I comunisti della provincia di Agrigento e la svolta di Enrico Berlinguer

Premessa

In occasione del 100° anniversario della nascita di Enrico Berlinguer, mi è stato chiesto di scrivere, per un convegno che dovrebbe tenersi prossimamente, una nota sul rapporto intercorso fra il segretario generale del Pci e la federazione di Agrigento. Cosa facile a chiedere, ma difficile da realizzare poiché non si ebbero rapporti di tipo particolare, ma solo occasioni di proficua collaborazione, nel quadro del più generale sforzo – intrapreso con la segreteria di Berlinguer – per il rinnovamento del partito e per la costruzione di un’alternativa al malgoverno della Dc e dei suoi alleati.

Rinnovamento nella continuità ossia senza strappi laceranti e sulla base di un nuovo programma per l’alternativa democratica e riformatrice capace di mobilitare le masse operaie e i ceti popolari del Paese, in un contesto internazionale in via di mutazione. Con Berlinguer si avviò un processo di graduale superamento del partito della “guerra fredda” di obbedienza sovietica, verso la creazione di una grande forza riformatrice, radicata in Italia e in Europa e aperta al mondo, per un socialismo che sapesse coniugare uguaglianza e libertà. Insomma una grande svolta con la quale dovevano misurarsi i nuovi gruppi dirigenti affermatisi, nei congressi, territoriali e centrale.

Furono quelli anni difficili ed esaltanti, segnati da battaglie memorabili che si snodarono fra battute d’arresto e clamorose vittorie sul terreno dei diritti sociali e civili. Si aprì una fase veramente nuova che poteva portare a un incisivo cambiamento nel modo di governare e dell’ agire politico nelle istituzioni e nella società. Non a caso, per fermare tale progetto furono attivate terribili strategie terroristiche di destra e di “sinistra”, con la compiacenza di taluni settori deviati dei servizi. Ma erano davvero deviati?

I due terrorismi, infatti, apparentemente contrapposti, di fatto condividevano lo stesso obiettivo politico: bloccare l’avanzata elettorale del Pci e l’ipotesi, elaborata da Berlinguer per un governo di “compromesso storico”, con la partecipazione a pieno titolo dei comunisti. Com’era nei patti. (n.b.)

1…Non c’è dubbio che fra i diversi approcci intercorsi fra il Partito della provincia di Agrigento e il suo Segretario generale Enrico Berlinguer, l’evento più significativo fu quello del 25 aprile 1974, Festa della Liberazione e occasione per un suo memorabile comizio, nella grande Piazza Stazione di Agrigento, in difesa della legge sul divorzio. Ad ascoltarlo c’erano circa 15 mila compagni e compagne, simpatizzanti ed elettori convenuti dai 43 comuni della provincia agrigentina.

Memorabile anche perché quel pomeriggio, mentre eravamo sul gran palco della manifestazione, ci giunse la gioiosa notizia della caduta della quarantennale dittatura fascista di Salazar in Portogallo.

Per queste e altre ragioni, di cui diremo, quel 25 Aprile ad Agrigento per noi, comunisti e progressisti della provincia di Agrigento, è una sorta di solennità politica; una giornata davvero speciale, indimenticabile.

La visita di Enrico Berlinguer fu richiesta sulla base di un invito ufficiale approvato dal Comitato federale del Pci agrigentino. Cercammo un rapporto diretto con il Centro del partito, per evitare la “mediazione” del Comitato regionale (CR), quasi sempre a noi sfavorevole. A parte l’invito, c’è da dire che talvolta nei rapporti fra i diversi organismi le cose non andavano per il giusto verso, nel senso che non sempre si svolgevano all’insegna della trasparenza e della fraterna cooperazione. Per altro, in Sicilia il CR, forse ritenendosi un’entità autonoma, talvolta si comportava come una sorta di barriera fra le federazioni provinciali e la direzione centrale del partito.

Conoscendo un po’ i nostri referenti regionali (allora segretario regionale era Achille Occhetto che, nel complesso, svolse bene il suo mandato), ci rivolgemmo al Segretario generale, anche mediante il contatto con Tonino Tatò ch’era la sua ombra. Come previsto, le difficoltà maggiori vennero dal CR il quale, con la scusa che essendo Agrigento una piccola città di periferia si poteva rischiare un semi fallimento e per questo proponeva il solito circuito: Palermo, Catania e Messina.

2… Uno strano comportamento del CR che forse nasceva da una certa prevenzione nei nostri riguardi, intendo dire del gruppo dirigente della provincia di Agrigento, uscito vittorioso dal confronto congressuale del 1972 nel quale si consumò un duro scontro con taluni esponenti, anche di peso quali Paolo Bufalini, Michelangelo Russo, ecc, della cosiddetta ala migliorista che in Sicilia faceva capo a Emanuele Macaluso, segretario regionale in carica.

Spiace ricordarlo, ma poco dopo il citato congresso, si verificò un brutto episodio, una specie di complotto per defenestrare il nuovo gruppo dirigente, in gran parte formato da giovani compagni, provenienti dal Movimento studentesco e collocati nei gangli vitali del partito, in Federazione e nei grandi e piccoli centri della provincia.

Un qualcosa di simile era accaduto nel 1964 ai danni della segreteria di Antonio Ritacco il quale, dopo avere vinto le elezioni politiche e regionali del 1963, fu destituito (con la conferenza di organizzazione di Porto Empedocle/1964) dall’incarico senza una valida motivazione politica e sulla base di un accordo non dichiarato fra alcuni maggiorenti del partito.

Super giù gli stessi maggiorenti tentarono di replicare la manovra ai danni nostri, dopo la vittoria al congresso e l’avanzata alle politiche del 1972.

Scoprimmo quel tentativo e lo denunciammo, facendo i nomi, in una drammatica seduta del comitato direttivo federale. Non ci furono provvedimenti disciplinari, tuttavia si fece intendere ai principali promotori che portavano gravissime responsabilità e che, pertanto, dovevano riconquistarsi la nostra fiducia con atti concreti. Qualcuno (M. Russo) lo diffidammo di venire a tenere iniziative politiche in provincia di Agrigento e in questo senso lo sospendemmo dal piano di lavoro settimanale delle federazione. Con qualche altro avremmo regolato i conti alle prossime scadenze elettorali. Così avvenne.

3…L’episodio va rilevato, nella giusta misura, poiché non fu uno scherzo, ma un tentativo antidemocratico, subdolo organizzato per rovesciare un gruppo dirigente legittimo. Se fosse riuscito avrebbe cambiato, artatamente, il corso delle cose, senza bisogno di ricorrere a un congresso. (1)

Ovviamente, informammo la Direzione del partito dei fatti rilevati. La situazione era divenuta pesante tanto che si decise di tenere un attivo provinciale presieduto da Ugo Pecchioli, responsabile dell’organizzazione a Botteghe Oscure e braccio destro di Enrico Berlinguer, il quale venne – come disse espressamente- anche per riconfermare la fiducia del centro del partito ai giovani dirigenti di Agrigento e per chiedere a tutti una partecipazione più unitaria e convinta alle future battaglie.

In tale, difficile contesto l’attenzione del nuovo gruppo dirigente si concentrò in uno sforzo, grande e generale, per risollevare la condizione delle sezioni territoriali, delle amministrazioni rosse e/o di sinistra, dei sindacati e dei circoli giovanili che erano il nostro fiore all’occhiello.

Insomma, il nostro obiettivo era quello di riportare il partito della provincia di Agrigento, le sezioni, ai livelli organizzativi ed elettorali del 1963 e rimetterlo in sintonia con la svolta intrapresa con l’elezione a segretario di Enrico Berlinguer avvenuta nel 1972.

Nelle politiche del 1976 ci riuscimmo, anzi superammo il dato del1963: il Pci prese in provincia il 35,15% ossia un risultato al di sopra della media nazionale (34%) e in assoluto il più alto conseguito nella provincia di Agrigento.

Ma chi erano questi giovani protagonisti del rafforzamento e del rinnovamento? Taluni (compreso il settimanale “L’Espresso”) ci classificarono come ingraiani. In effetti, verso Pietro Ingrao nutrivamo una forte simpatia, un’affinità ideale. La qualcosa non ci impediva di condividere la linea politica espressa da Enrico Berlinguer che rappresentava una sintesi efficace del pensiero del gruppo dirigente nazionale. Insomma, ad Agrigento idealmente eravamo ingraiani, ma politicamente condividevamo il progetto di Berlinguer. Non eravamo una fazione, ma semplicemente il gruppo dirigente della Federazione, non nominato da qualcuno, ma eletto (con il voto) dal congresso provinciale.

La gran parte del gruppo dirigente, affermatosi con il congresso del 1972, era composto da giovani provenienti dalla Federazione giovanile comunista italiana (Fgci) che ad Agrigento aveva realizzato una rara (forse unica in Italia) forma di collaborazione con altri gruppi detti “extraparlamentari”.

Una proficua peculiarità che diede impulso al rilancio della Fgci che fece parte, a pieno titolo, del Movimento studentesco agrigentino, assumendo posizioni anche a livello della sua leadership, determinando una esemplare unione nella lotta fra tutte le forze impegnate per la riforma dell’ordinamento scolastico e più in generale della società e dello Stato.

4…A differenza di altre città siciliane e italiane, ad Agrigento i giovani del Pci collaboravano, lottavano insieme, venivano denunziati insieme (come fu per l’occupazione del liceo classico di Agrigento) ai giovani di Lotta Continua, di Servire il Popolo, ecc.

Questa, peculiare convergenza non era gradita a taluni del CR, allo stesso Achille Occhetto, segretario regionale, il quale nel 1973, prendendo spunto da un grave episodio verificatosi ad Agrigento (una bomba carta contro la Questura), i cui autori restarono ignoti, ci convocò a Palermo per accusarci di quasi contiguità con chi metteva le bombe.

In realtà, era una scusa per mettere in discussione il nostro gruppo dirigente con la motivazione che non c’era una netta differenzazione tra noi e i gruppuscoli della sinistra extraparlamentare. Ovviamente, respingemmo l’accusa, qualsiasi sospetto. La cosa ci sorprese assai, poiché Occhetto ci conosceva bene per aver fatto insieme a noi tante battaglie mentre era segretario della federazione di Palermo, dove – si disse -fu inviato per “punizione” da Luigi Longo per distoglierlo dal suo progetto di sciogliere la Fgci – di cui era segretario nazionale- nel Movimento studentesco.

A quanto pare, Occhetto ha sempre avuto il pallino dello scioglimento delle organizzazioni a lui affidate. Tanto che alla fine, alla Bolognina, sciolse addirittura il Pci.

Eppure ci accusò di contiguità. Un’accusa assai strana, infondata che in realtà mirava alla mia sostituzione da segretario della federazione di Agrigento con un suo amico romano tale Valerio Veltroni, fratello di Walter futuro sindaco di Roma, ecc,. ecc

Anche Valerio fu chiamato in Sicilia da Occhetto il quale riteneva di fare il rinnovamento piazzando alcuni suoi amici non siciliani della Fgci a segretari delle federazioni di Catania, di Enna, Caltanissetta, ecc). Una bizzarra concezione del rinnovamento del partito che taluni definirono “colonizzazione politica” della Sicilia, ai quali pensava di aggiungere il Veltroni da piazzare ad Agrigento. Una politica bislacca, quasi nepotista, che nulla aveva a che fare con il progetto di rinnovamento propugnato da Berlinguer che si fondava sulle idee e sulle forze del territorio, come indicato anche dal progetto da noi varato in provincia di Agrigento.

In forza di tale orientamento, quasi ogni settimana vedevamo arrivare questo Valerio ad Agrigento, sovente accompagnato dalla moglie Valeria, per fare qualche iniziativa da noi non richiesta. Sulle prime lo lasciammo venire. Poi, vista l’insistenza, decidemmo di affrontare il toro per le corna, come si suole dire. Una bella giornata primaverile lo invitammo per una mangiata di pesce a San Leone e dopo il lauto pranzo gli dicemmo quel che pensavamo delle sue venute ad Agrigento e lo diffidammo di ritornare.

Vistisi scoperti, il Veltroni fu re-indirizzato a Trapani a fare il segretario della federazione, con risultati a dir poco disastrosi.

5… Tornando al nostro invito, Tatò mi riferì che fu Berlinguer in persona a prendere la decisione di venire ad Agrigento e per giunta il 25 Aprile, per festeggiare con noi la festa della Liberazione.

Ovviamente, ne fummo assai contenti, per quanto qualche preoccupazione l’avessimo anche noi: la piazza era troppo grande per un partito che in città raccoglieva intorno al 10% dei voti.

Per tutti (non solo per il Pci) Piazza Stazione era una sfida che molti preferivano evitare. Soltanto nel 1954 la grande piazza si riempì per un comizio di Palmiro Togliatti. Ora, la seconda sfida con Berlinguer che superammo con un’affluenza più numerosa della prima.

Dalla camera del Jolly Hotel osservavamo, con Berlinguer e Tatò, l’andamento dell’afflusso nella piazza. Era un flusso continuo, crescente. Gli autobus scaricavano e sparivano in cerca di posteggio. Già dal primo pomeriggio si videro arrivare colonne di compagne e compagni, giovani e anziani. Una selva di bandiere rosse e qualche tricolore. Alcune sezioni si portarono appresso la banda musicale del paese.

La grande piazza Stazione si riempì. La folla trasbordò fin nelle propaggini del Viale della Vittoria. Sugli spalti, sotto la chiesa di S. Pietro, c’erano tanti agrigentini che desideravano assistere al comizio senza mischiarsi con la massa dei compagni che il vescovo aveva di recente additati al pubblico ludibrio. In fondo, anche loro fecero da corona alla nostra manifestazione.

Attorno quell’imponente palco (a due piani) si concentrarono circa 15 mila persone desiderose di ascoltare il compagno Berlinguer.

Nulla fu lasciato al caso. Il tutto era stato programmato e affidato al servizio d’ordine, al quale demmo disposizione di far accedere al palco solo i compagni del CR presenti e i membri del Direttivo della Federazione e della segreteria provinciale della CGIL.

Per quanto riguarda i discorsi si decise di far parlare due compagni: io, in qualità di segretario della federazione, per la presentazione (in 15 minuti) per poi lasciare la parola a Enrico Berlinguer. Non furono previsti altri interventi. Nemmeno quello di Achille Occhetto, venuto da Palermo con l’auto di Berlinguer, (2) e che era segretario regionale e membro influente della direzione del Partito.

6…Dall’alto del palco, osservavamo crescere la folla. Più compagni arrivavano più si notava una certa agitazione in quelli del CR che, ora, volevano prendere la parola al comizio. Dove ti capiterà un’ altra occasione come questa?

Il compagno Ino Vizzini (organizzazione CR) mi avvicinò per chiedermi di dare la parola a Michelangelo Russo (3) per un saluto ai compagni della sua provincia. Risposi di no, perché non era in programma. Non passarono due minuti e lo vidi ritornare per suggerirmi: “forse è il caso che il compagno Occhetto dica due parole prima di Berlinguer”. Lo ringraziai per il suggerimento, ma gli risposi che non era il caso, non essendo stato previsto in programma un suo intervento. Da notare che i due soggetti erano sul palco a un metro da me.

Per bloccare il via vai di Vizzini, dissi a Capodicasa di annunciare il mio intervento di apertura della manifestazione.

Parlai 15 minuti, come previsto, e passai la parola a Enrico Berlinguer il quale, nel frattempo, aveva letto l’Ansa con la notizia del crollo del regime fascista di Salazar in Portogallo.

Per la cronaca, la provincia di Agrigento fu una delle poche, in Sicilia e nel Mezzogiorno, dove vinse il NO al referendum, promosso dalla DC e praticamente dal Vaticano, per l’abrogazione delle legge introduttiva del divorzio. Un gran risultato dovuto al lavoro fra le masse popolari delle compagne e dei compagni, costruito in accordo con gli altri partiti divorzisti (Psi, Pr, ecc) e con singole personalità della cultura. Fra queste ultime, ricordo Leonardo Sciascia che tenne una brillante e affollata conferenza al cinema Astor.

Vincemmo alla grande e con questa vittoria difendemmo la dignità politica e civile, e la modernità, di questa provincia contadina e operaia che di fronte alla lotta mai si era tirata indietro.

7…Dopo il referendum, giunse, nel 1975, l’appuntamento con le elezioni amministrative comunali e provinciali. Anche in tale occasione, preparammo liste e programmi, ispirandoci all’azione di rinnovamento perseguita da Berlinguer.

Il voto fece registrare una forte avanzata del Pci alle provinciali e in tutti i comuni grandi e piccoli della provincia. Grazie alla nostra avanzata, per la prima volta alla Provincia era possibile una maggioranza (risicatissima) senza la Dc. In primis proponemmo una giunta delle “larghe intese” con la Dc che però declinò l’invito. Costituimmo, pertanto, una giunta di sinistra (Pci, Psi, Pri, Psdi) purtroppo con un solo voto di scarto (17 contro 15). La giunta provinciale di Agrigento fu una delle pochissime costituitasi nel Mezzogiorno d’Italia. Peccato che un traditore, adescato dalla Dc, la fece cadere!

Nonostante questi contraccolpi, dovuti alla corruzione dc, proseguimmo nell’azione di rinnovamento nell’unità del partito. Questo era il nostro messaggio: trasformare il vecchio e glorioso partito, in evidente affanno, in una forza nuova, aderente alla realtà locale e agli scenari che si erano aperti con l’avvento di Berlinguer alla segreteria generale.

In sostanza, fra la Federazione del Pci di Agrigento e la segreteria generale del Partito si stabilì, nel tempo, un buon rapporto di lavoro e di fraterna cooperazione, in un clima di reciproca fiducia.

Di là degli aspetti formali, per noi Enrico Berlinguer rappresentava la guida più illuminata che stava conducendo il partito verso nuovo traguardi elettorali e a più alte elaborazioni politiche, capaci di prospettare, e rendere credibile, l’alternativa al “regime” democristiano che, soprattutto, in Sicilia, faceva il bello e il cattivo tempo. Per essere chiari, ripeto che tali rapporti non avevano alcuna caratteristica correntizia (formalmente nel Pci le correnti non erano ammesse), ma si fondavano sulla condivisione dell’analisi politica, socio-economica e internazionalista (eurocomunismo, cc).

Con Berlinguer si aprirono nuovi scenari sul terreno della politica estera, dei rapporti con altri partiti comunisti. A cominciare con il Pcus. Si lavorava per un nuovo internazionalismo nel segno della pace e della cooperazione mondiali.

Nel nostro piccolo, anche noi cogliemmo le nuove opportunità prospettate. Ricordo che già nel congresso provinciale del 1972, proponemmo di “candidare” Agrigento, la Sicilia come “porta aperta” al mondo arabo e mediterraneo ossia a una realtà a noi tanto prossima, ma non adeguatamente considerata.

Particolare impegno fu rivolto, sulla base di una piattaforma unitaria (politica e sindacale) alla questione dello sviluppo della provincia e alle lotte delle forze progressiste per liberare il Mezzogiorno e la Sicilia dall’arretratezza economica e dal predominio clientelare della DC e dei governi del vecchio centro sinistra.

8… Con Roma il nostro rapporto era lineare, proficuo e alla luce del sole. La stessa cosa non si poteva dire con Palermo (CR). In Sicilia la funzione del CR si snodava sulla falsariga della piega assunta dall’autonomia speciale della Regione: prima di arrivare a Roma bisognava passare, e concordare, con i dirigenti del CR.

Si veniva a creare così un meccanismo anomalo, ripetitivo, talvolta ostativo, che snaturava il senso corretto dei rapporti fra le istanze di partito e fra i singoli compagni dirigenti.

Con il passare degli anni, ci rendemmo conto che la crisi endemica della Regione siciliana non era solo dovuta al cattivo trattamento dello Stato centrale, ma anche all’intreccio di interessi, palesi e occulti, che maturò nel suo seno, fortemente collegati al bilancio e alla spesa regionali. In effetti, l’Autonomia non era la forma più avanzata per l’autogoverno democratico del popolo siciliano, ma una sorta di barriera innalzata sullo stretto di Messina per consentire ai potenti di tutte le risme e colori di fare i propri interessi ai danni del popolo siciliano.

In tale contesto il ruolo dell’Ars (il più antico parlamento d’Europa) era di mera cassa di risonanza, di facciata. Le grandi scelte per la Sicilia si facevano a Roma, a Milano; nelle conventicole fra i grandi capi corrente della Dc, del Psi e di qualche esponente del Pci.

In particolare- come mi spiegò, un giorno a Montecitorio, un importante esponente democristiano ( 4) ben addentro alla vita della Regione e dello Stato – tutto girava intorno a tre personaggi di rilievo nazionale (mi fece i nomi degli onn. Nino Gullotti (Dc), Salvatore Lauricella (Psi) ed Emanuele Macaluso, (Pci.), i quali- seppur da posizioni politiche contrapposte – “decidevano” le cose da fare in Sicilia e passavano gli ordini ai loro referenti locali dell’Assemblea regionale siciliana.

In verità, tale meccanismo l’avevamo più volte intuito, a proposito di certe decisioni di spesa e di operazioni economiche (fusioni e altro) intraprese dagli enti regionali che, in più di una occasione, strinsero patti scandalosi con gruppi privati, siciliani e non, a tutto danno della Regione e delle aspirazioni sociali delle popolazioni.

Nella provincia di Agrigento memorabile fu la battaglia contro l’accordo di fusione fra Ente minerario siciliano (Ems) e Sams (industria privata che operava nel settore del salgemma).

In questo caso la federazione del Pci di Agrigento si era dichiarata ufficialmente contraria, tanto che io, responsabile economico della federazione, partecipavo a tutti gli incontri (con i sindacati, con il “fronte” dei sindaci, ecc.) per organizzare la lotta operaia e popolare che ebbe come epicentro il comune di Realmonte e i paesi circostanti. (5)

Una vicenda clamorosa, scandalosa che turbò l’opinione pubblica e che andrà a finire nelle aule giudiziarie. Una vicenda di cui più volte mi parlò Leonardo Sciascia – a quel tempo consigliere comunale di Palermo eletto come indipendente nella lista del Pci- il quale intervenne, per chiedere chiarimenti prima alla segreteria regionale e poi a quella nazionale, senza averne adeguate risposte.

9…Enrico Berlinguer tornerà in provincia un paio di altre volte: per un comizio nella Piazza Cavour di Agrigento e per alcuni incontri con i compagni e i cittadini di alcuni centri dell’agrigentino. Fra i quali particolarmente significativo fu quello svoltosi (nel 1981) nel grande cortile del Comune di Palma Montechiaro, dove, riprendendo il filo del celebre convegno nazionale per lo sviluppo (1960), vanificato dall’emigrazione e da un esasperato clientelismo dc, si propose il rilancio, su basi nuove, della “questione” dell’uscita dal sottosviluppo della fascia centro- meridionale dell’Isola, cogliendo le opportunità presenti nei programmi d’investimento annunciati da diversi enti nazionali e regionali.

Ad aggravare la crisi socio-economica intervenne la decisione della chiusura delle miniere di zolfo che creò seri problemi ai diversi centri minerari. Tuttavia, erano i due popolosi centri di Palma e Licata a rappresentare il simbolo più drammatico del sottosviluppo meridionale non solo economico, ma anche civile e culturale. Nei due Comuni la crisi sociale era esplosa a seguito del fallimento del tentativo di riforma agraria e del conseguente esodo migratorio della forza sociale più numerosa e combattiva costituita dal bracciantato agricolo.

Oltre a Palma e a Licata, si era creata una nuova realtà drammatica, al limite della disperazione, nel versante occidentale della provincia ossia nel comprensorio dei comuni della valle del Belice colpiti dal tremendo terremoto del 1968.

Nel mezzo della linea costiera, c’era la città capoluogo che si dibatteva fra le conseguenze della grande frana del 1966 e quelle del saccheggio operato dalla speculazione edilizia e dei gruppi di potere clientelare che assicuravano alla Dc la maggioranza assoluta nel consiglio comunale.

Tuttavia, in quegli anni, nonostante i ritardi, le inadempienze governative, in alcune zone della provincia (soprattutto nei comprensori di Sciacca e di Canicatti) la realtà economica era in movimento, in trasformazione; mentre Porto Empedocle reggeva i livelli di occupazione nei diversi impianti industriali e la zona montana si avviava verso la diffusione di una azienda silvo-pastorale moderna e redditizia.

10… Il Pci, sulla spinta dell’azione propositiva e di lotta delle sue organizzazioni sindacali (Cgil, Alleanza contadini, Cna, ecc) e dell’ampia rete di amministrazioni comunali “rosse”(6) e/o di sinistra, lavorò, con qualche risultato, per assicurare uno sbocco politico e parlamentare alle istanze della provincia.

Grande rilievo acquistarono le manifestazioni unitarie in provincia che sfociarono nella famosa “marcia” che portò a Palermo diverse decine di migliaia di lavoratori e di studenti agrigentini per rivendicare lavoro e sviluppo.

Grazie a queste lotte la provincia si rimise in movimento, si delinearono nuove prospettive. Solo la “sacca” di Palma e Licata restava sostanzialmente tagliata fuori di questo fermento. E dire che anche qui, dopo il fallimento della lotta per l’esproprio di alcuni feudi e per l’industrializzazione (fu creata una sola impresa: l’Halos a Licata di derivazione Montedison), si era diffusa la coltura delle coltivazioni in serra che, però, da sola, non riusciva a compensare le gravi perdite subite in altri settori. Quel clima di decadenza economica investiva anche il settore politico e sindacale, comprese le nostre organizzazioni. Fu perciò necessario un intervento particolare del Pci che avviò, con successo, a Palma e a Licata un processo di rinnovamento e d’ampliamento della base sociale e dei gruppi dirigenti del partito.

Aprimmo le porte a gruppi di giovani studenti universitari, d’insegnanti, di giovani operatori delle serre, di professionisti i quali, partendo da quelle sezioni in disarmo, riuscirono a rianimare la politica cittadina, a risollevare le posizioni elettorali del Pci e a conquistare le amministrazioni comunali.

Si creò un clima di cambiamento, si restaurò la speranza di interi settori popolari. A Licata, come in altri centri, giungemmo a creare (con l’accordo della direzione centrale del partito) una sezione femminile, in stretto raccordo con le operaie tessili dell’Halos, che raccolse l’adesione di centinaia di compagne operaie, insegnanti e casalinghe che divennero protagoniste di memorabili lotte nell’azienda ed anche nei quartieri popolari per i servizi, la scuola, la salute.

Sull’apertura delle sezioni femminili del Pci avvenute nella provinciali Agrigento si aprì (anche a livello centrale) una seria discussione interna fra due posizioni: una contraria perché riteneva tale scelta una forma di ghettizzazione delle donne comuniste e l’altra di accordo perché, data la difficile condizione della donna nel Mezzogiorno, la sezione femminile poteva essere il principale canale di partecipazione delle donne alla vita politica del partito e nella società. Per sciogliere questo nodo, venne ad Agrigento la compagna Adriana Seroni, responsabile nazionale della commissione femminile, la quale, dopo essersi resa edotta della realtà associativa delle donne agrigentine, dichiarò il suo accordo con il nostro operato a Licata, a Canicattì, a Ravanusa, a Campobello di Licata, a Menfi, a Bivona, a Palma Montechiaro, a Naro, ecc.

L’ingresso delle donne ampliò l’area della partecipazione politica democratica e modificò la composizione di genere del partito in provincia che su un totale di circa 9.000 iscritti contava oltre 2.000 iscritte.

Una bella esperienza davvero che anche Enrico Berlinguer, che un po’ femminista lo era, avrà condiviso. Del resto anche questa innovazione s’inquadrava nella ventata di aria nuova derivata dalla svolta berligueriana.

di Agostino Spataro*

  • https://it.wikipedia.org/wiki/Agostino_Spataro
  • (n.b.) Ciò che ho scritto è frutto della mia riflessione e si riferisce, soprattutto, al periodo in cui fui segretario della federazione di Agrigento (1972-76). Nel caso si dovesse riscontrare qualche errore si prega di segnalarlo e – se appurato – sarà corretto. Per meglio ricostruire l’esperienza è auspicabile che altri compagni/e volessero integrare la presente nota o scriverne altre sullo stesso tema.

Note: (1) Su tale episodio ho scritto una sintetica nota esplicativa che, per il momento, non desidero pubblicare.

(2) Nel Pci vigeva una sorta di protocollo secondo cui quando arrivava in visita il segretario generale era il segretario federale ad accoglierlo e ad accompagnarlo a destinazione. Oltre che un fatto di rispetto verso l’ospite, la cosa serviva per informarlo sulla realtà della federazione e sui problemi specifici della provincia. Così facemmo noi all’arrivo di Berlinguer a Punta Raisi, dove trovammo alcuni esponenti del CR, fra cui Occhetto, i quali, scorrettamente, “s’impossessarono” del segretario generale e impedirono a me di viaggiare con lui alla volta di Agrigento.

(3) capogruppo all’Ars e nostro deputato regionale.

(4) mi riservo di pubblicare il nome dopo che avrò interpellato l’interessato.

(5) a dicembre 1971 scoprimmo la bozza dell’accordo Sams- Ems (datata aprile 1971) fra le carte del segretario della federazione che non informò gli organi di partito federali e locali i quali, ignari della trattativa in corso a Palermo, continuavano a lottare, con grandi manifestazioni popolari, contro quell’accordo.

(6) Per “rosse” devono intendersi le amministrazioni comunali dove il Pci deteneva la maggioranza assoluta: Sambuca di Sicilia, Raffadali (piccola Mosca), Calamonaci e, quasi sempre, Ribera, Campobello di Licata, Naro, Bivona, ecc.

(Prima stesura. Budapest, novembre 2022. Tutti i diritti riservati. In caso di riproduzione e/o di parziale utilizzazione si prega di citare l’autore e la fonte.)

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