa dell’evento, pensai, ma giunta ai portici le telecamere della Rai potevano solo riprendere l’immagine d’un luogo deserto e deprimente e l’espressione cupa di una nota giornalista televisiva di quegli anni che passeggiava nervosamente non sapendo che fare. Stupore da parte mia e indignazione nel cogliere curiosi stipati dietro i vetri dei bar per non dare soddisfazione: “a me sa cu m’nan fa … “

Andando indietro agli anni caldi del sessantotto, ci fu una partecipazione attiva della popolazione ma priva di scontri violenti: fu invece irragionevole e violenta la carica della “Celere” su alcuni manifestanti, radunatisi in Piazza Garibaldi, che si limitavano a disturbare il comizio di Almirante nella vicina Piazza Marconi.**

Tra i pochi episodi di entusiasmo popolare dobbiamo ritornare alla promozione dell’Alessandria in serie A, la squadra dei “Grigi” come le nebbie che allora avvolgevano la città.

Erano i tempi di Rivera, orgoglio cittadino, acquisito poi dal Milan così che il sogno fu breve ma intenso. Quella sera tutti uscirono dalle case per riversarsi nelle strade e nelle piazze, un tripudio popolare mai più verificatosi negli anni a venire: tutti i locali aperti alla popolazione, persino il mitico “Baleta”, ritrovo esclusivo dei maschi, concesse per l’occasione l’ingresso alle donne che poterono visionare quel luogo di cui si riportavano aneddoti esilaranti, propri della più fervida alessandrinità..

Carnefici e vittime erano consenzienti: delle tante narrazioni ricordo l’episodio di “Beppe faccia di maiale”, un gigante dalla carnagione rosea e colorita, i capelli rossicci e la stazza imponente. Per stabilire se la sua natura fosse più vicina all’uomo o al maiale accettò di sottoporsi all’ “ordalia”.

Nominata la Commissione Giudicante, il rito si celebrò in un pioppeto vicino a Bormida: al centro l’indagato, ai lati e a distanza concordata l’uno dall’altro, un mucchio di ghiande e un abbondante cartoccio di farinata da tutti detta “bellecalda”.

Bendato e disorientato da alcuni giri sul posto, si diresse senza esitazione verso la farinata così che fu decretata ufficialmente la sua natura umana diventando per tutti e per sempre Beppe.

(*Non si garantisce la correttezza ortografica dell’espressione dialettale > > A me cosa me ne importa.. )

(** Renzo Penna: “Il lavoro come valore”, ISRAL pag. 102: “Il comizio di Almirante”. 2022)

 

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