Cronaca della crisi. Un governissimo? Per fare cosa?

Saranno ormai tre settimane che sulla grande stampa è diventata ossessiva la critica al governo attuale e in particolar modo alla figura del premier. Quasi tutte le uscite pubbliche di Giuseppe Conte sono accolte con acide e corrosive cronache, si lamenta al primo ministro chiarezza, eccessiva esposizione mediatica, di aver fomentato con lo scontro con le regioni, soprattutto Veneto e Lombardia, di non essere in grado di prospettare una condivisione dei provvedimenti con l’opposizione.

Eppure, si dimentica con troppa disinvoltura che questa compagine ministeriale ha dovuto affrontare una emergenza sanitaria grave che non è stata valutata con la dovuta tempestività, e soprattutto ha colto impreparati maggiormente altri paesi che hanno sottovalutato il caso in modo più grave del nostro. Inoltre, il ministero Conte ha dovuto verificare immediatamente la insufficienza degli strumenti che il governo centrale può muovere per affrontare una emergenza di tali proporzioni sull’intero territorio nazionale; scarse strutture sanitarie e dispositivi, case di riposo al di sotto della minima decenza che richiede il servizio, personale medico insufficiente, ricerca scientifica sottofinanziata e in difficoltà, apparato della protezione civile e dell’esercito incapace di mobilitare grandi mezzi in poco tempo, mezzi finanziari e apparati burocratici quasi collassati dopo anni di tagli fiscali. In sostanza manca non il senso dello stato, come tromboni improvvisati gridano ai quattro venti, ma semmai manca il senso dell’interesse pubblico e di una struttura statale efficiente che sappia dirigere la società verso la uscita da una crisi così grave. Se aggiungiamo a tutto questo il fatto che il sistema regionalizzato non ha dato buona prova di sé e anzi ha provocato uno scontro istituzionale che rischia di aggravare fratture antiche, e se denunciamo, inoltre, il fatto che un paese industrializzato come il nostro non produce in Italia nessun dispositivo di protezione individuale sanitario, abbiamo allora un quadro completo del peso che qualsiasi governo avrebbe dovuto affrontare in luogo di questo e dovrà affrontare in futuro.

Le opposizioni si sono accodate al tam tam dei giornali nazionali, di cui sopra, dimostrando una virulenza nella critica notevole nei giorni dispari, correggendosi poi nei giorni pari, chiedendo collaborazioni fra opposizioni e governo, oppure il costituirsi di un governo ‘istituzionale, come se le due richieste coincidessero perfettamente. Grande confusione sotto il cielo delle opposizioni ma situazione tutt’altro che eccellente! E’ abbastanza chiaro, o almeno dovrebbe esserlo ai più, che chiedere due cose diverse pubblicamente, continuare a modificare la linea politica, da parte dell’opposizione non può che irrigidire la maggioranza e peggiorare la situazione parlamentare. Inoltre non è chiaro che progetto strategico dovrebbe avere questo decantato governo istituzionale. Draghi ha rilasciato un’intervista sul Financial Times questa settimana che è servita a destabilizzare il governo più che ha chiarire i metodi per uscire dalla crisi; va bene la necessità di fare deficit ma non ha specificato, il nostro, se gli investimenti necessari per far ripartire l’economia li fa lo stato o il mercato, se lo stato può avere banche e imprese pubbliche o se dovrà limitarsi a gettare i soldi nella assistenza e finanziare i cantieri. Inoltre, come se non bastasse, le opposizioni si dicono favorevoli a Mario Draghi come capo di un nuovo governo ma inneggiano alla uscita dell’Italia dall’Euro senza tenere conto che il Premier candidato è stato uno strenuo difensore della moneta unica; e ancora, nel conflitto fra esigenza delle imprese di riprendere l’attività e la necessità posta dalle autorità sanitarie di attuare misure più dure di blocco della vita sociale e più estese nel tempo, la destra all’opposizione  furbescamente evita di prendere posizioni nette sfruttando il suo ruolo attuale che la dispensa da responsabilità immediate. Per il momento, chi si oppone al governo attuale, cela in malo modo, la contrarietà a una politica di non contrapposizione pregiudiziale rispetto a paesi come Cina e Iran che il ministero in carica attua, e spera che un nuovo gabinetto rinforzi il legame con gli Stati Uniti e la loro ultima versione strategica di politica estera.

Il quadro è confuso, perché di fronte a tale dramma si continua ad agire tatticamente e a pensare che tutto tornerà come un tempo, malgrado molti dicano il contrario, ma solo a parole. Ed è qui il punto che mi premeva: non si tornerà alla fase precedente, non si tornerà ai bei tempi della finanza privata allegra, l’economia ripartirà solo con gradi più o meno intensi di pianificazione diretta pubblica.

Infatti, il cuore del conflitto sociale, per lo meno in Occidente, risiede nella controversa scelta di affidare al mercato il rilancio dell’economia dopo il periodo di crisi sanitaria, oppure di richiamarsi ad una vasta pianificazione pubblica, unico antidoto necessario e indispensabile se realmente si vuole uscire dal collasso economico imminente. In gioco, dunque, non ci sono solo grandi equilibri planetari, il futuro dell’impero americano insidiato dallo sviluppo cinese, e le sorti di intere nazioni e dell’unione europea, ma sarà in discussione l’equilibrio delle classi sociali cristallizzato dopo quasi quarant’anni di neoliberalismo. La sinistra e la cultura progressista ha, dunque, un compito preciso di fronte a sé: difendere uno sviluppo civile e egualitario che è stato garantito per molti anni dal welfare e dalle costituzioni antifasciste nate dalla resistenza e fondate sul lavoro. Si tratta di rilanciare la questione socialista e di ripensare alla libertà dal lavoro e nel lavoro. Senza questo sforzo culturale e progettuale sarà impossibile per il progressismo e per la sinistra, italiana ed europea, trovare un ruolo strategico, e per questo non di piccolo momento, e evitare la tentazioni della tattica, del piccolo cabotaggio, del rifugiarsi dietro a improvvisati ‘salvatori della patria’.

Per questo la proposta di un governo istituzionale guidato da Mario Draghi, se non ne vengono chiarite le reali intenzioni e le scelte di fondo, non è altro che una trappola per la sinistra e il progressismo italiano e una probabile illusione per il nostro paese che di illusioni ha ormai piena la sua storia, lastricata a sufficienza, lo sappiamo, di immani tragedie e sofferenze.

Alessandria 29-03-20                                                                                   Filippo Orlando

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