Alessandria – un po’ di storia

Fotogallery immagini di Alessandria ~ AlessandriaTurismoPiemonte.it

A cura di
Giancarlo Patrucco
Clemente Accornero

Città di Alessandria - La città di Alessandria - La Cittadella

La cittadella di Alessandria
Esterno

Cittadella di Alessandria - Wikipedia

La cittadella di Alessandria – interno

  • Il ponte vecchio Ponte Cittadella - Wikipedia

Il ponte nuovo

Alessandria, il nuovo ponte firmato Richard Meier. - Risposta Serramenti

Il tinaio degli Umiliati

https://mbox.webmail.teletu.it/cgi-bin/ajaxmail?Act_View=1&ID=IeBAJGzRo0ZOCpk8Y@BAIWMey0YdOGTxYY3K1Tc2fOlipY5EFn5g0VOXbYyRPn&R_Folder=SU5CT1g=&msgID=8298&Body=2

Nell’isolato di cui fa parte la chiesa, compreso fra via Lumelli e piazza san Rocco, si trovano i resti dei laboratori medievali e un’ampia sala per le attività manifatturiere nota come Tinaio degli Umiliati. “L’edificio è detto “tinaio” in quanto forse nelle vasche (o tini) avveniva la colorazione dei tessuti “umiliati” che sui mercati europei avevano allora ottimo mercato. Il Tinaio è suddiviso in due navate da pilastri cilindrici con capitelli cubici, smussati alla base, che reggono volte a crociera a spigoli vivi. La struttura risale al secolo XIII e ancora si impone per l’ampiezza di circa 300 mq per la sua solidità e le sue linee severe. Si tratta di un seminterrato, ma con l’inizio a livello strada, a cui si accede da via Lumelli.

In questo locale si svolgeva forse l’operazione della torcitura e, forse, vi erano installate delle “gualchiere” che sfruttando l’energia idrica fornita da una diramazione del canale della Rosta parallela a via Lumelli, eseguivano meccanicamente la follatura dei panni-lana” (da “Alle radici di Alessandria” pubblicato da Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria).

Antonella Perin e Carla Solarino

Santa Maria di Castello, in “Chiese, conventi e luoghi pii della città di Alessandria”, BCA Studi e ricerche, n. 7, Alessandria, s. d.

La chiesa di Santa Maria di Castello può essere considerata un simbolo della storia urbana di Alessandria. Viene indicata, infatti, come luogo più antico della città in assenza visiva del polo religioso per eccellenza, l’antico duomo. In occasione di interventi di restauro effettuati nel 1887 e di scavi archeologici databili tra il 1970 e il 1971, sono state rinvenute tracce di un edificio preromanico ad aula absidata, ascrivibile al periodo tra l’VIII e il IX secolo. La scoperta conforterebbe il legame storico con l’antico insediamento di Rovereto, documentato sin dall’VIII secolo e ricordato come “curtis regia” del tardo IX secolo. La fase costruttiva romanica, preesistente a quella attuale, iniziò nell’XI e terminò nel XII secolo con la realizzazione del transetto e fu resa possibile grazie alle donazioni di fondi da parte di famiglie alessandrine (conti Canefri).

L’edificazione della chiesa va posta in relazione con le dinamiche dell’insediamento e del popolamento del Borgo Rovereto, sede di mercato, presso il ponte sul Tanaro, difeso dal “castrum” fortificato. All’interno di questo primo nucleo e del suo polo religioso si incrociarono privilegi reali, pretese di gruppi nobiliari e diritti di diocesi vicine.

Chiesa di Santa Maria di Castello (Alessandria) - Wikipedia

Lo stemma di Alessandria

LA STORIA DELLO STEMMA DI ALESSANDRIA | Amis ad Lisòndria - Tra Tani e Burmia

La leggenda di Gagliaudo e della mucca Nerina

L’assedio del Barbarossa ha inizio nell’ottobre del 1174, ma già sei mesi dopo la città è stremata. Ai difensori di Alessandria sono rimasti solo venti chicchi di grano a testa mentre fuori dalle mura l’esercito dell’imperatore ha cibo a volontà.

Vive nel borgo un contadino, Gagliaudo Aulari, con la sua mucca. Era la sola che possedeva, ma era così magra e denutrita da far spavento dopo che, da quando la città era sotto assedio, non poteva più farla pascolare. Fuori, dall’alto delle mura, Gagliaudo guarda i cavalli dell’esercito di Barbarossa pascolare liberi, poi guarda la sua mucca morir di fame.

Mentre è intento a quei pensieri, viene messo al corrente del fatto che il Consiglio dei Sapienti ha in pratica deliberato di arrendersi. Allora Gagliaudo decide di bussare alla porta con il cappello in mano e la mucca al fianco, chiedendo di poter parlare. Non è certo stimato come pensatore, ma visto che nessun altro ha trovato soluzioni, il Consiglio pensa bene di ascoltare ciò che ha da dire. Un piano insomma, che consiste nel riempire la greppia della mucca per alcuni giorni, poi farla scappare mentre intorno le corrono dietro gridandole che la biada non è finita.

Mucca e contadino finiscono ben presto al cospetto dell’imperatore e continuano la manfrina del correre e rincorrere sempre urlando: il grano è la sua biada, ne abbiamo tanto che persino cani e porci lo mangiano, ma questa disgraziata è scappata perché stanca del grano voleva fieno e l’erba fresca del prato”.

Barbarossa esplode d’ira. Poi fa chiamare il macellaio e tagliare in due la vacca. Vedendo anche lui il grano di cui l’animale era pieno fino a scoppiare, si lascia nuovamente prendere dall’ira. Quindi, capendo che il tempo dell’assedio è sprecato, ordina di levare le tende. E’ il 12 aprile del 1175.

D:\Come eravamo\statua di Gagliaudo.jpg

L’antica cattedrale di Alessandria

È travagliata la storia della cattedrale di Alessandria. Le prime notizie risalgono alla seconda metà del XII secolo, quando fu edificata, tra il 1170 ed il 1175, una prima chiesa cattedrale[1] dedicata a san Pietro apostolo. La chiesa risultò ben presto troppo piccola così si procedette, verso la fine del secolo XIII, a sostanziali interventi di ingrandimento e adattamento ad opera del faber et architectus Ruffino Bottino da Casale. L’antica cattedrale resistette fino agli inizi dell’Ottocento, quando fu demolita per ordine di Napoleone tra il febbraio e il luglio del 1803[2] nel quadro della riorganizzazione funzionale urbana della città voluta dall’Imperatore francese.

Disegno di Luigi Visconti

Rappresentazione grafica raffigurante il tessuto urbano di piazza Reale di Alessandria (in seguito piazza della Libertà) verso la metà del secolo XVIII. In evidenza, al centro, l’antica Cattedrale

E la nuova cattedrale di Alessandria

Ma ben presto il vescovo ed il Capitolo della cattedrale ottennero dal generale francese di poter erigere a nuova cattedrale la chiesa di San Marco. Questa fu edificata nel XIII secolo ed era di proprietà dei Domenicani, finché nel 1797 non venne confiscata dagli occupanti francesi e trasformata in loro quartier generale. L’edificio necessitava perciò di un laborioso lavoro di restauro: la sua ricostruzione, affidata all’architetto Cristoforo Valizzone, durò dal 1807 al 1810: ne uscì una chiesa neoclassica, con la quasi totale scomparsa del gotico della precedente chiesa. La chiesa fu benedetta e riaperta al culto nel dicembre 1810 con il titolo di San Pietro e San Marco. Altri lavori di restauro intercorsero tra il 1874 ed il 1879 e furono fatti su progetto di Emilio Arboreo Vella: ed è in questa occasione che l’edificio fu consacrato, il 4 luglio 1879. La chiesa fu sconvolta da un incendio nel settembre 1925: i lavori che ne seguirono, terminati nel 1929, portarono al totale rifacimento della decorazione interna ad opera di Luigi Morgari.

Duomo di Alessandria - Wikipedia

– – – – – – – – – – – – – – –

Palazzo Ghilini

in Piazza della Libertà

Palazzo Ghilini - Wikipedia

Mentre il palazzo è sede della provincia

ecco il palazzo comunale, sempre in piazza della Libertà

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/39/Alessandria-municipio1.jpg

 

 

Palatium Vetus

Il Palazzo Vecchio del Comune, costruito, insieme al duomo, ai fossati e ai bastioni al momento della fondazione (1I66-68) di Alessandria, ha subìto nei secoli, come era naturale, molte trasformazioni e vicende.

Il nome di “Palatium Vetus” deriva dal fatto che il Comune, nel volgere del primo secolo dalla sua fondazione, aveva avuto la necessità di nuovi locali e aveva scelto, sempre sulla piazza maggiore, quell’area dove ancor oggi sorge il municipio sulla quale costruì quello che si chiamò il “Palatium Novum”, edificio che nel 1297, quando vennero riordinati e raccolti gli Statuti Civici, già esisteva. Nelle cronache del Claro, del Lumelli e dello Schiavina, come negli Annali del Ghilini, mentre ci sono citazioni di lavori alle fortificazioni o alla cattedrale, di quelli dei palazzi del Comune non v’è cenno. Pure lavori ci furono, e aggiunte e rifacimenti, come ben comprovano gli edifici ancor oggi esistenti anche se in parte deturpati e trasformati.

Il Palatium Vetus aveva la facciata principale sull’angolo della piazza con l’attuale via Migliara, si prolungava per un buon tratto in questa via e aveva due corpi trasversali che dall’interno arrivavano fino a via dei Martiri. Nel Palatium Vetus avevano sede gli uffici del podestà e gli organi giudiziari, carceri comprese. Con l’instaurarsi della dominazione spagnola il palazzo venne adibito a sede dei governatori con i relativi uffici e la Municipalità, o Provvisione, si ritirò nelle più modeste stanze del Palatium Novum.

Il Palatium Vetus rimase sede dei governatori anche dopo l’avvento dei Savoia e di Napoleone che nel 1806, in occasione della sistemazione della piazza e dell’abbattimento dell’antico duomo, fece demolire la vecchia facciata originale, con portici sotto i quali si rendeva giustizia e botteghe che sul lato di via Migliara sono ancora rimaste incorporate nell’attuale palazzo e dentro alcune delle quali sono ancora visibili elementi come capitelli, pilastri e volte a crocìera.

La facciata verso piazza, così come oggi si vede, è appunto del periodo napoleonico e ad essa sono murati la lapide commemorativa e uno dei cento cannoni risorgimentali. Per fortuna i lavori di Napoleone si limitarono al corpo di facciata, ma tutti gli altri corpi trasversali e interni sono quelli antichi anche se su alcuni di essi sono state fatte, come era naturale, delle sovrapposizioni, in gran parte ottocentesche.

Qui, era finito prigione Guglielmo VII, dopo l’esito, infausto per lui, delle numerose guerre c scorribande contro gli alessandrini. E morì non si sa se appeso in gabbia o nelle segrete.

http://win.cittafutura.al.it/Public/_Media/Site019/Guglielmo%20VII@@1802201420573237.jpg

Sempre in piazza della Libertà, piegando a sinistra c’è

Il palazzo delle poste

Palazzo delle Poste in Piazza della Libertà - Mosaico di Gino Severini | Amis ad Lisòndria - Tra Tani e Burmia

File:I-AL-Alessandria7.JPG - Wikivoyage, guida turistica di viaggio

Urbano Rattazzi

Stele della piazzetta della Lega

Città di Alessandria - La città di Alessandria - L'Ottocento

Seguendo la strada del palazzo delle poste – 100 metri avanti – si arriva all’

ARCO DI TRIONFO

Arco di trionfo (Alessandria) - Wikipedia

costruito dagli alessandrini per ringraziare e festeggiare la vittoria de

La battaglia di Alessandria

(Testo di Filippo Orlando)

Via san Giacomo della Vittoria ad Alessandria è una strada lunga e stretta affondata nel centro storico, nell’incastro di vie delimitanti il vecchio ‘recetto’ medievale della città. Al centro circa del percorso viario, addossata alle altre case di antico segno gentilizio, la chiesa di san Giacomo, costruita per onore della vittoria militare degli alessandrini a danno degli angioini, avvenuta nell’anno 1391. Di tutto questo gli alessandrini ormai hanno perso memoria. Bisogna, infatti, tornare alla fase finale del basso medioevo italiano, nel XIV secolo, quando il conflitto mai sopito fra impero e papato dilaniava le signorie del nord Italia, signorie che erano troppo economicamente floride per essere pienamente soggiogate dai grandi poteri ‘universali’, in lotta ormai secolare e troppo militarmente deboli per non schierarsi a favore di uno dei contendenti dominanti la scena.

L’Italia del Basso Medioevo è dominata dallo scontro fra papato e impero, fra guelfi e ghibellini, scontro che dilania il tessuto sociale delle città e prepara l’età delle signorie e delle compagnie di ventura. E’ in tale contesto che matura lo scontro militare detto ‘Battaglia di Alessandria’. La lotta fra guelfi e ghibellini farà da sfondo alla lotta, ormai molto accesa a fine trecento, per il dominio del nord d’Italia.

Nel giro di pochi decenni si succedono varie guerre e battaglie. In tali conflitti, nel nord Italia prende il sopravvento il signore di Milano Gian Galeazzo Visconti. Quest’ultimo si allea, nel 1387, con il signore di Padova Francesco Novello di Carrara, al fine di conquistare le città del veneto e Verona stessa, dominata da Antonio della Scala. L’alleanza con Francesco Novello avrebbe dovuto portare Verona ai Visconti e Vicenza al Novello, ma Gian Galeazzo, approfittando della sua superiorità militare, spodesta le città degli Scala e le città del Novello rompendo con quest’ultimo ogni alleanza. Il gioco spregiudicato porta in dote ai Visconti Padova, Belluno e Feltre, cedendo Treviso alla Repubblica di Venezia.

Gian Galeazzo Visconti

Ormai Gian Galeazzo Visconti è il più importante sovrano del nord della penisola italiana. Nasce così una lega contro il Visconti che tiene insieme Novello di Carrara, la Repubblica di Firenze, Stefano III di Baviera e Giovanni III D’Armagnac. Il Visconti risponde a questa nuova lega, nata per contrastare le sue mire di espansione, chiedendo a Carlo VI di Francia l’arbitrato sulle contese italiane. Le ostilità si aprono nel 1389 con la lega anti-viscontea, guidata dal mercenario inglese Giovanni Acuto che, partendo da Padova, muove alla conquista della Lombardia. Dalla Francia il Conte D’Armagnac, attraversando le Alpi, entra nella pianura piemontese conquistando vari castelli. E’, tuttavia, a Castellazzo che le truppe del D’Armagnac vengono respinte da un contrattacco degli occupanti, causando alle truppe francesi la perdita di numerosi cavalli e tende da campo. Nel frattempo Gian Galeazzo Visconti, per organizzare un esercito efficiente che contrasti l’avanzata nemica, è costretto a vendere Serravalle Scrivia per 22000 ducati alla Repubblica di Genova.

Il capitano di ventura assoldato dal Visconti è Jacopo Dal Verme, nato a Verona nel 1350 e passato al soldo e ai servigi della Repubblica di Venezia e dei signori di Saluzzo, degli Scaligeri e dei Visconti. Morirà poi, dopo aver rotto con i Visconti di Milano, appena ritornato ai servigi militari della repubblica di Venezia, colto da malore nel proprio letto nell’anno 1409.

Torniamo adesso alla battaglia: il conte D’Armagnac giunge alle porte di Alessandria e la pone sotto assedio. Alcuni cittadini alessandrini, avuta notizia dell’arrivo delle truppe viscontee del Dal Verme, vanno incontro al condottiero per informarlo dell’esatta posizione delle truppe francesi asserragliate presso Alessandria. Giovanni III D’Armagnac conta su un’avanguardia di mille cavalieri, molto stanchi per le precedenti scaramucce, e sul valore di capitani d’arme come Rinaldo Gianfigliazzi, Giovanni Ricci, Aimery di Severac, Giovanni Dudain, Mottino della Pezza e François d’Albret.

Le truppe viscontee del Dal Verme sono organizzate con almeno 2000 cavalieri, 4000 fanti e numerosi balestrieri. Vi sono valorosi condottieri e nobili, come Ugolotto Biancardo, Brandolino Brandolini, Leonardo Malaspina, Ceccolo Broglia, Anderlino Trotti, Calcino Tornielli, Benzio Buffazzi, Tommaso Ghilini, Paolo Savelli, Antonio Balestrazzo, Filippo da Pisa.

Lo scontro decisivo avviene nei pressi di Castellazzo il 25 giugno del 1391. La battaglia dura complessivamente tre ore, nelle quali la cavalleria del duca D’Armagnac si difende dagli attacchi in maniera valorosa, cercando più volte di non farsi accerchiare dalle soverchianti truppe nemiche. Ma la stanchezza dovuta alle scaramucce militari dei giorni precedenti e le capacità di direzione del Dal Verme, oltre che la disparità enorme delle forze in campo e la bravura inesorabile dei balestrieri, (ai tempi arma micidiale contro la cavalleria), hanno ragione delle forze francesi che sono letteralmente sgominate. Cade, sotto un colpo che lo porterà alla morte, pure Giovanni III D’Armagnac. La disfatta militare è netta, ma non decisiva per le sorti dell’intero conflitto. Certamente il Visconti impedisce agli angioini e al duca di Baviera di invadere il proprio territorio, ma non riesce a ottenere una vittoria definitiva per la primazia sull’Italia e su Firenze in particolare. Essa giungerà solo negli anni successivi.

La pace viene firmata l’anno successivo nel 1392 e Gian Galeazzo Visconti restituisce Padova a Francesco Novello da Carrara, ma si assicura il controllo di Bassano, Belluno e Feltre. Nella sostanza la signoria milanese non risulta ridimensionata e continua ad accarezzare il sogno di riunificare sotto di sé l’intera Italia settentrionale. Il primo maggio 1395 il Visconti ottiene, inoltre, dall’imperatore Venceslao IV di Boemia, il titolo di duca di Milano, l’anno successivo quello di conte di Pavia e nel 1397 quello di duca dell’intera Lombardia.

La costruzione della chiesa di san Giacomo della Vittoria

Dopo la brillante vittoria delle truppe viscontee e degli alessandrini guidati da Jacopo dal Verme sui francesi del duca D’Armagnac, grazie al clamore suscitato dall’episodio militare è lo stesso condottiero veneziano a prendere l’iniziativa per la costruzione di una chiesa celebrante l’importante episodio bellico. Ricorrendo al bottino conquistato, il Dal Verme compra alcune case e poi le fa abbattere, recuperando così lo spazio utile alla costruzione del monumento. Il nuovo luogo di culto viene denominato “San Giacomo della Vittoria” per celebrare così il conflitto concluso con successo e il capitano di ventura che aveva guidato le truppe in battaglia.

La chiesa di San Giacomo della Vittoria

E ora chiudiamo con la presenza di San Francesco in Alessandria

Città di Alessandria - La città di Alessandria - Il Medioevo - Galleria foto ex chiesa di San Francesco (via XXIV Maggio, 5)

La chiesa di San Francesco

Alessandria ricorda il passaggio di San Francesco in città: l'evento in onda anche su RadioGold Tv

San Francesco e il lupo

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*